Una delle femministe islamiche più note in Egitto è Omaima Abou–Bakr, i cui lavori sono conosciuti anche in ambito internazionale. Laureata presso l’Università del Cairo nel 1978, si è poi trasferita negli Stati uniti dove ha continuato i suoi studi specializzandosi in Letteratura inglese alla University of North Carolina nel 1981, ottenendo anche un Phd alla Berkley University che le ha permesso, una volta rientrata in Egitto, di poter insegnare al dipartimento di lingua inglese all’Università del Cairo. Membro fondatore del Women and Memory forum, nonché parte del team di Musawah
Knowledge Building, è specializzata in poesia sufi medievale e argomenti comparativi
nella letteratura medievale inglese e araba. I suoi interessi accademici includono anche il misticismo femminile e la spiritualità femminile nel cristianesimo e nell'Islam, la teologia femminista, la storia delle donne musulmane e le questioni di genere nel discorso islamico. Fin da giovane ha intrapreso studi innovativi che decostruiscono le interpretazioni esegetiche islamiche tradizionali dei ruoli e dei diritti di genere.300
L’interesse nei confronti della tradizione islamica, soprattutto ciò che riguarda la spiritualità, si sviluppa durante gli anni di formazione. Negli anni Novanta, inizia a dedicarsi agli studi di genere: la storia delle donne musulmane, la voce femminile presente nelle fonti e l’esegesi coranica medievale e moderna. La presa di coscienza femminista si manifesta per la prima volta in uno studio sulla mistica Rabi‘a al– ‘Adawiyya (713/717-801). Questa figura, che sarà poi ripresa in lavori successivi, viene considerata dalla studiosa come parte di quella letteratura femminile che rimette in discussione l’idea tradizionale sulla donna musulmana. Nel 1995 pubblica un interessante articolo intitolato “Historical Facts or Fallacies? The Character of the Prophet
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Muhammad”. Nel 1999 svolge un fellowship della durata di tre mesi presso l’International Center of Research on Women a Washington D.C. dove porta avanti uno
studio incentrato sulla questione delle donne e del genere all’interno del Corano; questo momento segna l’inizio di una nuova fase nel suo percorso verso il femminismo islamico.301 È proprio in questa fase che Abou–Bakr comincia a rendere pubbliche le sue riflessioni sul genere. Il 26 giugno dello stesso anno, si ritrova ospite speciale del Minaret
of Freedom Institute a Gaithersburg nel Maryland, vestendo i panni di un’attivista
nell’ambito dei diritti umani, studiosa e madre. In questa situazione, ad Abou– Bakr viene chiesto se sia adatto per le donne musulmane studiare e rileggere i testi religiosi da una prospettiva di genere; in tutta risposta, inverte la domanda: è possibile affrontare e studiare le questioni di genere dal punto di vista di una donna musulmana? Nel tentativo di rispondere, fa riferimento a tre episodi relativi alla tradizione islamica. Due di loro si riferiscono al contesto specifico in cui sono stati rivelati due particolari versetti coranici. Il primo, si focalizza sulla figura di Umm Salama, una delle mogli del Profeta. Un giorno, Muhammad raduna la comunità per prendere parte a un incontro in moschea, rivolgendosi alla sua comunità in termini generici con la seguente espressione: “O gente”. Dopo aver ascoltato l’appello, Umm Salama, ha intenzione di assistere a questo incontro e ne discute prima con la sua assistente che, sbalordita, le raccomanda di non andare, perché l’invito è esclusivamente dedicato agli uomini e non alle donne; ma Umm Salama le risponde così: “In realtà anche io faccio parte della gente”.
Il secondo episodio ha come personaggio principale, ancora una volta, Umm Salama che protesta con Muhammad del fatto che Dio esalta esclusivamente gli uomini per i loro sacrifici e per la loro partecipazione nell’Egira; ma le proteste di Umm Salama non rimangono senza risposta. In realtà è Dio stesso che le fornisce la risposta tanto anelata.302 L’episodio in questione è alla base della Rivelazione del versetto 195 nella terza Sura, in cui Dio dichiara:
301 M. Al-Sharmani, “Islamic Feminism Transnational and national reflections” in Approaching Religion, Vol. 4, No. 2, 2014, pp. 83-83.
302 O. Abou-Bakr, Gender Perspectives in Islamic Tradition, Edited transcript of Prof. Abou-Bakr's talk given at the Second Annual Minaret of Freedom Institute Dinner, Gaithersburg, Maryland on June 26, 1999.
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Ebbene, il Signore li esaudisce e risponde: “Non manderò perduta una sola azione compiuta da voi, siate maschi o siate femmine, voi derivate gli uni dagli altri”.303
Il terzo episodio, invece, ha a che fare con un gruppo di donne che scelgono di incontrare il Profeta, denunciando come gli uomini vengano sempre messi al primo posto da Dio, mentre le donne vengono raramente menzionate. C’è un motivo specifico? Questo episodio è alla base della rivelazione del versetto 35 della Sura numero 33:
In verità i dati a Dio e le date a Dio, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i sinceri e le sincere, i pazienti e le pazienti, gli umili e le umili, i donatori d’elemosina e le donatrici, i digiunanti e le digiunanti, i casti e le caste, gli oranti spesso e le oranti, a tutti Iddio ha preparato perdono e mercede immensa.304
Queste tre scene mettono in evidenza, secondo la studiosa, una coscienza femminista già presente nelle donne musulmane ai tempi della Rivelazione. Esse, infatti, non provavano timore nel confrontarsi con gli uomini su questioni di genere, esigendo il diritto, in quanto donne, di essere soggetti attivi e visibili nella comunità. L’importanza di queste tre narrazioni sta nel fatto che documentano, in primo luogo, la forte inquietudine provata dalle donne che cercavano di essere una parte visibile nella comunità musulmana, tanto nel suo aspetto pubblico quanto religioso, evitando di essere emarginate o ignorate. Inoltre, mettono in evidenza il bisogno di un equilibrio tra i due gruppi della comunità; cioè, sottolineano una visione di genere. Questa visione coincide con l’iniziativa di una donna che si interroga, che dibatte. E non di meno, un'altra parte fondamentale è l’intervento di Dio in risposta alle domande della Donna, tramite una rivelazione che conferma il diritto delle donne a esprimere il loro pensiero. Insomma, si domanda Abou-Bakr, se il Profeta (e Dio stesso) hanno ascoltato le domande delle donne musulmane, perché se questa necessità si presenta in un diverso momento storico, un’altra comunità musulmana non lo dovrebbe fare?305
Come emerge da questa prima analisi, appare evidente che l’attivismo di Abou-Bakr trova la sua forza nella religione; infatti, è proprio quest’ultima ad essere lo strumento più utile ai fini di ottenere uguaglianza e dignità. Grazie al suo impegno sociale e scientifico, cerca di inserire le donne nella sfera pubblica e dar loro visibilità nel discorso religioso;
303 Alberto Ventura (a cura di) Il Corano, Mondadori, Milano 2010, Cit., p. 44. 304 Ivi., Cit., p. 257.
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promuovendo un contatto diretto con il Corano attraverso la sua esegesi, cerca di educare le donne musulmane, allo scopo di opporsi alla marginalizzazione e all’esclusione. Ricorda che tanto il Profeta quanto Dio ascoltarono le donne, e questo evento convalida il loro diritto di occuparsi di ciò che le riguarda e di essere ascoltate.306
Questi anni rappresentano dunque il manifestarsi della coscienza femminista in Abou– Bakr, come testimoniano le molte attività svolte. Al riguardo, dobbiamo menzionare il suo intervento in una conferenza tenutasi al Cairo che verteva su Qasim Amin, presentando una relazione dal titolo Men in the Exegetical Discourse of Medieval and
Modern interpreters. In questo contributo si trova uno degli elementi che più stanno a
cuore alla studiosa, ovvero il discorso religioso rivolto agli uomini. Infatti, Abou–Bakr si domanda: “Perché ogni dibattito moderno o contemporaneo che tratta la donna e l’islam ignora il discorso divino rivolto all’uomo, soprattutto come marito? Perché la donna è l’oggetto preferito di ogni sermone e predica? Perché solo lei viene sottoposta al “simbolismo” e diventa l’icona della famiglia, della cultura e dei costumi, subendo da sola la fatica più grande riguardo qualsiasi riforma della famiglia o della società; e così viene giudicata da sola?307 così facendo cerca di mettere in risalto lo sproporzionato interesse che, nel corso del tempo, gli studiosi hanno dedicato alla posizione della donna, ai suoi diritti ai suoi obblighi all’interno della shari’a e del fiqh, trascurando invece quello dell’uomo.
Un altro pensiero fondamentale che muove l’animo femminista di Abou–Bakr è rappresentato dalla necessità di riconoscere ciò che effettivamente deriva dalla religione da quanto proviene piuttosto dai costumi patriarcali, trasmessi dalla tradizione e dalla cultura pre-islamica. A tal proposito, parla di una polarizzazione che trova la sua genesi dalla separazione tra un Islam puramente testuale, e un Islam vissuto. Secondo lei, la gran parte delle cose che vengono fatte in nome dell’islam altro non sono che la conseguenza di costumi e di pratiche sociali che sono basate su ciò che viene percepito come un obbligo islamico.308 Respingendo quindi la separazione tra l’islam testuale e l’islam vissuto, crede in modo risoluto che l’islam descritto nelle fonti deve essere riletto e adoperato per migliorare le usanze errate, specialmente quelle strettamente collegate alle donne. E in questo processo correttivo, le donne dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano.
306 N. Elkaan, Il femminismo islamico in Egitto, p. 221. 307 Ivi., p. 222.
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Pertanto, rigetta l’idea secondo cui ad occuparsi dei discorsi religiosi siano esclusivamente specialisti-uomini che definisce religiosi e insensibili.
A tal proposito, in uno dei suoi studi più importanti, The Interpretive Legacy
of qiwamah as an Exegetical Construct, Omaima cerca di indagare il concetto di
qiwamah. Nella tradizione giuridica musulmana, la qiwamah generalmente fornisce legittimità giuridica e religiosa alla presunta autorità degli uomini sulle donne, istituzionalizzando efficacemente la disuguaglianza di genere e promuovendo il modello di famiglia patriarcale. Per riassumere brevemente, qiwamah, un termine che non appare nel Corano ma deriva dalla parola qawwamun (tradotto come 'protettori) è stato generalmente utilizzato per indicare l'autorità del marito sulla moglie e la responsabilità finanziaria verso la famiglia. Questo postulato è stato anche chiamato il "DNA del patriarcato" in quanto colpisce tutte le aree del fiqh relative ai diritti di genere, soprattutto quando si tratta di leggi che regolano il matrimonio.309 La studiosa mette in discussione l'interpretazione classica di qiwamah, affermando che contraddice altri versetti del Corano che promuovono invece l'amore, la compassione, la serenità, la reciprocità e l'uguaglianza tra i coniugi. Attirando l'attenzione in particolare sui versetti 2:187, 30:21 e 9:71, Abou-Bakr sostiene che il matrimonio si basa sulla condivisione e la collaborazione, non sul controllo e l'obbedienza come nella tradizione fiqh classica, eppure, essa viene ancora presentata come un dovere religioso basato su una Sura del Corano (4:34). Ma allora, perché teologi medievali e studiosi islamici moderni hanno sviluppato una formula patriarcale, contraria ad altri versetti sulle relazioni coniugali nel Corano? Attraverso la sua analisi cerca di identificare le idee e i metodi interpretativi utilizzati dai vari studiosi nel corso dei secoli che hanno generato un costrutto patriarcale fonte di diseguaglianza di genere.
La sua ricerca mette in evidenza come l’obbedienza della moglie nei confronti del marito non sia un obbligo nell’Islam, ma si tratti al contrario di un’idea fondata su un’interpretazione fuori contesto, che rispecchia i ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna all’epoca della rivelazione dell’Islam.310 Partendo da studiosi del X secolo, come al- Tabari (839 – 923), e continuando fino a esegeti moderni come Muhammad Abduh (1849-
309 O. Abou-Bakr, “The Interpretive Legacy of qiwamah as an Exegetical Construct.” In Z. Mir-Hosseini, M. al-Sharmani, Men in Charge: Rethinking Authority in Muslim Legal Tradition, Uk, Oneworld Publications, 2015, pp. 86-89.
310 M. Kütük-Kuriş, “Muslim Feminism: Contemporary Debates”, In Woodward M., Lukens-Bull R. (eds)
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1905) all'inizio del XX secolo, Abou-Bakr mostra quanto segue: in primo luogo, questi studiosi hanno trasformato l'aggettivo qawwamun (un termine descrittivo) presente nel versetto 4:34 - che descrive una particolare organizzazione sociale dei ruoli coniugali al momento della rivelazione - in un concetto prescrittivo identificato nel sostantivo qiyum e poi qiwama per definire la superiorità e l'autorità maschile nei confronti della donna. In secondo luogo, presentarono una sorta di lista in cui venivano elencate le qualità e le abilità innate che attribuirono, arbitrariamente, agli uomini e alle donne per giustificare tale pretesa di autorità e superiorità degli uomini sulla base della norma costruita del
qiwama. Ad esempio, lo studioso Zamakshar (1074-1144) ha prodotto un elenco di
qualità maschili (ragione, risolutezza, determinazione, forza, ecc.) per giustificare il diritto degli uomini ad avere controllo sulla donna.311 In terzo luogo, hanno collegato il concetto di qiwama al versetto 2:228 sfruttando l’ambigua nozione che vede gli uomini posti un 'grado' superiore rispetto alle donne al fine di rafforzarne il significato gerarchico, anche se tale versetto si trova in un'unità di versi che affronta il tema del divorzio e il suo messaggio centrale è quello di esortare gli uomini a rispettare le donne senza diffondere la zulm (ingiustizia); infine, esegeti di tempi moderni come Abduh consolidarono il significato patriarcale della qiwama, attribuendo quel carattere di “domesticità intrinseca” alle donne contro una presunta superiorità intellettuale intrinseca negli uomini.312 Attraverso questo studio, Abou-Bakr cerca di rivelare invece una concezione del qiwama diversa, presente nel Corano, e definita come un principio intimamente legato al contributo che sia l’uomo che la donna danno ai fini del soddisfacimento e della difesa dei bisogni dei membri della famiglia e della società. Mette in evidenza come questo modello di "supporto/mantenimento in cambio di obbedienza" ha istituito ciò che la studiosa definisce una "logica contorta" che sfrutta la parola divina in ragione di privilegio e autorità per gli uomini sulle donne, fortemente inserito nel contesto socio-economico dell’epoca.313 Il ruolo di qawwamun è stato concesso al marito non sulla base del genere, ma semplicemente perchè a quel tempo soltanto gli uomini avevano la capacità finanziaria di poter sostenere la famiglia, dimostrando, inoltre, che costrutti come qiwama tendono a demistificare la tradizione esegetica. Non si tratta più di una conoscenza
311 E. El-Badawi & P. Sanders, Communities of the Qur'an: Dialogue, Debate and Diversity in the 21st
Century, 2019, p. 85.
312 M. Al-Sharmani, “Marriage in Islamic Interpretive Tradition: Revisiting the Legal and the Ethical” in
Journal of Islamic Ethics, Vol. 2, 2018, 80-82.
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religiosa senza soluzione di continuità, immutabile e sacra, ma piuttosto storica e umana, che può per questa ragione essere rivisitata e adattata alla realtà sociale dei nostri giorni. Attraverso questa e altre importanti ricerche, Abou-Bakr cerca di ridestare la coscienza delle donne e combattere contro l’affermazione dell’inferiorità femminile, e contro la gerarchia sociale da un punto di vista religioso. Questo impegno viene vissuto dalla studiosa come un diritto-dovere delle donne, in cui la donna musulmana possiede il diritto di partecipare attivamente alla promozione della riforma religiosa e di avere la possibilità di farsi ascoltare nei dibattiti sulla religione314. Del resto, ritiene che la partecipazione delle donne con la tradizione islamica sia un dovere richiesto a ogni credente che sia in grado di farlo. Le femministe che svolgono un ruolo attivo nei progetti reinterpretativi sono infatti vivamente impegnate dentro l’islam, emotivamente, culturalmente e dottrinalmente e le loro finalità sono quelle di trovare soluzioni giuridiche che siano in grado di rimediare ai problemi che le donne musulmane incontrano nella loro vita. Studiose come Abou-Bakr, perfettamente calate nella realtà dell’attivismo femminile islamico, non sono soltanto impegnate nella riforma dei discorsi e delle pratiche religiose, ma allo stesso tempo cercano di offrire un contributo molto importante alle altre attiviste e femministe, indipendentemente dalle loro “etichette”, perché riescono a conciliare, insieme al loro impegno religioso, la volontà di lottare per lo sviluppo, per i diritti civili, per le riforme legislative, per la salute riproduttiva, per la lotta contro la circoncisione, la violenza e la discriminazione.
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Riflessioni conclusive
La trattazione portata avanti dalla presente tesi, finalizzata alla comprensione del ruolo della donna e dell’attivismo femminile in Egitto e Marocco, presenta ovviamente una complessità di contenuti e di situazioni storico-sociali analizzate che necessitano di un tentativo di sintesi che si è sviluppata lungo più traiettorie. In primo luogo, abbiamo osservato come il femminismo si sia evoluto anche nei paesi arabo-islamici– a dispetto di chi lo etichetta come un termine che appartiene al mondo occidentale e che racchiude al suo interno una storia prettamente occidentale -, seppur con modalità e contenuti differenti, rivelando in tutte le sue espressioni un denominatore comune: il diritto alla dignità umana. L'ascesa del femminismo islamico e la globalizzazione del suo discorso indicano la presenza di diversi modi di affrontare le questioni femminili, in tempi diversi e in presenza di diversi movimenti sociali riformisti che lo rendono, a mio parere, una manifestazione eloquente del pensiero post-moderno. Percepiamo, dietro l’etichetta di “femminismo islamico”, una terminologia che viene segnata dalla cultura con cui entra in contatto e basata sull'esperienza delle donne, la loro classe sociale e la loro tenacia a resistere e lottare per i loro diritti. L'attivismo delle donne musulmane ha dimostrato un forte potenziale per quanto riguarda il miglioramento del ruolo delle donne nel mondo arabo, sia nella sfera privata che in quella pubblica. Infatti, non si può negare che il femminismo islamico abbia influenzato il discorso sulla giustizia di genere nelle società musulmane in diversi modi. Se durante una prima fase, per le autorità delle società musulmane è stato più facile “oscurare” le domande femministe precedenti etichettandole come aliene, occidentali, antislamiche, gli interrogativi posti dalle femministe islamiche hanno reso più complicato respingere le loro richieste. In virtù del linguaggio usato e dello stratagemma impiegato, le domande hanno acquisito legittimità e visibilità diffusa, rappresentando un passo importante nella lotta al patriarcato.
Ma le femministe, laiche o islamiche che siano, sono state in grado di contrattare con le autorità religiose e statali ottenendo riforme legali per migliorare la situazione delle donne. Dall'innalzamento dell'età minima del matrimonio per le donne e dall'istituzione di leggi sul matrimonio e sul divorzio favorevoli alle donne, alla garanzia del diritto delle donne di studiare e perseguire diverse professioni. Indubbiamente, i movimenti delle donne nei paesi da me analizzati nonostante sono influenzati dalle rispettive leadership politiche, condividono diversi aspetti. Si cristallizzano intorno alle continue richieste di
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revisione delle leggi sulla famiglia, denunciano le pratiche sessiste del loro ambiente socioculturale fortemente patriarcale, vogliono ottenere più diritti politici e legali e lottano affinché l'istruzione sia accessibile a tutte le donne.
In Marocco, il movimento femminista ha contribuito notevolmente alla femminilizzazione di uno spazio pubblico un tempo esclusivamente maschile. Abbracciando i valori dei diritti universali e adottando strategie locali, appropriate e pragmatiche, questo movimento è riuscito a coinvolgere i principali attori politici nella promulgazione delle nuove riforme del diritto di famiglia. Queste riforme sono di gran lunga il risultato più importante del movimento femminista marocchino, perché sono riuscite a demistificare la "sacralità" della shari'a e hanno contribuito fondamentalmente alla democratizzazione dello spazio pubblico e all'attuazione dei diritti umani sul campo. Attualmente, il problema principale è quello di cercare modi efficienti per attuare concretamente il nuovo Diritto di Famiglia attraverso la sensibilizzazione di donne, uomini e famiglie agli importanti cambiamenti che sono stati introdotti nella Mudawwana e per incitare i giudici ad applicare la nuova legge senza alcuna riserva.315 A lungo termine, il dibattito pubblico su questioni familiari un tempo considerate esclusivamente private costringerà la società marocchina ad affrontare l'intricata questione del ruolo della religione in uno spazio pubblico sempre più secolarizzato, in cui le donne sono sempre più visibili come attori nella sfera politica marocchina.
Anche il movimento femminista egiziano ha raggiunto risultati importanti, seppur