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Il commissario giudiziale

MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE

7. Il commissario giudiziale

L’art.45 comma 3 introduce una novità rispetto al sistema delle cautele predisposto dal codice, prevedendo che il giudice possa nominare un commissario giudiziale, ai sensi dell’art.15, in sostituzione della misura interdittiva da applicare, per un periodo pari alla durata della misura che sarebbe stata applicata. La nomina del commissario rappresenta una misura sostitutiva di quella interdittiva che determinerebbe l’interruzione dell’attività dell’ente, da applicare nel caso di specie e ciò comporta che la sua applicazione necessiti la manifestazione di una fattispecie complessa, composta dagli elementi necessari all’applicazione della misura cautelare stessa ex art.45 comma 1 e anche della concomitanza dei presupposti indicati dall’art.15. Questo istituto deriva dal criterio contenuto nell’art.11 comma 1, lett. l n.3 della legge delega 29 settembre 2001 n.300 che prevedeva la nomina di un soggetto vicario, quando l’applicazione

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della sanzione interdittiva, anche temporanea, dall’esercizio dell’attività, possa causare pregiudizio verso terzi e ciò si verifica quando l’ente svolga un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità, la cui interruzione possa provocare rilevanti ripercussioni sull’occupazione tenendo presente le dimensioni e le condizioni economiche del territorio in cui si trova. Se ci limitassimo ad un’interpretazione letterale della norma, potremmo ricavare una sostanziale inapplicabilità delle sanzioni, perché tutte ipoteticamente idonee ad essere pregiudizievoli per soggetti terzi; ciò nonostante dal combinato disposto degli art.15 e 45 comma 3 si può evincere al contrario elementi per una lettura più ampia. Il legislatore delegato, non indica quale sia la misura oggetto dell’eventuale sostituzione, limitandosi infatti l’art.45 comma 3 a richiamare l’art.15, che ad una prima lettura sembra far intuire che la misura cautelare interdittiva che viene sostituita sia tra quelle che comportano un’interruzione dell’attività della societas (art.9 comma 2 lett.a). Tuttavia si osserva che l’interruzione dell’attività dell’ente può derivare anche dall’applicazione di una sanzione/cautela diversa da quella prevista dall’art.9 comma 2 lett. a e il riferimento è alla revoca o la sospensione delle autorizzazioni, licenze e concessioni che permettono di svolgere l’attività (art.9 comma 2 lett. b). Con questa ipotesi più ampia, la giurisprudenza ritiene che si possa ricorrere a commissariamento anche in luogo dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, nel caso in cui ciò comporti la paralisi

dell’attività dell’ente64. L’art.45 comma 3, per l’individuazione dei

presupposti applicativi della nomina del commissario rinvia a quanto stabilito nell’art.15, il quale sancisce che: a) l’ente debba svolgere un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione

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possa provocare un grave pregiudizio alla collettività; b) l’interruzione dell’attività possa avere rilevanti ripercussioni occupazionali. Sarà il giudice quindi a dover accertare il potenziale effetto interruttivo del provvedimento scelto e verificare se da ciò derivi una delle situazioni individuate ex art.15, tuttavia sono valutazioni che pur riferite a parametri legali, implicano una forte discrezionalità nella valutazione concreta in quanto non si rinvengono indici positivi a cui possa riferirsi l’interpretazione del giudice per nozioni quali “di pubblico servizio”, “di pubblica necessità” e “rilevanti ripercussioni per l’occupazione” . Queste valutazioni comportano valutazioni discrezionali, specie nella fase cautelare dove siamo di fronte ad una cognizione necessariamente superficiale, esponendo il giudice a valutazioni di

opportunità amministrativa65. Questi requisiti dunque espongono la

norma a dubbi di incostituzionalità causati dall’indeterminatezza della fattispecie e un altro aspetto che ha generato dubbi e critiche è rappresentato dalla mancanza di norme che delimitino il perimetro dei poteri e dei compiti del commissario. L’art.15 comma 3 lascia al giudice il dovere di fissare di volta in volta quale sia l’ampiezza del potere e dei compiti di questa figura, tenendo conto della specifica attività in cui è posto in essere l’illecito da parte della societas. Il commissario è sottoposto al controllo del giudice che lo ha nominato e questo accertamento è effettuato tramite il rendiconto periodico e finale che il commissario è tenuto ad effettuare nel periodo di esercizio dell’incarico; manca una norma espressa in merito, ma questi obblighi si ricavano analogicamente dall’ art 79 che regola la materia nel caso di commissariamento in sede esecutiva. Il giudice può attribuire svariati compiti in sede cautelare al commissario e tra questi vi è anche “l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di

65 Cfr. G.FIDELBO, Le misure cautelari, in Reati e responsabilità degli enti, AA.VV. a cura di Lattanzi, op.cit. Milano,2005 p.507

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organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi” (art.15 comma 3), non possono esse compiuti atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del giudice. Quando interviene una sentenza che accerti la responsabilità dell’ente e chiarisca quali siano le mancanze a livello organizzativo da risolvere, allora la predisposizione di un modello organizzativo da parte di un soggetto estraneo risulta motivato, ma in una fase del procedimento in cui questo accertamento è ancora in corso, la pratica risulta poco attuabile. Durante lo svolgimento del processo, si possono adottare spontaneamente modelli organizzativi incorrendo in effetti premiali, altrimenti in sede esecutiva la cosa può avvenire coattivamente a seguito di una sentenza che consente la prosecuzione dell’attività, nominando un commissario giudiziale ex art.15. Non sembra attendibile che il giudice emetta un provvedimento cautelare in cui imponga, per il tramite del commissario, un obbligo di fare all’ente,

basandosi solo su un accertamento indiziario sommario 66, nella fase

incidentale delle cautele quindi il commissario sembra esser privato della facoltà che invece possiede nella fase esecutiva, in modo che il suo operare risulti limitato alla sola gestione dell’ente per la durata dello strumento cautelare, in sostituzione degli organismi amministrativi. Se si accettasse la soluzione inversa, si garantirebbe al commissario un ‘eccessiva ingerenza nei meccanismi decisionali dell’ente, che attraverso l’adozione e l’attuazione dei compliance programs determinerebbe l’applicazione anticipata della pena e ciò osterebbe al dettato costituzionale rappresentato dal principio di non colpevolezza.

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Sezione II

Il procedimento applicativo

SOMMARIO: 1. Richiesta del pubblico ministero – 2. Il giudice competente – 3. Udienza e contraddittorio anticipato – 4. Ordinanza cautelare – 5. Adempimenti esecutivi - 6. Le vicende modificative – 6.1. La sospensione – 6.2. La sostituzione e la revoca – 6.3. La perenzione per il decorso del termine di durata e come conseguenza di determinate sentenze – 7. Le impugnazioni: rilievi generali – 7.1. L’appello – 7.2. Il ricorso per cassazione

1.Richiesta del pubblico ministero

Il procedimento applicativo delle misure cautelari è strutturato sul modello delineato dal codice di procedura, ma con alcune importanti deroghe. Conformandosi alla normativa del codice, l’art.45 prevede che sia il pubblico ministero l’esclusivo detentore dell’iniziativa e quindi l’unico in grado di presentare la domanda per l’adozione delle misure cautelari. La scelta di attribuire esclusivamente al PM la legittimazione a domandare un provvedimento cautelare si ricollega al particolare compito che questi svolge: è l’unico che esegue le indagini e quindi meglio di tutti può apprezzare e valutare direttamente l’esistenza delle condizioni idonee a limitare i diritti degli indagati. Come conseguenza di questa iniziativa si hanno vari effetti: interrompere il decorso dei termini di prescrizione delle sanzioni amministrative (art.22) e inoltre vincolare il giudice, impedendogli sia di attivarsi ex officio, sia di discostarsi dal petitum disponendo misure o modalità più gravose di quelle richieste dal pubblico ministero. Quest’ultimo aspetto serve a garantire

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l’imparzialità del soggetto giudicante, limitandosi solo ad esaminare quanto proposto dal PM e a giudicare il tutto in modo distaccato. L’organo dell’accusa deve presentare al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi quelli a favore dell’ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Deve trattarsi di una domanda motivata, in cui il pubblico ministero rappresenti il suo punto di vista in relazione alla sussistenza di gravi indizi di responsabilità dell’ente e del periculum in mora (come previsto dall’art.45). L’ordinanza del giudice che non è preceduta da tale richiesta motivata, sarebbe affetta da nullità assoluta, anche in presenza di tutte le condizioni previste dalla legge per l’emissione di un provvedimento cautelare. L’art.45 ha ripreso letteralmente le espressioni adoperate dall’art.291 c.p.p., prevedendo che il pubblico ministero debba presentare al giudice anche gli elementi a favore dell’ente. Con riferimento alla disposizione del codice la dottrina ha chiarito che con questa locuzione si devono intendere tutti gli elementi rilevanti per la situazione cautelare dell’imputato, includendovi non solo i dati in grado di incidere favorevolmente sulla responsabilità, ma anche le informazioni che possono rilevare in ordine all’accertamento delle esigenze cautelari e alla responsabilità dell’imputato. La finalità di tale adempimento è quella di evitare che il patrimonio conoscitivo del giudice venga a dipendere dalle scelte discrezionali del pubblico ministero a discapito della tutela delle esigenze difensive dell’ente67 .Da parte sua la giurisprudenza ritiene che nella nozione di elementi a favore rientrino solo gli elementi di natura oggettiva e di fatto aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie, le prospettazioni di tesi alternative e gli assunti assertori. Nel procedimento cautelare a carico

67 A.PRESUTTI & A.BERNASCONI, Manuale della responsabilità degli enti, op.cit. p.267 ss.

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delle persone giuridiche si ripropone il problema di individuare un punto di equilibrio tra le istanze garantiste della difesa e le esigenze efficientiste dell’accusa, che non vuole essere costretta a compiere una intempestiva “discovery” nei confronti della controparte: tuttavia, il diverso procedimento applicativo delle misure interdittive, con la previsione di un contraddittorio anticipato rispetto all’emanazione del provvedimento, dovrebbe portare ad una soluzione di questo problema. D’altra parte, deve rilevarsi che la complessità dei presupposti e della fattispecie oggetto della richiesta cautelare porta ad un ampliamento dello spazio riconosciuto agli elementi a favore dell’ente, che non riguarderanno solo il reato presupposto, ma tutti i requisiti del modello imputativo della responsabilità dell’ente, compresi i fatti che possono condurre ad escludere l’applicazione della misura interdittiva. Perde di rilievo la disposizione che impone la presentazione delle memorie difensive e delle deduzioni, anch’essa ripresa dall’art.291 c.p.p., dal momento che la misura interdittiva viene disposta a seguito di un’apposita udienza, in cui la difesa potrà non solo depositare le memorie, comprese quelle già presentate al pubblico ministero, ma illustrare la propria posizione e contraddire la tesi accusatoria. Inoltre, la previsione di un’udienza in cui il giudice, sentite le parti, emette il provvedimento cautelare, consente alla difesa dell’ente di presentare direttamente al giudice gli eventuali elementi di prova a favore della societas raccolti nel corso delle indagini difensive a norma dell’art. 391 – octies c.p.p.

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