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Soggetti apical

PROFILI CARATTERIZZANTI LA DISCIPLINA DELL’ILLECITO DA REATO DEGLI ENTI COLLETT

7. Soggetti apical

Nel caso in cui i reati siano commessi da soggetti con ruoli apicali, l’ente è direttamente responsabile per la politica d’impresa, in virtù della teoria dell’immedesimazione organica. In questa situazione l’impresa, per ricorrere alla fattispecie di esonero (art. 6), deve provare il verificarsi di quattro requisiti:

a) L’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) Il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

c) Le persone hanno commesso il reato eludendo

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d) C’è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui la lettera b.

Si percepisce subito la complessità di una fattispecie che,

funzionalmente concepita in chiave processuale 45, dispiega la sua

efficacia esimente solo se recepisce e soddisfa i requisiti di tipo organizzativo- aziendalistico. L’art.6 può essere diviso in 3 macro-aree riguardanti: a) il modello organizzativo e gestionale; b) la vigilanza del modello affidata ad un organismo predisposto; c) l’elusione fraudolenta del modello da parte dell’autore del reato. Un ruolo fondamentale, come detto, lo rivestono i compliance programs che svolgono il doppio compito di prevenire la responsabilità dell’ente per il reato presupposto e limitarne la responsabilità sotto il profilo sanzionatorio. In un’ottica di inquadramento processuale è di primaria importanza verificare il rapporto tra l’adozione dei modelli organizzativi e gli schemi probatori contemplati dal sistema della responsabilità degli enti. L’ente per affermare la propria estraneità con l’illecito dovrà dimostrare la concorrente esistenza dei predetti requisiti, risultando dall’analisi del testo normativo come siano assenti

oneri dimostrativi a carico dell’accusa46 e questa dimostrazione

liberatoria “costruita ad imbuto”47, sfocia in una sorta di probatio diabolica, la quale svela la responsabilità praticamente assoluta della società, dove il reato-presupposto sia stato commesso da una figura apicale.

Appare ora necessario soffermarsi sulla diatriba di cui la dottrina si è preoccupata ampiamente, circa la natura di tale colpa

45 Cfr. A.BERNASCONI & A.PRESUTTI, Manuale della responsabilità degli enti,2013 46 Relazione al d.lgs.231/2001: “sia, nel caso di reato commesso da un vertice [… ] dovrà essere la societas a dimostrare la sua estraneità, e ciò potrà fare soltanto provando la sussistenza di una serie di requisiti tra loro concorrenti”

47 E.AMODIO, Prevenzione del rischio penale e modelli integrati di responsabilità degli enti, in Cass.pen., 2005, cit. p. 323

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d’organizzazione che il legislatore ha delineato quale ulteriore criterio di imputazione dell’illecito dell’ente collettivo. Il legislatore giustifica l’introduzione di questo elemento, vale a dire del fatto impeditivo ex art.6 con la necessità di garantire, anche per la responsabilità degli enti collettivi per i fatti commessi dagli apicali, la conformità al principio di colpevolezza. Infatti il legislatore prende atto di come la moderna organizzazione e gestione delle società commerciali,

caratterizzata dal “decentramento orizzontale” e dalla

“polverizzazione della responsabilità”48 da un lato, renda difficile

l’identificazione dei soggetti individuali che possono ritenersi autori di reati commessi all’interno dell’organizzazione aziendale; dall’altro lato, è difficile concepire che un evento lesivo di tipo penale, possa derivare dalla colpa di un solo individuo, che abbia potuto disporre delle conoscenze e delle possibilità d’intervento idonee a fargli controllare la situazione potenzialmente criminosa, secondo quanto richiesto da una colpevolezza in senso “tradizionale”, cioè pensata alla

stregua delle persone fisiche49. Una tale impossibilità, se non arginata

normativamente, avrebbe esposto il decreto a censure di incostituzionalità, in quanto avrebbe fondato la responsabilità dell’ente, su criteri meramente oggettivi e come tali incompatibili con il principio di colpevolezza dell’art 27 Cost. Per evitare tali censure si è optato per la complessa fattispecie esimente stabilita dalle lettere a, b, c, d dell’art 6 del decreto. Si costruisce in tal modo la responsabilità

48 Come riportato nella Relazione al d.lgs.231/2001 par.3,4: “Non si ignora l'obiezione che più agevolmente può muoversi ad una scelta di questo tipo: i soggetti in posizione apicale sono essi stessi espressione della "volontà sociale" ed appare artificioso immaginare l'esistenza di un diaframma che separi quest'ultima dal loro operato. In realtà, se ciò può dirsi senz'altro vero in relazione al modello tradizionale di ente collettivo (emblematico il caso di "amministratore unico"), non altrettanto vale per la situazione societaria attuale. Questa è costellata da una serie di realtà organizzativamente complesse, in cui il management non si sviluppa più secondo un modello verticistico, ma si distende piuttosto su di una (ampia) base orizzontale, con la conseguente frantumazione dei poteri decisionali dell'ente”. 49 G.DE VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche, op.cit. p.165

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dell’ente, oltre che sui già citati criteri d’imputazione oggettiva, sulla c.d. colpa d’organizzazione, un giudizio di rimproverabilità direttamente imputabile all’ente che non avendo adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati nella specie verificatesi, ha reso possibile il compimento del fatto illecito da parte del soggetto appartenente agli organi apicali. Larga parte della dottrina che pur convenendo sulla collocazione del criterio d’imputazione soggettiva in relazione ai reati commessi dai vertici aziendali, all’interno dello schema della colpa d’organizzazione, negano in radice ed ontologicamente la capacità di tale modello di fondare un’autentica colpevolezza; una concezione che non riesce a prescindere dal diritto penale classico e che plasma le varie fattispecie del diritto penale sull’uomo. Si sottolinea infatti che “ci si dovrebbe chiedere se una siffatta colpa d’organizzazione possa davvero integrare la colpevolezza penalistica se pur in senso normativo. Non è che l’accezione normativa permetta di trascurare gli elementi psicologici: come è ben noto li organizza e li supera in una visione unitaria che combina elementi psicologici con elementi normativi se non si vuole arrivare al drastico giudizio della “fictio culpae”, certo si ha a che fare con una colpa intessuta esclusivamente di elementi oggettivi, riconducibili all’operato di una moltitudine di soggetti che non si vede come possano lasciare spazio agli elementi psicologici della colpa, ridotti ma esistenti”50. Altra parte della dottrina invece critica in maniera aspra tale ulteriore criterio d’imputazione di carattere soggettivo imputando tale scelta ad un iper-garantismo del legislatore italiano. Secondo questo filone interpretativo infatti i criteri d’imputazione oggettivi, qualora il reato sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale sono più che sufficienti per

50A.ALESSANDRI, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv.Trim.dir.pen. econ., 2002, p.33

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determinare la responsabilità dell’ente. L’organo dirigenziale essendo capace di determinare con le proprie decisioni la politica d’impresa in maniera valida e non mediata, non necessita di alcun quid pluris per far scattare la responsabilità dell’ente. L’applicazione della teoria dell’immedesimazione organica comporta una piena ed efficace rispondenza tra il dolo dei soggetti apicali autori del reato e la responsabilità amministrativa della persona giuridica, infatti non esiste alcuna controindicazione a ritenere il dolo del reato commesso dal soggetto in posizione apicale qualificato dallo scopo di perseguire l’interesse ed il vantaggio dell’ente collettivo, rappresenta un coefficiente d’imputazione soggettiva del reato alla società del tutto

adeguato e non bisognevole di ulteriori integrazioni”51.

8.I soggetti subordinati

Per quanto riguarda i soggetti posti in una posizione subalterna all’interno dell’organizzazione societaria, l’ente collettivo è chiamato a rispondere per il reato da loro commesso in virtù di una colpevolezza d’organizzazione, che si sostanzia nella violazione dei doveri di direzione e di vigilanza da parte dei soggetti apicali. Tuttavia l’adozione dei modelli d’organizzazione gestione e controllo da parte dell’ente, comporta una presunzione “iuris et de iure” di rispetto dei suddetti obblighi di direzione e vigilanza con la conseguente esclusione della responsabilità dell’ente. Questo criterio soggettivo d’imputazione ha provocato minori resistenze in dottrina, essendo palese che il soggetto in posizione subordinata non può impegnare validamente l’ente collettivo essendo sprovvisto, a differenza degli

51 G.DE VERO, Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato, luci e ombre nell’attuazione della delega legislativa, in

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organi dirigenziali, di quei poteri di direzione capaci di determinare validamente la politica d’impresa dello stesso. Il configurare una responsabilità in capo agli enti collettivi per i reati commessi dai sottoposti, senza prevedere alcun criterio aggiuntivo di attribuzione della responsabilità avrebbe provocato infatti un’insanabile rottura del rapporto d’immedesimazione dal quale l’intero impianto legislativo fa discendere la responsabilità dell’ente, dissociando inevitabilmente l’autore del reato con il soggetto passibile d’imputazione. Per evitare queste obiezioni il legislatore ha opportunamente costruito tale fattispecie di agevolazione colposa, prevedendo questa volta che il rischio della mancata prova dell’attuazione dei modelli organizzativi ricada sulla pubblica accusa. In dottrina comunque c’è chi ritiene pur sempre che anche questo

modello soggettivo d’imputazione ricada nello schema

dell’immedesimazione organica e ciò sulla base del rilievo che ai fini della responsabilità dell’ente è necessario che la realizzazione del reato sia stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte dei vertici, richiedendosi dunque la possibilità di muovere loro un rimprovero di negligenza di cui è causa di esclusione l’adozione di modelli organizzativi capaci di prevenire il rischio della commissione di reati. Una ricostruzione che può essere efficacemente smentita dal dato letterale della norma che prevede che sia proprio l’accusa a dover provare la mancata adozione degli efficaci modelli organizzativi da parte dell’ente nel suo complesso; una formula questa che evoca inequivocabilmente una colpa ascrivibile impersonalmente all’intera struttura e non ai singoli vertici aziendali persone fisiche e che quindi integra una colpa d’organizzazione.

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CAPITOLO III