Uno dei primi tentativi di esegesi coranica nel mondo dei femminismi islamici viene proposto da Riffat Hassan. Hassan È una studiosa di origine pakistana, musulmana, impegnata a partire dal 1974 in ricerche di teologia femminista nel contesto della tradizione musulmana, occupandosi anche del dialogo interreligioso tra cristiani, ebrei e musulmani. L’autrice riferisce di aver intrapreso a studiare il Corano in una prospettiva femminile nel 1974 quando un’associazione di studenti musulmani dell’Università dell’Oklahoma, di cui era allora la referente, le chiese di intervenire presso il tradizionale seminario annuale. In quell’occasione, il tema del suo intervento verteva su donne e Islam. È qui che Hassan partendo da una riflessione sull’enorme popolarità della tematica femminile presso gli intellettuali musulmani e constatando – al tempo stesso – la mancanza di un’esegesi condotta in un’ottica femminile, nella preparazione della conferenza si dedicò allo studio del Testo sacro. Quello che iniziò come un semplice esercizio accademico divenne un'impresa odisseica. L’autrice racconta allora la rabbia e la delusione nell’appurare il distacco tra gli insegnamenti di giustizia e uguaglianza presenti nel Corano nei confronti delle donne e le condizioni in cui vivono la maggior parte delle donne musulmane.89
Per diversi anni si è interessata all’esegesi coranica, la cui ricerca di “un senso alternativo diviene per lei un modo di dare significato alla propria vita, alla propria cultura
89 R. Hassan, “Challenging the Stereotypes of Islamic Fundamentalism: an Islamic Feminist Perspective”, in The Muslim World, vo. 91 (2001), pp. 55-56.
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e alla propria tradizione”.90 Solo successivamente il suo dinamismo intellettuale subisce uno spostamento verso la sfera pubblica. Infatti, all’inizio degli anni Ottanta nasce in Pakistan il Women’s Action Forum come reazione alle politiche di islamizzazione del regime militare di Zia ul-Haqq, con conseguenze tragiche per le donne.91 È proprio allora che il movimento femminile pakistano chiede a Riffat Hassan un supporto teorico in grado di contestare le interpretazioni islamiste utilizzate per promuovere le nuove leggi, e cioè dar vita a un’ideologia per il movimento delle donne.92 I suoi studi, e la costante ricerca dei fondamenti sacri per l’eguaglianza tra uomo e donna rappresentano non solo un processo di riappropriazione della propria tradizione religiosa e culturale, ma anche una ricerca di verità e giustizia per tutte le donne musulmane che ancora oggi vivono in uno stato di soggezione, al fine di liberare la società dalle strutture scorrette che ostacolano lo sviluppo di relazioni egualitarie tra uomini e donne.93 Secondo la studiosa, rileggere teologicamente significa dichiarare le basi ontologiche per l’uguaglianza tra uomini e donne, eliminando così ogni arroganza concettuale per la discriminazione nei confronti delle donne. Questi sono anche gli anni che vedono la pubblicazione di alcuni articoli, tra cui Equal before Allah? Women-men equality in the Islamic tradition (1987) divenuto uno dei testi fondanti del femminismo islamico.
Gran parte dei suoi studi sono impegnati alla confutazione di tre assiomi che costituiscono secondo l’autrice la radice teologica della disuguaglianza tra uomo e donna, essi sono: in primo luogo, Adamo è uomo ed è la prima creatura mentre Eva è donna ed è il secondo essere creato da una costola di Adamo; Eva è colei che pecca e porta alla cacciata dal Paradiso; Eva è stata creata non solo dall’uomo ma per l’uomo.
Per prima cosa, di fronte a questi tre assunti, prosegue in un’ottica comparativa in cui analizza il racconto della Creazione. Successivamente, appura la mancanza nel Corano di narrazioni che traccino una distinta divisione tra la creazione dell’uomo e quella della donna o della figura di Eva come protagonista dell’episodio della tentazione. Anzi, rileva Hassan, nel Corano Eva non ha nome, ma vi compare soltanto come la sposa di Adamo:
90 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, in
Annali di studi religiosi, Vol. 5, pp. 119.
91 A.M. Weiss, “Women’s Action Forum”, in The Oxford Encyclopaedia of the Modern Islam, IV, New York 1995, pp. 346-348.
92A. Sharma & K. Young, Her voice, Her faith: women speak about world religions, Westview press, 2003, pp. 215-216.
93 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, p. 120.
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«E tu, o Adamo, abita con la tua sposa il Giardino e mangiate donde vorrete, ma non avvicinatevi a quest’albero, sareste dei colpevoli» (C. 7,19).94
E ancora, nell’episodio della tentazione, Satana si rivolge a Adamo e non ad Eva:
«O Adamo! Posso indicarti l’albero dell’Eternità, un Regno che mai si consuma? Allora mangiarono entrambi di quell’albero, e furono loro palesi le loro vergogne, e si misero a cucirsi addosso delle foglie del Giardino. Così Adamo disubbidì al Suo Signore e si smarrì» (C. 20,120-121).95
Inoltre, secondo lei, i primi esseri umani sono stati creati come esseri uguali. Hassan afferma infatti che il Corano, che non discrimina le donne nel contesto della Creazione o dell'episodio della Caduta, non supporta la convinzione di molti musulmani secondo cui le donne sono state create non solo dall'uomo, ma anche per l'uomo. L'umanità, composta da entrambi, è modellata nel migliore degli schemi. Non solo il Corano chiarisce che l'uomo e la donna sono assolutamente uguali agli occhi di Dio, ma anche che sono "compagni" e "protettori" l'uno dell'altro. In altre parole, il Corano non crea una gerarchia in cui gli uomini sono posti al di sopra delle donne né mette gli uomini contro le donne in una relazione avversaria. Essi sono creati come creature uguali di un Dio universale, giusto e misericordioso. Infatti, Hassan evidenzia come nel racconto della genesi dell’umanità così come viene raccontato nel Corano, in nessun passo del libro viene specificato che Eva è stata creata da Adamo, ma piuttosto si afferma che gli uomini e le donne sono stati creati da Dio da uno stesso nafs (anima) e sono uguali davanti a lui. E ancora, ci dice nel Corano non è presente l’idea – molto diffusa tra i musulmani - secondo cui Eva sia stata all’origine del peccato; questa, in realtà, è un’influenza della tradizione ebraico cristiana.96 Ma se il Corano non fa distinzione tra la creazione dell'uomo e della donna - come chiaramente non lo fa - perché i musulmani credono che Eva sia stata creata dalla costola di Adamo? È molto probabile che la storia di Eva nata dalle costole di Adamo sia entrata nella tradizione islamica attraverso l'incorporazione nella letteratura di
94 Ida Zilio-Grandi in Alberto Ventura (a cura di) Il Corano, Mondadori, Milano 2010, Cit., p. 89. 95 Ivi., p. 192.
96 R. Hassan, “The development of feminist theology as a mean of combating injustice toward women in muslim communities/culture”, in European Judaism, London, vol. 28, No. 2, Issue No. 55, Autumn 95, pp. 86-87.
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alcuni hadith durante i primi secoli dell'Islam. In questo modo, la studiosa mette in luce un’incoerenza tra Corano e tradizione profetica, non contemplata però dalla teoria giuridica islamica; Questa rappresenta una brillante intuizione nel pensiero della Hassan secondo cui l’etica coranica “deve avere precedenza sulle forze tradizionaliste e patriarcali che si rispecchiano invece nella tradizione profetica.” 97
Inoltre, la differenza tra gli esseri umani deriva dal loro comportamento nei confronti di Dio, non dal loro sesso. Secondo lei l’Islam è altamente anti-patriarcale, e la differenza biologica tra i due sessi non dovrebbe minimizzare l’idea della fondamentale uguaglianza di uomini e donne. Un altro versetto molto importante per gli studi teologici di Hassan, si rivela il numero 34 della sura IV:
“Gli uomini sono preposti (qawwamun) alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle; le donne buone sono dunque devote a Dio e sollecite nella propria castità, così come Dio è sollecito di loro; quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele (daraba); ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; che Iddio è grande e sublime.”98
Questo è uno dei versi più controversi e contestato del Corano per quanto riguarda la questione di genere nell’Islam. Vi sono infatti diverse parole chiave correlate al genere in questo versetto, ma la gran parte delle studiose, tra cui Hassan, si concentrano su due termini specifici: daraba e qawwumuna. Il verbo daraba porta con sé diversi significati: andare via, picchiare, colpire, battere, dare l’esempio. Ovviamente, le prime letture del Corano interpretarono questo termine con il significato di “colpire” fornendo al marito il diritto di poter picchiare la propria moglie. Tuttavia, Hassan mette in discussione la validità di questo significato di daraba, definendola come una delle parole più comuni nella lingua araba, con un gran numero di possibili significati; e il fatto che la stragrande maggioranza dei traduttori - che guarda caso sono uomini - abbiano scelto di tradurre questa parola come "colpire" indica chiaramente un pregiudizio a favore di una società
male-oriented.99 Per quanto riguarda invece la definizione dell’uomo come “protettore”
97 C. Bori, “E di tutte le cose creammo una coppia. La teologia femminista islamica contemporanea”, p. 120.
98 Il Corano, cit., p. 48.
99 L. Von Flotow & F. Farahzad, Translating Women: Different Voices and New Horizons, Routledge 2016, p. 30.
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delle donne, linguisticamente parlando, la parola qawwamun si riferisce a coloro che forniscono un mezzo di sostegno o di sostentamento. Solo in situazioni particolari, come la gravidanza e l’allattamento, gli uomini e le donne assumono ruoli e funzioni diverse, limitatamente alla situazione particolare. Ovviamente, solo la donna può partorire, e in questa determinata situazione il marito viene incaricato dal Corano di fornire un supporto materiale. Questa lettura suggerisce quindi una suddivisione dei compiti e dei ruoli sociali, ma non necessariamente significa che le donne non possano provvedere a sé stesse in questa circostanza e non è quindi un’affermazione esplicita dell’autorità e della superiorità dell’uomo nei confronti della donna in termini assoluti.100 Perciò, come emerge dalle sue analisi, Hassan crede fermamente che il fattore religioso costituisca la prima matrice identitaria del credente e della credente e che non ci può essere discorso di emancipazione che si svolga all’esterno del paradigma islamico.