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Il ruolo dei compliance programs

PROFILI CARATTERIZZANTI LA DISCIPLINA DELL’ILLECITO DA REATO DEGLI ENTI COLLETT

2. Il ruolo dei compliance programs

Gli art. 6 e 7 del d.lgs.n.231 del 2001 introducono uno degli aspetti caratterizzanti della nuova disciplina, ovvero i c.d. modelli di organizzazione e gestione (prendendo spunto dai citati “compliance programs” ). Proprio come nei paesi di tradizione anglosassone, questi

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modelli, ricoprono essenzialmente una finalità preventiva, muovendo dal presupposto che il miglior modo di evitare reati all’interno delle società sia quello di renderle partecipi nel di far si che si organizzino in maniera tale da non permettere di generare o nascondere comportamenti illeciti al suo interno. La loro adozione ha molte valenze e può servire ad escludere la responsabilità dell’ente per certi reati commessi dai soggetti apicali o subordinati (art.6 e 7); invece se adottati a seguito della commissione del reato, ma prima che venga aperto il dibattimento di primo grado, possono contribuire a far evitare all’ente l’applicazione delle sanzioni interdittive (art.17 lett.b) e di impedire la pubblicazione della sentenza. Inoltre se vengono adottati entro il termine pocanzi riportato, ciò può determinare una riduzione di pena (art.12 comma 2 lett.b e comma 3) e il solo dichiarare la volontà di predisporre e attuare questi modelli, assieme alle condizioni previste dall’art.17, può giustificare la sospensione delle misure cautelari interdittive (art.49 comma 1), che possono essere revocate nel caso in cui risultino effettivamente adottati i protocolli organizzativi e vengano realizzate le altre condizioni riportate dalla norma (art.49 comma 4 e 50 comma 1). Nel caso in cui i compliance programs invece vengano adottati a seguito della pronuncia della sentenza, ciò può consentire la conversione delle sanzioni interdittive in pene pecuniarie ai sensi dell’art.78. La lettura degli art.6 e 7 pone il dubbio se il nostro ordinamento sia di tipo “monistico” o “dualistico, ovvero se regoli un solo tipo di compliance programs o due, ritenendo presenti due paradigmi con una valenza diversa a seconda che il reato venga commesso da un soggetto apicale o da uno subordinato. Se si pone attenzione alla dizione dei due articoli, si propende verso una visione dualistica, in quanto divergenti per un particolare: nell’art.7 si pone una maggiore attenzione ai requisiti generali che questi modelli devono avere,

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facendo utilizzo del termine “controllo” e ciò potrebbe essere coerente se si pone mente alla circostanza che i soggetti apicali impersonano l’ente, concorrendo a determinarne la volontà. Nel caso di reato realizzato da soggetti apicali l’adozione e l’efficace attuazione del modello da parte dell’ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, ad impedire la responsabilità. Senza modello l’ente parrebbe non ammesso a nessuna prova contraria (art.6 comma 1). Nel caso di illecito realizzato da persone sottoposte all’altrui direzione o vigilanza, la responsabilità dell’ente può o meno sussistere indipendentemente dal modello, giacché la responsabilità dipende dal fatto che il reato venga commesso per l’inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza, inosservanza che si esclude nel caso di un efficace adozione di un modello organizzativo. L’adozione di modelli organizzativi non rappresenta un obbligo giuridico, infatti il d.lgs.231 del 2001 si limita a ricollegare conseguenze favorevoli per l’ente che volontariamente si doti di questi sistemi. Questi protocolli sono elaborati dall’azienda stessa, che seguirà le modalità che riterrà più appropriate al perseguimento della prevenzione degli illeciti, a seconda della tipologia di attività svolta dalla stessa. La carenza di una disciplina specifica sul punto e la mancanza di un’indicazione in termini di obbligatorietà dell’adozione del compliance program ha suscitato molteplici dubbi e perplessità, ai quali la giurisprudenza ha solo parzialmente dato risposta, pronunciandosi in sede di applicazione delle richieste di misure cautelari. Si denota l’assenza di indici prefissati dalla legge e per sopperire a ciò si ricorre ad un’ampia discrezionalità del giudice per quanto riguarda la valutazione dell’idoneità dei modelli adottati dalle imprese, e ciò varia a seconda che il modello venga adottato prima oppure dopo la commissione del reato. Nel primo caso il giudice attuerà un giudizio tramite il criterio della prognosi postuma, dovendo verificare se in quelle condizioni

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concrete, considerate in un momento precedente alla commissione del delitto, questo sarebbe stato impedito se non fossero intervenute circostanze eccezionali che ne abbiano permesso la realizzazione. Se il modello invece viene applicato ex post, la giurisprudenza ha affermato che la valutazione di questi modelli deve essere più rigorosa, occorrendo verificare se il modello sia in grado di rimuovere effettivamente le carenze che hanno favorito in concreto la commissione del reato. Questo dato aumenta i dubbi già evidenziati circa l’eccessiva discrezionalità sulla valutazione dell’idoneità dei modelli organizzativi, di cui il giudice può disporre e che spinge ad affermare che il modello adottato a seguito delle commissione del reato deve essere in grado di rimuovere le carenze che hanno determinato l’illecito in una fase nella quale non è ancora stato compiuto un accertamento a riguardo. In questo caso il giudice dovrà effettuare una valutazione che coinciderà con quella compiuta in sede di irrogazione della pena, ma l’assimilazione dell’ente al colpevole, in questo caso si oppone al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. L’art.6 comma 2 prevede che il modello organizzativo, volto a prevenire il reato dei vertici, deve possedere determinate caratteristiche quali: l’individuazione dell’attività dell’ente al cui interno possono essere commessi reati, la c.d. mappatura del rischio; la previsione di specifici protocolli atti a procedimentalizzare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente rispetto ai reati da prevenire; l’individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la verificazione di reati; la previsione di un flusso di informazioni obbligatorio verso l’organo di controllo che deve vigilare sul corretto funzionamento del modello e infine l’introduzione di un sistema disciplinare diretto a sanzionare la violazione delle misure contemplate nel modello. L’art.7, dedicato ai modelli organizzativi finalizzati alla prevenzione dei

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reati dei sottoposti invece contiene una disciplina più scarna, limitandosi a prevedere che il modello debba contenere misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e ad individuare tempestivamente le situazioni di rischio. Si prevedono due requisiti ai quali far dipendere l’efficace attuazione del modello, ovvero la periodica manutenzione dello stesso, tramite un sistema di verifica ed aggiornamento a seguito di mutamenti organizzativi e la presenza di un sistema disciplinare idoneo a

sanzionare la violazione delle misure contenute nel modello.