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L’oggetto del sequestro preventivo

LE MISURE CAUTELARI REAL

3. L’oggetto del sequestro preventivo

Oggetto del sequestro preventivo possono essere le cose che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, dei quali è consentita appunto la confisca a norma dell’art.19 per espresso rinvio dell’art.53. Questa norma prevede una sanzione ablativa obbligatoria, che si distingue dalla misura di sicurezza patrimoniale contemplata dall’art.240 c.p. sia perché la prima è concepita sempre come obbligatoria, mentre la seconda è prevista di regola come facoltativa; sia perché la prima non impone alcun obbligo motivazionale da parte del giudice in merito alla pericolosità delle cose da confiscare, mentre la seconda richiede al giudice di motivare sotto il profilo della pericolosità delle cose variamente connesse al reato in quanto suscettibili di utilizzo per la commissione di ulteriori reati. Si può concludere che l’oggetto del sequestro ex art.53 sia diverso da quello disposto a scopo di confisca a norma dell’art.321 comma 2 c.p.p.

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calibrato sulla misura prevista dall’art.240 c.p. Con riferimento alla nozione di profitto del reato ai fini della confisca si è recentemente pronunciata la corte di cassazione97, la quale ha respinto la tesi propugnata dalla difesa, per cui il profitto dovrebbe identificarsi con l’utile netto ricavato dall’illecito, soprattutto quando la consumazione di quest’ultimo risulti strumentale allo svolgimento di un’attività lecita di impresa. In sostanza la corte ha negato che nella determinazione del profitto confiscabile possa farsi ricorso ai tipici criteri di contabilità aziendalistica, sottolineando come nella lettera della legge non ci sia alcun appiglio che consenta di distinguere tra “profitto lordo” e “profitto netto” e men che meno per legittimare lo scomputo dei costi sostenuti per la consumazione dell’illecito. In proposito, anzi, si è sottolineato come l’ispirazione del legislatore vada ricercata nella normativa comunitaria di più recente elaborazione e nella sua evidente intenzione di accogliere una nozione sempre più ampia di “provento illecito” destinato ad essere sottratto al suo percettore. Per la corte l’unico effettivo criterio di identificazione del profitto confiscabile è quello tradizionale dell’accertamento del vincolo di pertinenza con l’illecito del bene che si intende sottoporre alla misura ablativa, dovendosi per l’appunto individuare il profitto in ogni vantaggio economico direttamente prodotto dal reato. Nel caso di un’impresa lecita, in cui occasionalmente viene commesso un reato, è possibile scomputare dai vantaggi economici di diretta derivazione illecita il valore delle prestazioni lecite rese dall’ente in esecuzione di un contratto alla cui stipulazione o svolgimento ha contribuito la consumazione del reato imputabile allo stesso ente. Conclusione cui la corte è giunta rilevando come altrimenti il contenuto sanzionatorio della confisca verrebbe ingiustamente dilatato fino a ricomprendere

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anche l’arricchimento conseguito non già dall’ente cui è attribuita la responsabilità da reato, bensì dal soggetto passivo dello stesso reato, controparte nel rapporto contrattuale menzionato. L’art.53 rinviando totalmente all’art.19, consente di disporre il sequestro anche di cose diverse dal prezzo e dal profitto del reato, in quelle ipotesi in cui è consentita la confisca per equivalente. La confisca per equivalente è disposta nel caso in cui si riscontri un’impossibilità di natura oggettiva nell’individuare le somme di denaro o i beni costituenti il prezzo o il profitto del reato e il relativo decreto di sequestro deve contenere la motivazione riportante le ragioni dell’irreperibilità del prezzo o del profitto del reato, senza che sia necessario esporre in modo dettagliato le attività investigative svolte. Ci si domanda se il sequestro preventivo possa avere ad oggetto il profitto confiscabile a norma di disposizioni diverse da quella dell’art.19. Vengono in rilievo le ipotesi di confiscabilità del profitto che l’ente ha tratto dal commissariamento ai sensi dell’art.15 comma 4, nonché il profitto che l’ente ha tratto dal reato realizzato dal soggetto apicale quand’anche dovesse andare esente da responsabilità ai sensi dell’art.6 comma 5.

La risposta della dottrina risulta negativa98, perché si è osservato che

le ipotesi di confisca ex art.19 e quelle appena ricordate non sono sovrapponibili a causa della diversità di funzioni svolte. Nel caso contemplato dall’art.15 comma 4 la ratio della confisca risponde non ad una logica sanzionatoria, ma ad esigenze di equità redistributiva: la nomina del commissario è sostitutiva rispetto all’applicazione di una sanzione interdittiva, cosicché risulterebbe incongruo consentire all’ente di beneficiare del profitto dell’attività che gli è concesso di proseguire con il commissariamento, possibilità che gli sarebbe preclusa se il giudice della misura non ritenesse di operare la

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sostituzione della cautela con la nomina del commissario giudiziale. Pertanto non essendo sovrapponibile tale ipotesi con quella prevista dall’art.19 si deve ragionevolmente ritenere che il profitto confiscabile a norma dell’art.15 comma 4 non possa essere preventivamente sequestrato ai sensi dell’art.53. A conclusioni analoghe deve giungersi anche per il caso contemplato nell’art.6 comma 5; in questa eventualità l’ente è riconosciuto non responsabile dell’illecito amministrativo contestatogli perché il reato presupposto risulta essere commesso da un soggetto apicale attuato tramite un’elusione fraudolenta del modello di organizzazione adottato ed efficacemente attuato dalla societas, senza lacune o omissioni di controllo. Qui lo scopo della confisca non è di tipo sanzionatorio, bensì risponde all’esigenza di ristabilire l’equilibrio economico alterato, evitando che il soggetto collettivo possa giovarsi del profitto derivante comunque da un reato, commesso da persone operanti nel proprio ambito.

4. Il procedimento applicativo, l’esecuzione e la cessazione degli