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L’assimilazione dell’ente all’imputato

L’art 35 equipara la persona giuridica all’imputato e con ciò gli si rendono applicabili le disposizioni processuali relative, in quanto compatibili. Il legislatore così facendo estende all’ente lo statuto costituzionalmente tipico dell’imputato, che comprende la presunzione di non colpevolezza (art 27, comma 2 Costituzione), seppur con alcune differenze: l’art 6 pone a carico dell’ente la prova della propria innocenza e questo stride col principio di presunzione di non colpevolezza. Questo non è un caso isolato, in quanto si riscontra che sotto altri aspetti questa equiparazione sembra non del tutto riuscita. Anche il modo di partecipazione dell’ente al procedimento, con riferimento alle modalità di costituzione nel processo del soggetto collettivo, attesta un’imperfetta equiparazione dell’ente all’imputato. Infatti l’inserimento della sottoscrizione da parte del difensore munito di apposita procura speciale e della dichiarazione di elezione di domicilio nel novero dei requisiti essenziali previsti a pena di inammissibilità dell’atto di costituzione dell’ente nel processo,

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rappresenta un sintomo della volontà del legislatore di disciplinare l’intervento della persona giuridica su quello del convenuto nel processo civile. Possiamo affermare quindi che il processo agli enti diverge da quello codicistico più di quanto previsto dall’art 34, cosicché diventa obbligatorio ricostruire la disciplina. L’imperfetta parificazione tra ente ed imputato viene posta in evidenza anche dall’art.44, inerente l’incompatibilità con l’ufficio di testimone. L’articolo al suo primo comma prevede due casi di incompatibilità, una per la persona imputata del reato da cui dipende l’illecito amministrativo e una per il rappresentante indicato nella dichiarazione dell’art.39 comma 2 che rivestiva questa posizione anche al momento della commissione del fatto. La ratio dietro a queste due previsioni è di evitare che questi soggetti siano obbligati a dire il vero. Nessuna incompatibilità è invece prevista per il legale rappresentante che all’epoca del reato non rivestiva tale qualifica, e questa scelta sembra contraddire il principio di equiparazione dell’ente all’imputato ex art.35, in quanto questa ambigua disciplina che alle volte configura il rappresentante all’imputato e altre al testimone, si presta facilmente a critiche. Infine un altro aspetto problematico risulta quello riguardante la ripartizione dell’onere della prova. Questa varia a seconda del soggetto che commette il reato: se un apicale o un subordinato. Il pubblico ministero è gravato di un onere probatorio più leggero nel caso in cui sia un soggetto di vertice a realizzare l’illecito, con l’ente chiamato a dover effettuare tutta una serie di procedimenti per potersi discolpare. Tutto questo è in chiara opposizione con la presunzione di non colpevolezza.

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10. I soggetti

L’art.1 d.lgs.n.231 del 2001 determina l’ambito operativo degli strumenti cautelari previsti dalla normativa, identificando gli enti cui queste misure possono essere applicate. Al primo comma si afferma che gli enti sono ritenuti responsabili per gli illeciti amministrativi commessi nel loro interesse o nel loro vantaggio; il secondo comma stabilisce che i destinatari delle previsioni sono gli enti forniti di personalità giuridica, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica, mentre al terzo comma si fa riferimento a quei soggetti cui la disciplina in esame non trova applicazione, ovvero lo Stato, gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. Il legislatore non ha voluto limitare la responsabilità ai soli soggetti dotati di personalità giuridica e per questo nella stesura della normativa si è avvalso del termine “enti”, rendendo quindi l’ambito applicativo della norma molto generico. Nella regola e nelle eccezioni “lo sviluppo in concreto della formula normativa risulta tutt’altro che agevole, trovandovi inserimento una vera e propria galassia di soggetti di diritto l’enumerazione dei quali rischia, perennemente di peccare per difetto o per eccesso ed un simile stato di incertezza oltre a favorire querelles, toglie, di fatto, carattere tassativo al catalogo cui rinvia l’art.1 comma 2 d.lgs.231 del

200124” in base ad un approccio funzionale e formale. Si può pertanto

tracciare solo uno sguardo di insieme dal dettato normativo, cercando di ricavare ulteriori criteri identificativi degli enti interessati: a) l’autonomia soggettiva, che renda possibile l’individuazione di un interesse o vantaggio proprio dell’ente; b) la finalità lucrativa dell’amministrazione della societas; c) l’autonomia patrimoniale che

24 G.PAOLOZZI, Vademecum per gli enti sotto processo. Addebiti “amministrativi” da reato, p.38

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permetta all’ente di disporre di un patrimonio proprio; d) la struttura organizzativa interna che consenta di muovere alla persona giuridica un rimprovero per colpa di organizzazione. Tra i destinatari principali della disciplina vi sono le persone giuridiche e nelle persone giuridiche private riconosciute rientrano quelle indicate negli art 14 ss del c.c. tra cui le fondazioni, seguono poi le società di persone, ovvero le società semplici (art 2251 c.c. ss), in nome collettivo (art 2291 c.c. ss) in accomandita semplice (art 2313 c.c. ss) che si caratterizzano per la loro autonomia patrimoniale e la piena soggettività giuridica, le società cosiddette di fatto e le società irregolari (art 2297 e 2317 cc). All’art 1 mancano riferimenti alle società di capitali, ovvero le società per azioni (art. 2325 c.c.), in accomandita per azioni (art. 2452 c.c.) e le società a responsabilità limitata (art. 2462 c.c.), anche unipersonali, le società estere con sede secondaria nel territorio dello stato (art 2508), le società cooperative e di mutua assicurazione (art.2511 e 2546 c.c.). Un momento di riflessione lo pone la categoria delle associazioni non riconosciute, che annovera un elevato numero di soggetti, privi di personalità giuridica ai sensi degli art 36 ss c.c. che hanno una dimensione familiare e quindi c’è il rischio di ricomprendere nell’ambito di applicabilità del d.lgs. anche realtà di rilevanza minima, per le quali, la previsione di forme di responsabilità da reato potrebbe rilevarsi diseconomico, alla luce di tutti gli apparati sostanziali e processuali di cui dovrebbero dotarsi 25. Non dovrebbe integrare, in generale, la soggettività rilevante ai sensi dell’art 1, l’entità che non sia costituita per svolgere un’attività giuridica propria distinta da quella dei singoli componenti e priva di autonomia patrimoniale. L’ente deve essere un centro di imputazione soggettiva

25 Relazione al decreto legislativo. " disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica" cit. p. 478

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di atti giuridici spontanei rispetto a chi materialmente compie l’atto e non identificabile con la stessa persona fisica che agisce: deve esistere un’apprezzabile complessità organizzativa con la possibilità di distinguere un interesse dell’ente dall’interesse della persona fisica. In altri termini “la nostra legge si riferisce sempre ad un soggetto altro rispetto all’imprenditore, a un soggetto che gestisce un’attività a rischio reati: un ente che non può anche non possedere una personalità giuridica, se l’ordinamento non gliel’ha attribuita, essendo sufficiente che si ponga in una situazione di alterità dialettica con la gestione dell’attività e le persone fisiche che la svolgono “26. Questa considerazione registra le perplessità interpretative rispetto all’applicabilità delle norme di questa materia nei confronti delle imprese individuali. Infatti mentre in un primo momento si assiste ad una presa di posizione della Corte di Cassazione volta ad escludere questo tipo di impresa dall’elenco di quelle destinatarie27, ma che

pochi anni dopo la Corte ribalta la sua visione28, optando per

un’assimilazione delle imprese individuali alle società unipersonali, applicando quindi la disciplina punitiva. Questa posizione comunque viene rimpiazzata di recente da una nuova sentenza che ritiene inapplicabile alle società individuali la normativa sulla responsabilità

delle persone giuridiche29. Per quanto riguarda l’ambito delle

esclusioni, il legislatore delegato in questo caso si discosta in modo rilevante dalle indicazioni della legge delega: all’art 11 della legge delega sono esclusi, oltre che lo Stato, anche gli “altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri”, consentendo così di applicare la disciplina ad una cerchia di soggetti collettivi più ampia; la dizione “poteri pubblici” infatti esclude tutta una serie di enti che non possono

26 A.ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche,2010, cit., p.58 e 61 ss 27 Cass.pen., sez. VI, 22 aprile 2004, Ribera, in Cass.pen. 2004, p. 4046 ss 28 Cass.pen., sez. III, 20 aprile 2011, n.15657, in Cass.pen. 2011, p. 2556 ss 29 Cass.pen., sez. VI, 16 maggio 2012, n.30085, in C.E.D. Cass. n.25299

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esercitare questi poteri e che per questo sono sottoposti alla responsabilità da reato della legge delega. La scelta operata dal legislatore delegato invece opta per “enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”, definizione che racchiude anche i partiti e sindacati; questi ultimi vengono esclusi dalla normativa per timore che l’impiego delle sanzioni possa venire strumentalizzato a fini di dissenso e causare così un restringimento dei loro diritti costituzionalmente garantiti. Ulteriori realtà comprese in questo novero sono il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati, la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Segreteria della Presidenza della Repubblica e il CNEL, la cui sottoposizione alla materia avrebbe potuto comportare ad avviso del legislatore, la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione del Paese. La norma è chiara nell’esentare dalla disciplina lo Stato, in quanto titolare del potere sanzionatorio, non potendo rivestire anche il ruolo di destinatario. Si escludono altresì gli enti pubblici territoriali, cioè le regioni, le provincie, i comuni, le comunità montane per le funzioni

pubblicistiche che svolgono30. Un’altra categoria che non viene

ricompresa dalla disciplina in questione è rappresentata dagli enti pubblici non economici, sottolineando però come non esista una nozione univoca di questo tipo di enti e ciò comporta che la loro definizione venga ricostruita al contrario basandosi sulla definizione di enti pubblici economici, ovvero quegli enti che svolgono attività imprenditoriali nei settori produttivi, degli scambi e dei servizi; si può affermare che gli enti pubblici non economici non legano la loro esistenza a scopi di profitto e di lucro. Si esclude dall’applicazione, i

30 Anche la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi a riguardo, confermando l’esclusione di questi soggetti: G.I.P. Trib. Salerno, 28 marzo 2003, soc.Ivam e Monteverde, in Cass.pen., 2004, p.266

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cosiddetti enti pubblici associativi (quali l’ACI, gli ordini e i collegi professionali), gli istituti di assistenza (quali la CRI), le scuole e le università, tutte realtà che svolgono e curano interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative. Gli enti cosiddetti economici rientrano, per contro, nel catalogo dell’art.1 d.lgs. n.231, argomentando a contrario dell’estromissione di quelli non economici, al pari dei soggetti disciplinati dalle disposizioni del libro V del codice civile (art 2093 cc) ormai in via di estinzione in virtu’ della l.n. 309 del 1992, per cui è già in corso la privatizzazione della maggior parte di esse, ovvero è già avvenuta la trasformazione in società per azioni. E’ indispensabile al riguardo riferirsi alla giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha contribuito ad una migliore comprensione anche

sistematica dell’art 1 e ad evidenziarne le criticità31. Si afferma che la

natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per escludere a monte la responsabilità, inoltre si sostiene che l’ente, ai fini dell’eventuale esonero dall’ambito di applicazione del d.lgs. n.231 del 2001, non deve svolgere attività economica con fine di lucro o comunque di distribuzione di utili ,ossia occorre verificare se l’oggetto sociale sia riconducibile a fini lucrativi o ad un interesse della collettività. Si tratta di soggetti la cui attività ha ricadute dirette su beni costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla salute, il diritto all’ambiente, alla sicurezza sul lavoro, alla tutela del patrimonio artistico e storico, all’istruzione e alla ricerca scientifica, ossia i valori sanciti dalla prima parte della Costituzione. Tali affermazioni devono combinarsi e adattarsi alla possibilità per questi stessi soggetti di creare società miste e società d’ambito. Si tratta, sempre secondo la Corte di Cassazione di ipotesi che rientrano nella previsione dell’art.1 se la società opera seguendo criteri ispirati

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all’economicità, ovvero attenente al rapporto costi-ricavi per coprire i propri costi di gestione. Di questo risultato occorre prendere atto, pur evidenziando il rischio che si confonda l’utilizzo di criteri imprenditoriali con il fine lucrativo, nonché l’opportunità di valutare sempre anche la natura dell’attività svolta e i fini sociali perseguiti. Mancano riferimenti ai gruppi di società ma è intervenuta la giurisprudenza con la sentenza Cass. Sez. V,18 gennaio 2011, Tosinvest.

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CAPITOLO II

PROFILI CARATTERIZZANTI LA DISCIPLINA DELL’ILLECITO DA REATO