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Ordinanza cautelare

MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE

4. Ordinanza cautelare

Ai sensi dell’art.46 comma 2, sulla richiesta del pubblico ministero di applicare le misure cautelari, il giudice provvede con ordinanza, sia che accolga sia che respinga la domanda e della quale l’art. 45 comma 2 fissa i requisiti. Si richiamano espressamente le disposizioni dell’art.292 c.p.p., dettato in materia di misure cautelari personali e facendo ciò si determina l’applicazione dell’intera disciplina del codice sull’ordinanza cautelare, compreso il sistema delle nullità, ma con alcuni adattamenti in ragione della specificità del diverso destinatario del provvedimento. La previsione dell’art. 292 comma 2 lett. a, riguarda la necessità di indicare le generalità dell’imputato a pena di nullità ed è evidente che la disposizione sia riferita anche all’ente grazie all’art. 35 del decreto, che estende al soggetto collettivo la disciplina relativa all’imputato, in quanto compatibile. Sulla trasposizione nel processo de societate di questo requisito, si sono

manifestate incertezze interpretative, sia dottrinarie che

giurisprudenziali: c’è una corrente che ha interpretato il requisito come riferibile al soggetto collettivo, con la necessità di indicarne la

denominazione79 e un’altra che reputa debba essere indicato il

soggetto a cui è attribuito il reato da cui dipende l’illecito amministrativo80. Tra le due ipotesi pare avere maggior riscontro la prima, in ragione della circostanza che l’ordinanza deve indicare il soggetto nei cui confronti si muove l’addebito e questo è l’ente nell’ambito della procedura cautelare. Nessun particolare problema per le altre disposizioni, che sembrano perfettamente adattabili alla funzione dell’ordinanza emessa nei confronti dell’ente. In particolare,

79 In dottrina tesi sostenuta da S.GENNAI – A. TRAVERSI, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Commento al d.lgs.8 giugno 2001, n.231, cit.p.221. In giurisprudenza Cass.23 giugno 2006, La Fiorita soc.coop. a r.l.,cit.,p.84

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il giudice dovrà esporre le specifiche esigenze cautelari e gli indizi che, in concreto, giustificano la misura disposta, attenendosi ai diversi parametri richiesti dagli art.45 ss; inoltre ai sensi dell’art.292 comma 2 lett. c-bis si dovrà dare conto delle ragioni per le quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, motivazione questa che acquisirà particolare significato in un procedimento che vede l’attiva partecipazione del soggetto cui la misura è destinata. Un obbligo motivazionale analogo a quello richiesto da questa norma può farsi derivare dall’art.46, che oltre a contenere un generico riferimento all’idoneità specifica della misura prescelta rispetto alle esigenze cautelari da garantire, prevede esplicitamente che la misura interdittiva più grave, ovvero l’interdizione dall’esercizio dell’attività, possa essere disposta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata. Si tratta di criteri che devono guidare la decisione del giudice e di cui questi non può non dare conto nella parte motiva dell’ordinanza. Risulta incompatibile rispetto all’ordinanza cautelare contra societatem la disposizione di cui all’art.292 comma 2 lett. d c.p.p., che impone l’obbligo della fissazione della data di scadenza della misura applicata per evitare il pericolo di inquinamento probatorio, durante le indagini da compiere, in relazione all’esigenza dell’art.274 comma 1 lett. a c.p.p. anche se, per ragioni completamente diverse. Il rischio di inquinamento delle prove non è previsto tra le esigenze cautelari, ma l’ordinanza cautelare applicata nei confronti dell’ente dovrà comunque contenere il termine di durata della misura ai sensi dell’art.51 comma 1, che non può superare la metà del termine massimo indicato dall’art.13 comma 2 ( che a sua volta stabilisce che “le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni”). E’ stata ritenuta la compatibilità della causa di nullità dell’ordinanza prevista dall’art.292 comma 2 – ter c.p.p., che sanziona l’omessa valutazione

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degli elementi a carico e a favore del destinatario del provvedimento anche assunti ai sensi dell’art.327 – bis c.p.p.. Questa invalidità può esser fatta valere dal difensore dell’ente con l’atto di appello, che l’art. 52 comma 1 consente contro i provvedimenti applicativi dell’interdizione cautelare, e una volta proposto questo gravame, le nullità del primo capoverso dell’art.292 c.p.p. potranno essere rilevate anche d’ufficio. La ratio dietro ad una sanzione così drastica risiede nella volontà di tutelare il contraddittorio. Particolarmente importante appare il contenuto dell’ordinanza con riferimento alle modalità applicative della misura (art.45 comma 2), in considerazione del fatto che il provvedimento può riguardare una parte dell’azienda o dell’attività. L’art. 14 prevede che le sanzioni abbiano ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito e che con riferimento al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, consente che l’intervento inibitorio possa essere limitato a determinati tipi di

contratto o a determinante amministrazioni81. Si tratta di una norma

che detta i criteri di scelta delle sanzioni interdittive, ma che si rivolge anche al giudice della cautela, integrando i parametri della scelta fissati, in maniera più generale dall’art.46. E’ difficile immaginare che su aspetti così rilevanti della decisione cautelare non vi debba essere un obbligo di motivazione. E’ pacifico che l’ordinanza debba recare la data e la sottoscrizione del giudice e dell’ausiliario che lo assiste, nonché il sigillo dell’ufficio, inoltre essendo rivolta ad un ente, dovrà indicare anche la sede in cui il provvedimento deve essere eseguito.

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5. Adempimenti esecutivi in relazione all’ordinanza applicativa di