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La perenzione per il decorso del termine di durata e come conseguenza di determinate sentenze

MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE

6. Le vicende modificative del regime cautelare interdittivo

6.3. La perenzione per il decorso del termine di durata e come conseguenza di determinate sentenze

Il decorso dei termini di durata massima, che partono dalla notificazione del provvedimento cautelare (art.51 comma 3) e la pronuncia di determinati provvedimenti giurisdizionali, rappresentano le due situazioni processuali che determinano l’estinzione delle cautele interdittive. Nel disporre le cautele interdittive il giudice, rispettando quando riportato dall’art.51 comma 1, deve sempre indicare la durata massima. La disciplina speciale del decreto si discosta da quella del codice quando impone sempre la fissazione del termine di durata della misura e non solo nel caso in cui sia disposta per garantire l’esigenza cautelare indicata all’art.274 comma 1 lett.a c.p.p.. Il termine di durata della misura decorre dalla data della notifica dell’ordinanza applicativa, effettuata a norma del disposto dell’art.48. La durata massima non può superare i dodici mesi, ma nel caso in cui la misura cautelare sia applicata successivamente alla sentenza di condanna in primo grado, il termine di durata può essere uguale a quello della corrispondente sanzione applicata con la sentenza di condanna, non potendo però superare il periodo previsto dall’art. 51 comma 2, ovvero i due terzi del termine massimo dell’art.13 comma 2 (sedici mesi). L’art.51 comma 1 mira ad

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assicurare una durata prestabilita delle misure, senza eccezione alcuna, con riferimento il termine di durata previsto per le corrispondenti sanzioni che viene ritenuto ragionevolmente invalicabile85. Il legislatore delegato, a differenza di quanto previsto dalla disciplina generale, non prevede alcun termine intermedio per le fasi o i gradi del procedimento: ci si discosta dalla disciplina prevista agli art. 303 e 308 c.p.p. in materia di misure cautelari personali. Sembra corretto pensare che la mancanza di previsioni di ipotesi di sospensione, proroga o rinnovazione delle misure sia dal legislatore voluta e questo porta ad escludere l’applicabilità delle norme degli art.303, 304, 305 e 308 c.p.p., in quanto incompatibili. L’applicabilità di queste ipotesi determinerebbe infatti la rottura dei rigidi dettati dell’art.51, da ritenersi come una norma derogatoria rispetto a quanto previsto dal codice. Si considera applicabile invece la disposizione contenuta dall’art.306 comma 2 c.p.p., secondo il quale, col decorso del termine fissato, la misura perde efficacia e il giudice dovrà adottare, anche d’ufficio, i provvedimenti necessari alla cessazione istantanea. All’art.51 comma 4 si prevede che la durata delle misure cautelari sia conteggiata nella durata delle sanzioni applicate in via definitiva, cioè con sentenza di condanna irrevocabile. Si individuano anche ulteriori casi di estinzione delle misure cautelari, e non solo di quelle interdittive, collegati alla pronuncia di determinate sentenze. Si tratta di situazioni in presenza delle quali, non diversamente da quanto stabilito dall’art.300 c.p.p., l’ultrattività del mezzo cautelare è inibita dalla decisione di merito, alla luce della quale viene meno il necessario sostrato indiziario. Ai sensi dell’art.68, il giudice deve dichiarare la cessazione delle misure cautelari nel caso in cui pronunci in giudizio una delle sentenze di cui gli art. 66 e 67,

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cioè quando è esclusa la responsabilità dell’ente perchè l’illecito amministrativo non sussiste per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova dell’illecito amministrativo stesso. La formula contenuta nell’art.66 si considera idonea a ricomprendere tutte le ipotesi di esclusione della responsabilità amministrativa che incidono sia sull’elemento reato, sia sui profili relativi all’imputabilità dell’illecito all’ente. Il venir meno del regime cautelare segue la pronuncia della sentenza di non doversi procedere ex art.67, che deve essere emanata quando è intervenuta la prescrizione delle sanzioni amministrative ovvero nei casi previsti dall’art.60, dove la contestazione dell’illecito ai sensi dell’art.59 sia stata formulata quando il reato presupposto era già estinto per prescrizione. Si considera che pur nel silenzio dell’art.68, la cessazione delle misure cautelari debba avvenire anche nell’ipotesi in cui l’accertamento della responsabilità della persona giuridica sia impedito dalla circostanza che l’azione penale non abbia potuto iniziare o proseguire per difetto di una causa di procedibilità o di proseguibilità, situazione nella quale il giudice sarà ugualmente tenuto a pronunciare sentenza di non doversi procedere. La dichiarazione di cessazione delle misure cautelari sembra valere anche nel caso in cui il giudice sia tenuto a pronunciare una sentenza di non luogo a procedere perché il reato risulta estinto per amnistia (art. 8). Le misure cautelari perdono efficacia anche quando viene pronunciata sentenza di non luogo a procedere, secondo quanto previsto dall’art.61, oppure all’esito del giudizio abbreviato, quando si pronuncia una sentenza di esclusione della responsabilità della societas ex art.66 o una sentenza di non doversi procedere ex art.67. A causa dell’operatività della causa estintiva della misura cautelare prevista dall’art.300 c.p.p., la perenzione della misura può conseguire anche quando per tale illecito e nei confronti dello stesso ente, sia disposta l’archiviazione come

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riporta l’art.58; questa previsione, determina l’archiviazione del procedimento ad opera del pubblico ministero, senza il bisogno di passare dal vaglio giurisdizionale. In questo caso la revoca della misura costituisce un effetto patologico indiretto dell’anomala archiviazione disposta dal pubblico ministero.

7.Le impugnazioni: rilievi generali

L’art.52, rubricato come “impugnazioni dei provvedimenti che applicano le misure cautelari”, disciplina due istituti: l’appello e il ricorso per cassazione. La formulazione della rubrica di questa norma risulta imprecisa e potrebbe risultare sviante sotto due aspetti: il riferimento che fa nell’intitolazione a “provvedimenti che applicano le misure cautelari” potrebbe far supporre che la disposizione venga decretata solo per i provvedimenti che applicano la misura, invece leggendo il testo della norma, si ricava che la disciplina dell’appello (comma 1) riguarda ogni provvedimento in materia di misure cautelari e che la disciplina del ricorso per cassazione è esperibile contro i provvedimenti del giudice di seconda istanza. In secondo luogo, il riferimento ai “provvedimenti che applicano le misure cautelari”, può portare a credere che l’espressione contenga entrambe le diverse categorie componenti il sistema cautelare, vale a dire le misure interdittive e quelle reali. Tuttavia considerando che per le misure cautelari reali sono previste appositamente due disposizioni, ovvero l’art. 53 e l’art.54 che determinano una regolamentazione autonoma che rinvia alle disposizioni del codice; questo aspetto porta a ritenere quindi che l’art.52 si riferisca unicamente alle misure cautelari interdittive. Ricapitolando, la norma prevede quali mezzi di impugnazione l’appello e il ricorso per

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cassazione, escludendo un altro rimedio previsto invece in ambito codicistico, ovvero il riesame (art. 309 c.p.p.). L’esclusione di questo istituto determina un procedimento con minori garanzie dal momento che il riesame garantisce l’operare di un effetto totalmente devolutivo e la presenza di ritmi procedimentali ristretti fissati per la pronuncia dell’impugnazione, sanzionati, in quanto perentori con la perdita di efficacia della misura. Solo con il riesame si consentono spazi istruttori all’interno dell’udienza camerale (art.309 comma 9), in quanto si riconosce la possibilità di fondare la decisione su elementi che siano presentati dalle parti durante l’udienza. La dottrina riconosce che l’aver consentito l’esperibilità del riesame in un procedimento in cui sia presente la previsione di un contraddittorio anticipato, avrebbe determinato, per la persona giuridica, un sistema di garanzie ben più ampio di quello previsto per la persona fisica86, che nel caso in cui venisse sottoposta ad una misura cautelare coercitiva, potrebbe ricorrere solo al riesame, in quanto il suo diritto di difesa non viene esercitato in via preventiva rispetto all’adozione del provvedimento.

7.1.L’appello

L’appello, previsto dall’art.52 comma 1, ha tutti i caratteri dell’analogo istituto disciplinato dal codice; condivide l’effetto devolutivo che attribuisce al giudice la cognizione del procedimento solo per quanto riguarda i punti della decisione che si riferiscono ai motivi, escludendo l’esame di punti differenti a quelli oggetto di revisione. I soggetti che sono legittimati ad impugnare sono il pubblico ministero e stando al testo del decreto, anche l’ente tramite il suo difensore, precludendo quindi alla societas la possibilità di proporre direttamente l’impugnazione; questo elemento diverge da

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quanto previsto dal codice, che prevede una legittimazione autonoma all’imputato e la scelta appare avvalorata dall’esplicita esclusione operata dall’art.52 comma 1 rispetto al richiamo dell’art.322 bis comma 1 c.p.p.. Tutti i provvedimenti sulle misure cautelari adottate contro l’ente sono appellabili senza distinzione tra quelli che impongono un vincolo e quelli che intervengono sulla misura posta già in essere; risultano passibili di controllo le ordinanze del giudice che applicano (art.45 comma 2), sospendono (art.49 comma 1), revocano (art.50 comma 1), modificano o sostituiscono (art.50 comma 2), dichiarano la cessazione delle misure cautelari per decorrenza del termine di durata ( art. 51 ), quelle con cui il giudice respinge le richieste formulate dal pubblico ministero o dall’ente, senza dimenticare quelle adottate a seguito della procedura di sospensione prevista per i vari adempimenti previsti dall’art.17 e in sede di verifica della loro corretta esecuzione da parte della persona giuridica. L’atto di appello che viene presentato da uno dei soggetti poc’anzi riportati, rappresenta l’impulso che da inizio al procedimento d’impugnazione e la parte proponente ha l’obbligo di indicarne i motivi, contemporaneamente alla presentazione dell’atto a pena di inammissibilità. Per quanto attiene al procedimento, l’art.52 comma 1 rinvia all’osservanza degli articoli 322 bis comma 1-bis e comma 2 c.p.p., e questo demarca quanto sia un sistema delineato sulla disciplina prevista per le impugnazioni delle misure cautelari reali, sebbene le misure interdittive stabilite nel processo degli enti, si presentino affini alle omologhe cautele interdittive di matrice codicistica. Il richiamo fatto all’art.322 bis c.p.p. è solo il primo di una serie di ulteriori richiami, in quanto la materia delle misure cautelari reali non dispone di regole proprie, si rimanda quindi alle disposizioni previste dall’art. 310 c.p.p., che a sua volta rimanda all’art.309 c.p.p. commi 1, 2, 3, 4, e 7. Attraverso questo articolato sistema di rinvii

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prende forma il procedimento delle impugnazioni e si ricava che: in primis, sull’appello decide il tribunale del capoluogo di provincia in cui risiede l’ufficio che emette il provvedimento impugnato e lo fa in composizione collegiale (ex art.322 bis comma 1-bis c.p.p.) e inoltre la proposizione dell’impugnazione non sospende l’esecuzione della misura ( secondo l’art. 322 bis comma 2 c.p.p.). Si concede alla parte il termine categorico di dieci giorni entro i quali presentare l’impugnazione, facendo decorrere questo lasso di tempo dal giorno della notificazione dell’ordinanza cautelare all’ente; il potere di presentare l’impugnazione, è una prerogativa spettante anche al difensore in base al disposto dell’art.309 comma 3 c.p.p. L’atto di impugnazione che viene presentato deve essere conforme alle forme previste dagli art.582 e 583 c.p.p. ,per la presentazione o spedizione dell’appello, e deve essere depositato nella cancelleria del tribunale competente a decidere. L’art.322 bis c.p.p. opera poi, come detto, un rinvio alle disposizioni contenute all’art.310 c.p.p., in quanto compatibili, dal quale si ricava che dell’appello sia dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente, la quale entro il giorno successivo, depositerà in tribunale l’ordinanza appellata corredata dagli atti sui quali si fonda; questi atti trasmessi resteranno poi depositati in cancelleria e fino al giorno dell’udienza (che si volgerà in camera di consiglio seguendo le forme previste dall’art. 127 c.p.p.)esiste la facoltà ,ex art.310 comma 2 c.p.p., per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. In base a quanto disposto da quest’ultimo articolo, il tribunale deve decidere entro venti giorni dalla ricezione degli atti e l’esecuzione della decisione tramite la quale il tribunale, accogliendo l’appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare, resterà sospesa fino a che la decisione non diventerà definitiva ( art.310 comma 3 c.p.p.).

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