È proprio nella formulazione cristallizzata con l’art. 90 e nella sua interpretazione che emerge con chiarezza come il sistema delle variazioni sia posto a presidio dei caratteri essenziali dell’iva e dell’efficacia del suo meccanismo applicativo ed è in questa prospettiva che deve essere interpretata la successiva evoluzione delladisciplina delle variazioni, fino alle fasi successive rispetto al momento dell'introduzione nella direttiva rifusa del 2006.
Si è già detto come la formulazione della norma non cambi, in corrispondenza della riorganizzazione del 2006. Ciò vale a spiegare come, pur nelle evoluzioni successive e nel passaggio da un'armonizzazione debole a un'armonizzazione forte e ancora ad un sistema autonomo, come è stato nel caso dell'iva, l'impianto sistematico del regime delle variazioni non sia mai stato oggetto di modifiche. Lo scopo che il legislatore vuole garantire è sempre quello del mantenimento del rapporto tra il venire in essere del fatto generatore e la qualifica dell’operazione come imponibile, nonché tra il corrispettivo e l'imponibile, così da ottenere una coerenza di sistema che superi anche le divergenze attuative sul piano nazionale. Così come la nozione di operazioni imponibili e di corrispettivo devono poter essere considerate una nozioni autonome di diritto dell'unione europea, in quanto parametro scelto per l’imponibilità e per la determinazione della base imponibile, ugualmente l'interpretazione del regime delle
garantire al contribuente il diritto alla detrazione. Nel primo caso gli Stati hanno l’obbligo di provvedere in coerenza con gli ordinamenti interni, mentre nel secondo è la direttiva stessa a consentire la deroga. Cfr. dir. 2006/112 art. 90 co. 2: in caso di non pagamento totale o parziale,
variazioni deve essere sempre resa in modo da garantire questo stesso obiettivo comune.
D'accordo con l'interpretazione accolta dal legislatore europeo il sistema delle variazioni è pensato esclusivamente per intervenire sulla corretta determinazione della base imponibile, in conseguenza, diretta o indiretta, di una vicenda dell'operazione imponibile. Quando, invece, ciò di cui si tratta è una variazione dell'imposta in senso stretto non si rientra, per la corretta applicazione della direttiva, nel campo delle modifiche ex art. 90 della direttiva 2006/112/CE, bensì nel diverso settore delle rettifiche della detrazione, di cui all’art. 185.
Ciò che è interessante rilevare, con riferimento alla direttiva rifusioni è che la scelta è quella di preservare questa bipartizione sistematica, tra le vicende dell'operazione che incidono sulla base imponibile, dunque solo in via mediata sull'imposta, e vicende dell'imposta, che non riguardano l'operazione ma più strettamente la corretta determinazione e applicazione dell'imposta a condizioni immutate206.
Nelle ipotesi prese in considerazione dall'art. 90, infatti, la modifica investe a vario titolo il fatto generatore dell'imposta, che può venir meno, perdere la qualifica o più semplicemente essere modificato per volontà bilaterale o unilaterale delle parti quanto al contenuto della prestazione.
L'impostazione legislativa quindi non cambia, pur assumendo una maggiore autonomia, poiché non si tratta più di un'articolazione interna alla disciplina della determinazione della base imponibile. Al contrario il regime delle variazioni viene autonomamente disciplinato all'art. 90, tra le disposizioni che sono a diverso grado riferibili al tema generale, e che ne costituiscono il corollario a diverso titolo.
La struttura, però, rimane sempre identica, è previsto un obbligo, in capo agli Stati, di introdurre una procedura che consenta di adeguare l'imponibile alle vicende dell'operazione. In più, gli Stati non sono obbligati al recepimento quando si tratti di
206 È escluso, nell’interpretazione della Corte, ogni legame tra il contenuto dell’art. 90 e la disciplina ad
esso riconducibile e le vicende dell’imposta in senso stretto. Il riferimento è a tutte le ipotesi in cui l’imposta dovuta – sia che si tratti di rivalsa eccessiva sia che si tratti di eccesso di detrazione per errori di qualificazione – sia difforme rispetto a quella che avrebbe dovuto essere versata, ad esempio per un errore nel calcolo del pro-rata generale di detrazione (vedi ); per l’applicazione indebita o la non applicazione dell’aliquota ridotta; per un errore di qualificazione soggettiva del cessionario o committente. In tutti questi casi la soluzione in via interpretativa della Corte non riguarda mai le disposizioni contenute all’art. 90, ma sempre quelle di cui all’art. 184 e seguenti in tema di rettifiche della detrazione.
modifiche dell'imponibile derivanti da un mancato pagamento del cessionario o committente.
Proprio su questa distinzione, tra l'obbligo di implementare una procedura per l'adeguamento dell'imponibile in tutti i casi descritti dall'art. 90 fatti salva l'ipotesi di mancato pagamento, si è maggiormente spesa la Corte in funzione di interpretazione. Gli interventi giurisprudenziali in tema di corretta implementazione del sistema delle variazioni, infatti, sono soprattutto concentrati sul sistema che emerge dopo la rifusione, nonostante non vi sia alcun tipo di modifica al dato testuale nel passaggio dall'art. 11 all'art. 90207.
La ragione è non solo strutturale, quanto contingente. Dopo la modifica del 2006, e per ragioni del tutto indipendenti dall'evoluzione giuridica e legisaltiva in materia di imposta sul valore aggiunto, la congiuntura economica è decisamente cambiata e sono state sempre di più le occasioni in cui i diversi Stati membri si sono trovati a dover correttamente interpretare e applicare i limiti alla nozione di mancato pagamento208. Va ricordato, infatti, che è proprio la direttiva a prevedere la
possibilità per cli Stati membri di non procedere all'attuazione della procedura di variazione nell'ipotesi in cui questa sia giustificata dal mero mancato pagamento e non da vicende sopravvenute che incidano sul contenuto dell'operazione.
La possibilità di prevedere una deroga alla disciplina delle variazioni nelle ipotesi di mancato pagamento, in quanto espressamente prevista dalla direttiva, è stata a sua volta oggetto d’interpretazione. La definitiva messa a sistema del regime corrisponde anche al raggiungimento della più ampia armonizzazione delle ipotesi in cui è riconosciuto il diritto alla variazione. Di conseguenza, l'esigenza sempre più marcata è quella d’individuare in modo inequivoco i limiti, alla possibilità riconosciuta agli Stati di prevedere delle deroghe. Poiché la disciplina delle variazioni corrisponde ad
207 Delle, pur non molte, pronunce di Corte di Giustizia sul tema della corretta interpretazione della
disposizione in tema di modifiche della direttiva la sola Golsdmith, C-330/95 risale a prima della direttiva rifusioni. Sotto questo aspetto ha buon gioco il giudice nell’applicare logiche di sistema anche a casi a cui dovesse applicarsi, ratione temporis, il disposto della sesta direttiva. Poiché il mutamento è del quadro di sistema, non letterale, infatti, non v’è soluzione di continuità che impedisca un’interpretazione adeguata al nuovo modello sistematico.
208 S’impone dunque all’attenzione dei giudici nazionali una moltiplicazione delle istanze in cui le
operazioni vengono meno a vario titolo, oltre – soprattutto – alle fattispecie connesse con le vicende dell’esecuzione.
un generale presidio del corretto funzionamento del modello impositivo armonizzato, essa si traduce per gli operatori economici che operano nei diversi Stati ad un diritto all’adeguamento dell’imponibile e dell’imposta tutte le volte in cui si verifichi una delle fattispecie rilevanti per l’ordinamento europeo. Per contro, le ipotesi di deroga devono essere limitate alla sola ipotesi – il mancato pagamento – espressamente prevista dalla direttiva medesima e nei limiti interpretativi sanciti dalla Corte. Detto altrimenti, non è nel potere degli Stati offrire un’interpretazione ampia della nozione di mancato pagamento così da ridurre illimitatamente e ingiustificatamente l’esercizio del diritto alla variazione per i soggetti passivi coinvolti in un’operazione poi venuta meno209.
Proprio perché è liberamente derogabile dagli Stati l’obbligo di riconoscere il diritto alla variazione nelle ipotesi di mancato pagamento non è altrettanto stringente. Se la funzione della variazione è quella di presidiare il corretto rapporto tra effetti economici del rapporto giuridico ed imposta, questo rapporto non viene influenzato dal mancato pagamento.
Le variazioni da mancato pagamento determinano una potenziale incertezza applicativa del sistema. A fronte di ciò la direttiva è formulata in modo tale da rimettere agli Stati la scelta tra la valorizzazione delle esigenze di certezza, escludendo del tutto la possibilità di effettuare la variazione nei casi di mancato pagamento, ovvero delle esigenze di liquidità del creditore insoddisfatto a cui corrisponde il riconoscimento del diritto alla variazione quanto il corrispettivo pattuito non sia stato pagato. In questa seconda ipotesi, ciò che trova maggiore tutela è la posizione del soggetto passivo che, a fronte dell'incertezza sull'an e sul quantum del pagamento, sia del corrispettivo che dell'imposta addebitata in rivalsa, viene liberato dal pericolo di dover sopportare il peso economico dell'imposta.
L'ammissione della deroga, dunque, trova una sua giustificazione sistematica, che tuttavia non deve poter incidere sulla possibilità di applicare in maniera corretta l'imposta nel suo complesso. In questo senso l'interpretazione della Corte di Giustizia
209 Sotto questo aspetto è molto chiara la posizione assunta dalla Corte in C-337/13, punto 35 quando
afferma che i soggetti d’imposta possono far valere l’art. 90, paragrafo 2, della direttiva iva
dinanzi i giudici nazionali nei confronti dello Stato per ottenere la riduzione della loro base imponibile dell’iva, qualora lo Stato, non trasponendo correttamente la direttiva li avesse privati di
si è molto evoluta rispetto alle posizioni originarie e ha superato anche le incertezze interpretative che corrispondevano alla prima fase dell'armonizzazione.
In particolare il nuovo orizzonte interpretativo dell'art. 90 è quello per cui la deroga concessa al secondo comma deve essere interpretata nel modo più restrittivo possibile. In altri termini gli Stati possono negare l'accesso alla procedura di variazione dell'imponibile che deve essere stata implementata nell'ordinamento solo nei casi in cui l'inadempienza del debitore sia una condizione esclusivamente fattuale. In altri termini, tutte le volte in cui all'inadempimento corrisponde una qualificazione giuridica del cambiamento delle posizioni reciproche dei soggetti coinvolti nell'operazione, quale che sia il nomen iuris con cui quella specifica situazione viene classificata all'interno dei diversi ordinamenti, deve poter essere effettuata la variazione.
3.7. Le variazioni dell’imponibile e dell’imposta per effetto diretto