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L’interesse e il vantaggio in favore dell’ente

PROFILI CARATTERIZZANTI LA DISCIPLINA DELL’ILLECITO DA REATO DEGLI ENTI COLLETT

5. L’interesse e il vantaggio in favore dell’ente

Il secondo presupposto necessario per imputare la responsabilità all’ente, consiste nella commissione di uno dei reati elencati all’art.24 e ss, nell’interesse o a vantaggio dell’ente e questo presupposto deve esistere in relazione ad entrambe le categorie di soggetti poc’anzi analizzate. Come specificato dalla stessa relazione al d.lgs.36, questo criterio consente di attribuire il reato commesso dalla persona fisica, direttamente nella sfera dell’ente senza violare il dettato costituzionale del principio della personalità della responsabilità, grazie alla teoria dell’immedesimazione organica. La formula usata dal legislatore (“per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio”) ha generato vari contrasti interpretativi in dottrina, tra chi mette in dubbio il carattere

alternativo dei due termini “interesse” e “vantaggio” 37e chi viceversa

difende la natura alternativa dei due termini. I sostenitori della natura equivalente dei due termini, li considerano come due elementi da ricondurre ad un criterio unitario, cioè ad un interesse dell’ente in senso oggettivo. Quindi per questa corrente il vero parametro di riferimento è l’interesse, mentre il vantaggio sarebbe una sorta di variabile casuale dal cui accertamento non si può far automaticamente derivare una responsabilità della persona giuridica, ma al più, data la sua valenza processuale probatoria, farne derivare una conferma ex post della stessa. Questo filone interpretativo quindi

36“Ribadito ancora una volta che anche la materia dell'illecito penale-

amministrativo è assoggettata al dettato costituzionale dell'art. 27, già la teoria della c.d. immedesimazione organica consente di superare le critiche che un tempo ruotavano attorno alla violazione del principio di personalità della responsabilità penale, ancora nella sua accezione "minima" di divieto di responsabilità per fatto altrui.”

37 D. PULITANO’ li identifica come “un’endiadi che addita un criterio unitario, riconducibile ad un interesse in senso obiettivo […] non necessariamente in

concreto soddisfatto ma riconoscibilmente connesso con la condotta dell’autore del reato”, in La responsabilità “da reato” degli enti nell’ordinamento italiano,in AA.VV. Responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse, in Cass.pen., 2003,n.6, p.15

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da una autonoma rilevanza a questo criterio, in relazione ai fatti

dolosi, solo in chiave processualistica38. L’accertato conseguimento di

un vantaggio per la persona giuridica dovrebbe determinare un’inversione dell’onere della prova, nel senso che dovrebbe comportare una presunzione iuris tantum circa la sussistenza di un interesse della persona giuridica, alla quale spetterà pertanto di dover dimostrare che l’autore-persona fisica ha commesso il reato nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, così da rompere il nesso di immedesimazione organica che altrimenti lo avrebbe legato alla

società39. Tale interpretazione si fonda in primo luogo su di

un’interpretazione sistematica del disposto dell’art.5 comma 1 con il comma 2, il quale statuisce che l’ente non risponde se l’agente persona fisica ha commesso il reato nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. Infatti dal secondo comma discende che qualora manchi un interesse anche solo concorrente dell’ente, questo non potrà mai essere considerato responsabile, pur avendo tratto un vantaggio oggettivo dalla commissione del reato. Da ciò si deduce che qualora si versi nell’ipotesi in cui l’ente, dal comportamento illecito della persona fisica, abbia tratto un vantaggio per così dire fortuito, in quanto l’azione del soggetto non era rivolta a far acquisire un vantaggio all’ente ma per un interesse esclusivo o di terzi, l’ente collettivo, pur legato alla persona fisica da un rapporto funzionale e pur avendo tratto dall’illecito un determinato vantaggio non sarebbe

38 A sostegno di questa tesi si richiama l’art.5 secondo comma, che illustra il caso in cui il reato sia stato commesso nell’interesse “esclusivo” dell’autore individuale o di terzi, prevedendo l’assenza di responsabilità della persona giuridica; si deduce che per l’esistenza della responsabilità, sia fondamentale che il reato venga commesso dal soggetto qualificato nell’interesse concorrente dell’ente collettivo. Questa impostazione sembra configurare l’interesse come il vero elemento di collegamento dell’ente collettivo. Questa impostazione sembra configurare l’interesse come il vero elemento di collegamento irrinunciabile tra il reato commesso e la persona giuridica, degradando il vantaggio a mero elemento eccedente.

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comunque responsabile, in quanto verrebbe meno il necessario

rapporto di immedesimazione organica, presupposto per

l’imputazione dell’ente. Si evince quindi che secondo questo filone interpretativo il reato non è ascrivibile all’ente se manca l’interesse pur sussistendo il vantaggio, mentre al contrario lo è se manca il vantaggio e sussiste l’interesse, anche solo parziale o minimo. Ad avviso di un altro filone interpretativo , andrebbe privilegiata una tesi dualistica o alternativa dei criteri stabiliti dall’art.5 comma 1. La parte della dottrina che segue quest’ultima corrente interpretativa, sostiene che i due criteri svolgano ruoli diversi e che lo stesso legislatore sottolinei questo aspetto attraverso l’utilizzo nel testo di legge della congiunzione disgiuntiva “o” che caratterizza il dato letterale. Si afferma che l’illecito penale commesso nell’interesse dell’ente valorizza una prospettiva soggettiva e finalistica da apprezzarsi ex ante, quali che siano i risultati conseguiti; prevedere che un reato venga realizzato a vantaggio della societas invece significa indicare un dato oggettivo ed effettuale, da verificare ex post, quali che siano stati gli intenti perseguiti in partenza dagli autori individuali. Se si segue questa interpretazione quindi i due criteri andrebbero concettualmente tenuti distinti, in quanto l’interesse rappresenta un dato prettamente personalistico- antropomorfico insito nella volontà del soggetto persona fisica che abbia finalizzato il proprio comportamento alla realizzazione di un interesse dell’ente collettivo, mentre il vantaggio rappresenterebbe un dato di natura oggettiva, cioè l’acquisizione di un vantaggio mediato o meno, come materiale o immateriale da parte dell’ente. La corrente interpretativa del doppio requisito ha trovato sostegno nella giurisprudenza di legittimità40, la

40 A riguardo si è espressa Cass. II 20 dicembre 2005, Jolly Mediterraneo S.r.l., RV

232957, che ha proceduto ad una compiuta analisi dei criteri di imputazione oggetti va della responsabilità descritti nel primo comma dell’art 5 d.lgs. 231 del 2001. Con

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quale che “i due vocaboli esprimono concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse “a monte” della società ad una locupletazione – prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata – in conseguenza dell’illecito, rispetto ad un vantaggio obbiettivamente conseguito all’esito del reato, perfino se non espressamente ipotizzato ex ante dall’agente”. Inoltre se si analizza ulteriormente il testo del d.lgs. e per precisione l’ art. 12 comma 1 lett. a41, si riscontrano ulteriori indizi sulla diversa rilevanza dei due requisiti; la circostanza attenuante descritta, configura una distinzione tra i due criteri e la necessità della loro compresenza suona come una conferma del carattere alternativo che viene previsto per l’”interesse” e il “vantaggio” dall’art.5 comma 1. Nonostante la stessa relazione illustrativa del decreto poi si sofferma ad evidenziare come i due termini siano posti tra loro in qualità di alternativa42, a sostegno di tale tesi vi è innanzitutto la volontà della dottrina di assicurare alla disposizione l’interpretazione autentica che il legislatore ne ha fornito nella relazione d’accompagnamento al decreto ,dalla quale si evince come i due criteri sarebbero distinti e capaci di far discendere autonomamente la responsabilità dell’ente

questa sentenza i giudici di legittimità si sono espressi contro quella corrente di pensiero che vorrebbe i due vocaboli utilizzati dal legislatore come termini di una endiadi e secondo cui, dunque, sarebbe sostanzialmente uno il criterio di

imputazione della responsabilità all’ente e cioè l’interesse del medesimo alla consumazione del reato (tesi sostenuta da PULITANO’,La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione , in Riv. it. dir.e proc. pen. 2002, p. 425). I giudici hanno affermato l’indipedenza dei due termini, facendo leva sul tenore letterale dell’art 5 stesso, sottolineando come questo si riferisca a interesse e vantaggio tramite la presenza della disgiuntiva “o”.

41 Art. 12 comma 1, lett. a, d.lgs. 231/2001: “l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo”.

42 Relazione al d.lgs.231/2001 par.3.2: “E’ appena il caso di aggiungere che il richiamo all’interesse dell’ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e che si “accontenta” di una verifica ex ante; viceversa, il vantaggio, che può essere tradotto dall’ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post.”

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collettivo. Alla luce di questa dottrina anche la portata esimente dell’art 5 comma 2 subisce una diversa interpretazione; essa infatti si interessa dell’ipotesi del tutto particolare ed eccezionale nella quale la persona fisica apicale o subordinata commetta il reato nell’intere esclusivo proprio o di terzi, unica ipotesi che permette di derogare alla regola generale di responsabilità dell’ente a causa della rottura del rapporto organico di immedesimazione con il soggetto. Probabilmente la strada verso la scelta dualistica, dopo l’introduzione dei reati colposi nel catalogo delle fattispecie illecite di cui è passibile l’ente, diventa una scelta obbligatoria. Come evidenziato infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza, il criterio del vantaggio diventa di essenziale importanza per l’imputazione dei reati colposi agli enti collettivi. Il criterio dell’interesse sarebbe infatti, se inteso in senso soggettivo, ontologicamente incompatibile con i delitti colposi, mancando in questo caso ogni tensione finalistica del soggetto autore del reato verso la realizzazione dell’interesse dell’ente; se inteso in senso oggettivo, invece sarebbe sostanzialmente insufficiente per fondare la responsabilità della società necessitando comunque di una valutazione anche del vantaggio.