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L’assenza delle vicende giuridiche nella delega originale in attuazione delle prime direttive

La via italiana alle variazioni ha avuto una genesi tutta nazionale. Quella della delega del 1971, che recependo le direttive come principio direttivo consentiva uno spazio di autonomia normativa al legislatore italiano del tutto originale218. Si trattava ancora di

realizzare una soluzione originale come quella delle variazioni senza che si affermasse il modello impositivo ma quando ancora si trattava di armonizzare le imposte esistenti.

Le variazioni nascono dunque come garanzia della coerenza del modello impositivo delineato dal legislatore nazionale. Ben prima che il modello comunitario raggiungesse la compiutezza che conosciamo oggi, con l’implementazione – seppure imperfetta – di un sistema impositivo eurounitario, la preoccupazione del legislatore nazionale era quella di garantire la coerenza e la sistematicità nell’applicazione dell’imposta, sia al suo interno, sia nel rapporto con tutto il sistema tributario che veniva allora riformato219.

La scelta, a fronte di una formulazione europea necessariamente vaga220, così da

lasciare un maggiore spazio di libertà nell’attuazione nazionale, è stata quella di vincolare ancora una volta le fattispecie tributarie a quelle del diritto civile e

218 Il riferimento è alla Legge n. 825 del 9 ottobre 1971, Delega legislativa al Governo della Repubblica

per la riforma tributaria, che all’art. 5 comma 1 afferma che la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto sarà informata alle norme comunitarie nonché ai seguenti principi e criteri direttivi poi

elencati. Sulla vicenda parlamentare che ha condotto dall’emanazione della legge delega al Decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 – Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, si legga L’imposta sul valore aggiunto – Lavori preparatori e norme di

attuazione, in Quaderni di studi e di legislazione, a cura del Servizio studi legislazione e inchieste

parlamentari, Roma, 1973. Per un’inquadramento dell’introduzione dell’iva all’interno del più ampio quadro di riforma del sistema tributario in corso nei primi anni ’70 in Italia si legga invece BORIA, Sistema Tributario in Dig. Disc. Priv. (voce), VI, La riforma tributaria degli anni ’70, XXX

219 Sulla riforma del sistema tributario negli anni ’70 e sulle esigenze di sistema delineatesi in relazione

al nuovo modello anche COSCIANI, Struttura dei sistemi tributari e loro riforma, in Dir. Prat. Trib.,

1979, I, 505, oltre alle riflessioni di BERLIRI,Principi di diritto tributario, Padova, 1969.

220 Ricostruisce l’evoluzione legislativa europea in relazione alle necessità dell’interprete nazionale per

commerciale221. Per questo, pur con le modifiche che si sono succedute negli anni per

garantire un’eguale estensione delle fattispecie imponibili in Italia e negli altri paesi membri222, rimane inalterato il criterio adottato per l’individuazione delle operazioni

imponibili 223 . Al contempo, le variazioni emergono necessitate da questa

impostazione, nella prospettiva garantista che vuole garantire al soggetto passivo che l’imponibilità corrisponda solo a operazioni tipiche o tipizzabili e che venga meno al venir meno delle stesse224.

Le variazioni quindi nascono prima dell’attuazione della sesta direttiva, quando il sistema dell’iva era soprattutto un sistema nazionale225. Lunga è la strada che ha

221 Per il riferimento al rapporto col diritto civile si veda CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale.

Il problema dell’elusione fiscale, Padova, Cedam, 1992, passim, e in particolare i capitoli 1 e 2;

FEDELE, Diritto tributario e diritto civile nella disicplina dei rapporti interni tra i soggetti

passivi del tributo, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1969, I, passim e in particolare 21 e 28; BOSELLO, La formulazione della norma tributaria e le categorie giuridiche civilistiche, in Dir. e prat. Trib.,

1981, I, 1443, GREGGI, Presupposto soggettivo e insistenza nel sistema d’imposta sul valore

aggiunto, Padova, 2013, 81

222 Per quel che concerne le riforme dell’imposta succedutesi negli anni si veda la ricorstruzione di

FILIPPI, Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. Giur., [XLVI, 1993] e CECAMORE, Valore aggiunto,

cit.; mentre per una ricostruzione del percorso che ha condotto dalle direttive al dpr 633 il riferimento è a MICHELI, L’iva dalle direttive comunitarie, cit. 431.

223 Sulla qualificazione delle operazioni imponibili nell’ordinamento nazionale CASTALDI, Le operazioni

imponibili, in TESAURO (a cura di), L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 43; PIERRO,Beni e servizi, cit. 268; per quel che concerne il rapporto con il legame con le categorie di diritto civile

nell’individuaizone delle operazioni imponibili si veda LUPI,Imposta sul valore aggiunto, in Enc.

Giur. Treccani, 1989, 10, in cui l’Autore evidenzia che gli art. 2 e 3 del dpr 633 segnalano le

caratteristiche essenziali delle operazioni a titolo oneroso legando le cessioni di beni alla costruzione e al trasferimento di diritti reali o altri diritti reali minori di godimento e contratti aventi generalmente ad oggetto un facere. Per quel che invece concerne specificamente le cessioni di beni si legga FILIPPI, Le cessioni di beni nell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 1984. Si evidenziano poi le difformi posizioni di INGROSSO, Le operazioni imponibili ai fini dell’iva, in Dir. Prat. Trib., 1973, I, 476 e PERRONE CAPANO, L’imposta sul valore aggiunto, cit. 277, che hanno

sostenuto che con la locuzione “cessione di beni” il legsilatore volesse ricomprendere anche il trasferimento della semplice disponibilità economica del bene o del diritto.

224 Specificamente in tema di variazioni si vedano, CARINCI, Le variazioni iva: profili sostanziali e

formali in «Riv. Dir. Trib», 2000, I, 725; BASILAVECCHIA, Le note di variazione, in TESAURO (a

cura di) Giurisprudenza sistematica di diritto tributario – L'imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 644; TABET, Riflessioni in tema di note di variazione Iva per fatture insolute, in Rass. Trib.

2015, 785. Nelle maggiori opere a carattere monografico in tema di imposta sul valore aggiunto, invece, si leggano BOSELLO,L’imposta sul valore aggiunto, cit. 92; COMELLI, Iva comunitaria,cit.

831; DUS, L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 1981, 590; GALLO, Profili, cit. 76; PERRONE

CAPANO, L’imposta sul valore aggiunto, cit. 524; ancora per quel che concerne le voci

encliclopediche, FILIPPI, Valore aggiunto, cit., par. 19 e LUPI,cit.

225 Per una ricostruzione della funzione e della struttura delle variazioni nel modello interno prima

dell’introduzione della sesta direttiva si può leggere DUS, in L’imposta sul valore aggiunto – lavori

condotto all’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto nel 1972, in particolare lunghi sono stati i lavori preparatori che hanno accompagnato la redazione di quello che diventerà poi il dpr 633226. Questo perché la stessa legge delega del 1971, quando

si occupa di imposta sul valore aggiunto, oltre ad un generico recepimento dei principi contenuti nelle direttive, si limita ad una delega molto ampia, che quindi rimette integralmente al legislatore delegato la possibilità di scegliere il modello attuativo nel dettaglio227. Al contempo, i riferimenti alla disciplina europea

rimangono un parametro alquanto generico, poiché, come si è visto, la prima e la seconda direttiva si limitavano a introdurre un modello d’imposta, in cui però il ruolo preminente era ancora quello svolto dalle scelte di attuazione dei singoli Stati membri.

In verità anche la legge delega offre al delegato indicazioni alquanto generiche, seppur chiare nell’individuazione di quelli che dovranno essere gli elementi caratterizzanti della nuova imposta, soprattutto per quel che concerne il tema dell’individuazione delle operazioni imponibili. Oltretutto, in coerenza col fatto che ci si trova in un periodo di grande cambiamento ma di ancor più grande incertezza, il legislatore nazionale sceglie di distinguere i piani: la nuova imposta dovrà essere sì

informata alle norme comunitarie ma anche (nonché) ai principi e criteri direttivi

declinati nella legge delega228. D’accordo con la delega stessa, che per prima

introduce nel nostro ordinamento l’imposta sul valore aggiunto, quindi, i principi ispiratori sono prima di tutto quelli delineati dal legislatore nazionale, pur nel rispetto delle norme comunitarie229.

226 La ricostruzione del lungo percorso e delle molte dilazioni che hanno portato all’emanazione del

decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972 n. 633 va ricercata ne L’imposta sul

valore aggiunto. Lavori preparatori e norme di attuazione, Servizio studi legislazione e inchieste

parlamentari (a cura di), Roma, 1973

227 L’articolo 5 – Principi e criteri direttivi della disciplina dell’Iva, afferma che “La disciplina

dell’imposta sul valore aggiunto sarà infromata alle norme comunitarie nonché ai seguenti principi e criteri direttivi” a cui segue la delega in senso tecnico, con l’indicazione di tutti gli elementi che verranno poi assunti come criteri per l’individuazione della struttura dell’imposta.

228 Si veda il già citato art. 5 comma 1, cap. della legge delega 825 del 1971

229 Riferimento introdotto solo in un secondo momento, come appare dalla lettura degli atti

parlamentari della II commissione iva, e in particolare dall’intervento riportato in L’imposta sul

Questa prima presa di posizione è significativa, poiché esprime in modo molto chiaro quale fosse il rapporto tra gli ordinamenti nella primissima fase dell’iva, in cui, come si è già visto analizzando l’evoluzione dell’imposta nell’ordinamento comunitario, prevaleva sempre il ruolo degli Stati230. Questi, infatti, verberando le imposte,

potevano definire nel dettaglio il nuovo modello impositivo, con la libertà ampia che derivava da una formulazione normativa europea generica e linguisticamente ancora vaga. Le diverse imposte nazionali, pur nate per garantire l’armonizzazione potevano declinare i diversi modelli impositivi in modo da garantire prima e soprattutto la coerenza col sistema tributario nazionale.

Questa caratteristica emerge in modo ancor più evidente ove si prenda in considerazione il fatto che l’introduzione dell’iva in Italia corrisponde, com’è noto, alla grande riforma tributaria che ha coinvolto in modo radicale tutti i settori dell’imposizione, sotto il profilo del diritto sia formale sia sostanziale231. Per questa

ragione, anche, l’istanza che dapprima emerge nell’elaborazione del nuovo modello di imposizione indiretta, è quella di garantirne la coerenza col nuovo sistema, d’accordo col più generale impegno di affrontare il riordino del sistema tributario alla luce delle esigenze dell’equilibrio finanziario232. Quest’ultimo, anche in ragione di una

230 Sul rapporto tra ordinamenti e la sua evoluzione, si legga DI PIETRO, Per una costituzione fiscale

europea, Padova, 2008, 439.

231 Il 28-9-1962 venne insediata la Commissione per lo studio della riforma tributaria di cui facevano

parte alcuni tra i più autorevoli studiosi della materia tributaria (tra gli altri Cosciani — vice- presidente —, Allorio, Berliri, Visentini, Scotto, Forte, Steve, Stammati), la quale dopo aver provveduto ad una ampia indagine sulla struttura vigente dell'ordinamento fiscale formulò un articolato progetto di revisione del sistema dei tributi. Gli obiettivi della riforma vennero sintetizzati in quattro punti: perseguire una esigenza di chiarezza e semplicità; ricercare una distribuzione del prelievo tributario più equa ed efficiente, tanto attraverso la progressività quanto con la riduzione dell'area dell'evasione; rendere lo strumento fiscale funzionale alle esigenze di politica economica, prima tra tutte la stabilità del reddito nazionale; adeguare il sistema tributario al contesto comunitario. L'intervento sui tributi vigenti era concepito in termini radicali, con un netto stravolgimento sia della struttura del tributo, sia dei rapporti tra i medio-sistemi. Peraltro in termini metodologici si proponeva una gradualità dei tempi della riforma e comunque il rispetto del vincolo della parità di gettito. Le sollecitazioni della Commissione vennero metabolizzate con una certa lentezza, per essere poi accolte più o meno integralmente (con la sola eccezione di rilievo dell'imposta patrimoniale) nella riforma tributaria dei primi anni settanta. Per la lettura della relazione finale, il cui estensore fu Cosciani, si veda Stato dei lavori della commissione per lo

studio della riforma tributaria, Milano, 1964. Per quel che concerne la riforma del sistema

tributario dei primi anni ’70 in Italia si veda BORIA, Sistema tributario, cit.

232 Prima della riforma, infatti, Le imposte dirette concorrevano al gettito delle entrate tributarie

(incluse tasse e diritti fissi) in misura del 37,97%, mentre le imposte indirette concorrevano nella misura del 56,68% con un incremento sensibile rispetto all'incidenza avuta nel primo quarantennio dopo l'unificazione nazionale, sul punto si veda GANGEMI, Sulla cosiddetta

tradizione in cui la maggior parte del gettito erariale proveniva dall’imposizione sui consumi233, era considerato come una condizione essenziale, poiché valeva a

garantire il reperimento delle risorse necessarie, nell’attuazione di un nuovo sistema tributario. Peraltro, tra gli obiettivi evidenziati nella legge di delega, oltre ad assicurare la progressività dell’imposizione234, c’era quello di un nuovo sistema

impositivo che potesse essere manovrabile in relazione alle esigenze della politica economica. Sotto quest’aspetto, quindi, l’imposta sul valore aggiunto, nel rispetto sia delle esigenze nazionali, sia dell’impostazione europea, supera, unificandole, le previgenti imposte sui consumi, in cui all’imposta generale si affiancavano le diverse imposizioni locali sul consumo per addivenire all’introduzione di un prelievo unitario e generalizzato235.

Al contempo, però, la scelta del legislatore della delega non manca di evidenziare la volontà di inserire la nuova imposta indiretta nel quadro della riforma comunitaria236, utilizzando l’occasione della riforma globale del sistema tributario per

introdurre non solo un nuovo modello impositivo ma, più profondamente, dei nuovi principi a cui ispirare l’imposizione indiretta237. Principi che non vengono mutuati

evoluzione del sistema tributario. Lo sviluppo dei rapporti fra imposizione diretta ed indiretta in Studi in onore di Gino Luzzatto, VI, Milano, 1950, 71.

233 Per il rapporto tra gettito derivante dalle imposte dirette e indirette prima della riforma tributaria si

veda ancora BORIA, Il sistema tributario, cit.

234 Sulla progressività del sistema, ed in particolare sull’asserzione, contenuta all’art. 1 della legge di

delega del 1971, per cui il nuovo sistema tributario doveva essere informato alla progressività il dibattito è stato lungo e articolato, anche alla luce della posizione – ora superata ma allora maggioritaria in dottrina – per cui il secondo comma dell’art. 53 della Costituzione avrebbe svolto una funzione meramente programmatica, non precettiva. Non è possibile dare conto in questa sede dell’intero dibattito, si veda tuttavia ***

235 Sul carattere della generalità applicato all’imposizione sul valore aggiunto si legga COMELLI, Iva

comunitaria, cit. 318

236 Al riguardo l’art. 1 della legge 825 del 1971 che declina l’obiettivo di riforma in un quadro d’insieme

teso alla realizzazione degli obiettivi di un prelievo progressivo e rispettoso del principio di capacità contributiva. Sulle difficoltà nell’individuazione della capacità contributiva espressa nell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto si veda, in termini riassuntivi, SALVINI, Rivalsa,

detrazione e capacità contributiva, cit. 1305.

237 È significativo che al momento della presentazione della proposta di legge delega al Parlamento, a

seguito dei lavori della Commissione finanze e tesoro, il relatore di maggioranza tenga a sottolineare come “le modifiche strutturali più rilevanti siano state adottate sul terreno dell’imposizione indiretta. L’imposta sul valore aggiunto è stata condotta fino al dettaglio incluso, facendo agire così un’imposizione neutra sull’intero ciclo d’affari, chiudendo gli spiragli all’evasione (sic. NdP), presenti nel sistema d’interruzione della catena, eliminando ipotesi di

per relationem dalla direttiva ma fatti propri dal legislatore italiano, che dettando le

linee guida da rispettare nell’elaborazione dell’imposta sul valore aggiunto, evidenzia proprio quei caratteri di proporzionalità, generalità e neutralità che sarebbero poi stati protagonisti anche del modello europeo.

Ciò che è più rilevante è proprio la scelta di riprendere, nel testo della legge delega le formule già utilizzate dal legislatore comunitario. All’art. 5 della legge 825 del 1971, infatti, si parla di cessione di beni di ogni genere e specie effettuate nell’esercizio dell’attività d’impresa e di prestazione di servizi, con la sola esclusione di quelle espressamente esentate per ragioni di rilevante utilità culturale e sociale. Manca quindi ogni riferimento alla dimensione tipicamente giuridica della disciplina dei rapporti economici di cessione dei beni e prestazione dei servizi, che verrà invece introdotta, come emerge dai ricchi lavori parlamentari, nel corso dell’elaborazione del decreto delegato238. Nella delega, invece, sopravvive ancora una formulazione più

prossima alla dimensione economica del diritto, per cui si guarda alla circolazione dei beni come fenomeno economico, che in quanto tale, scambio remunerativo di beni o servizi, deve poter essere apprezzato dal legislatore delegato nel momento della formulazione del modello impositivo nel suo complesso239.

Ciò che invece appare ben chiaro già dalla delega è la volontà del legislatore nazionale di introdurre fin dal subito i caratteri essenziali della nuova imposta, richiamati dai considerando delle prime direttive, che diverranno poi, come si è visto, uno dei parametri di maggior importanza per l’evoluzione e non solo l’interpretazione della nuova imposta. L’art. 5, che introduce principi e criteri direttivi per la disciplina dell’iva, introduce, seppure in maniera indiretta, i caratteri di essenzialità, neutralità

fenomeni distorsivi di rendita fiscale, anticipando, per la materia, l’armonizzazione con la legislazione vigente nei paesi del Mercato comune”(pag. 88 della relazione di maggioranza di presentazione della legge delega al parlamento). Emerge qui la contrapposizione del modello d’imposta poi effettivamente introdotto con quello, preso in considerazione come opzione alternativa, di una duplice imposta, sul valore aggiunto fino al momento dell’immissione al consumo e sul consumo per la vendita al dettaglio.

238 Sulle incertezze della legge di delega si veda FANTOZZI,Il presupposto, cit. 725, e sulla necessità di

provvedere ad un’interpretazione comunitariamente orientata nelle scelte di attuazione BERLIRI,

Appunti per una costruzione giuridica dell’iva: individuazione dell’obbligazione tributaria e delle obbligazioni connesse, in Giur. Imp., 1968, 356.

239 Riprende e valorizza questa interpretazione delle operazioni imponibili INGROSSO,Le operazioni

e generalità, declinando gli elementi essenziali dell’introducenda imposta proprio nel rispetto di questi caratteri specifici.

Così, per quel che concerne le operazioni imponibili si chiarisce fin da subito che la scelta di attuazione dovrà rispettare il principio di generalità240. Seppure non

richiamato espressamente, infatti, questo principio si traduce nella scelta di individuare come assoggettate all’imposta le categorie di atti già ricordate, che corrispondono poi alle cessioni di beni di ogni genere e specie241, con l’indicazione

esplicita di considerare ceduti anche i beni destinati al consumo personale o familiare del soggetto nonché le finalità estranee all’attività di impresa242. Questo schema, per

quel che concerne le cessioni di beni riprende quindi il modello generale già introdotto dalle prime direttive e in particolare si preoccupa di individuare puntualmente quali beni, seppur ceduti, non daranno comunque origine ad un’operazione rilevante ai fini dell’iva. In particolare vengono considerate escluse le operazioni di cessione di crediti e somme di denaro, dei terreni, di quote sociali ed aziende. Tutte le altre cessioni, senza distinzione, dovranno invece poter essere considerate imponibili ogniqualvolta vengano effettuate nell’esercizio di imprese, arti o professioni243.

240 Sul principio di generalità COMELLI, Iva comunitaria, cit. 314

241 Coerentemente con l'ampio principio riportato nella delega il legislatore italiano sceglie di comprendere nella nozione di beni ai fini della cessione anche i beni immateriali, diversamente dalle direttive comnuitarie che invece limitano la nozione di cessione di beni solo agli atti relativi a beni materiali, inquadrando tra le prestazioni di servizi tutti gli atti relativi a beni immateriali. In questo senso si veda CECAMORE, Valore aggiunto (imposta sul), in Dig. Disc. Privatistiche, 1999,

242 Il riferimento è all’art. 5 comma 1 lett. a) e b) della legge delega.

243 Va notato come il legislatore sia dichiaratamente più ancorato alle categorie nazionali per quel che

concerne il profilo soggettivo dell’imposta. Emerge già dall’art. 5, e ancora più evidente sarà la scelta nell’art. 15 che si occupa specificamente di dettare le linee di comportamento per l’esercizio del diritto alla detrazione nel momento del passaggio dal precedente modello di imposizione frammentata sul consumo a quello unitario e plurifase della sola imposta sul valore aggiunto. Come emerge già in questa sede, però, il legislatore abbandona, per quel che concerne il profilo soggettivo, il linguaggio comunitario, prediligendo l’uso di terminologia nota e categorie certe. Nessun riferimento, dunque, alle attività economiche dell’art. 2 della seconda direttiva, al contrario vengono chiamati direttamente in causa l’esercizio dell’attività d’impresa e, alla lettera c del primo comma le prestazioni effettuate da professionisti nei confronti di soggetti tenuti al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto. Si introduce così, fin dal principio, la distinzione tra

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