MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE
6. Le vicende modificative del regime cautelare interdittivo
6.2. La sostituzione e la revoca
L’art 50, che prende ispirazione dall’art.299 c.p.p., disciplina gli istituti della sostituzione e della revoca, entrambi aventi la finalità di garantire, dopo l’adozione di un provvedimento cautelare e per tutto il corso del procedimento, la verifica e il controllo costante sulla persistenza dei presupposti legittimanti l’adozione (art.45), in modo da mantenere per tutta la loro durata una perfetta corrispondenza tra esigenze cautelari e misura applicata alla luce di criteri di proporzionalità e adeguatezza. Il venir meno delle condizioni di applicabilità o quando siano state riparate le conseguenze del reato, secondo le modalità previste dall’art. 17, impongono infatti di ripensare la scelta cautelare, revocando o sostituendo la misura con un’altra maggiormente idonea a fronteggiare la situazione. La revoca del provvedimento è consentita quando sono mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità della misura in corso di esecuzione, ovvero a seguito di un cambiamento del quadro probatorio in senso favorevole all’ente, in grado di contrastare con il valore indiziario degli elementi di fatto e di giudizio già considerati in sede di applicazione cautelare. L’inciso contemplato all’art. 50 comma 1, “anche per fatti sopravvenuti”, se interpretato letteralmente, porta a ritenere che la valutazione del giudice riguardo al permanere della sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura, possa vertere tanto su fatti nuovi, sopravvenuti e non oggetto di precedente delibazione, quanto su gli stessi fatti originari che per il trascorrere del tempo diventano suscettibili di una diversa valutazione. L’art.50
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comma 2 prevede i casi di sostituzione della misura cautelare interdittiva con una meno grave o una modifica in melius delle modalità esecutive e della durata, a seguito di un’attenuazione delle esigenze cautelari o di una sproporzione rispetto all’entità del fatto o della sanzione che si ritiene poter applicare in modo definitivo; la situazione presa in analisi da questo comma sembra un’applicazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, rispondendo allo scopo di garantire che vi sia sempre la necessaria corrispondenza tra ragioni cautelari da tutelare e misura adottata. In questa prospettiva è importante che sia prevista non solo la sostituibilità della misura con un’altra meno gravosa, ma anche la possibilità di una modifica interna alla species adottata, attraverso l’adozione di modalità esecutive meno gravosa della stessa. La norma non contempla l’ipotesi di una sostituzione in peius della cautela, a differenza della disciplina codicistica dell’art.299 comma 4 c.p.p., secondo la quale il giudice della cautela può sostituire la misura originaria con una più afflittiva e disporre modalità applicative più gravose quando risulti un aggravamento delle esigenze cautelari. In questo silenzio del legislatore delegato si potrebbe leggere l’intento di effettuare una deroga all’applicazione della norma del codice, ma si tiene a mente l’art.34 del d.lgs. 231/2001, con il quale il legislatore colma eventuali vuoti o risolve eventuali dubbi, la soluzione appare diversa. Infatti nessun elemento del sistema cautelare ci induce a ritenere esistente un’incompatibilità tra la disposizione dell’art.299 comma 4 con la responsabilità delineata dal decreto. Se accanto ad un’ipotesi di modifica e sostituzione in melius non si prevedesse anche il caso opposto, il sistema perderebbe di effettività. In dottrina si è ritenuta l’applicabilità della revisione in peius, ammettendo che il giudice, su richiesta del pubblico ministero, possa provvedere a questa evenienza in presenza di un aggravamento della condizione organizzativa
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dell’ente, di modo che appaia più marcato il pericolo per la reiterazione di illeciti o a seguito della scoperta della commissione di ulteriori illeciti ovvero a seguito della trasgressione agli obblighi o ai divieti collegati alle misure interdittive applicate. Quest’ultima condotta integrerebbe la fattispecie dell’art.23, che prevede una sanzione penale nei riguardi della persona fisica responsabile della trasgressione e una sanzione amministrativa pecuniaria in capo alla societas, oltre all’applicazione di sanzioni interdittive diverse da quelle irrogate in un primo momento, nel caso in cui l’ente abbia tratto un profitto rilevante dalla violazione. Rimane un unico dubbio circa la compatibilità tra art.299 comma 4 c.p.p. e la disciplina del decreto riguardante l’assenza di un necessario coinvolgimento dell’ente prima della decisione peggiorativa del giudice, in quanto l’interrogatorio del soggetto destinatario del provvedimento non è obbligatorio ma lasciato alla discrezionalità dell’organo giudicante. Non si prevede nessun contraddittorio preventivo e ciò è in contrasto col principio che governa la disciplina delle cautele, secondo il quale l’applicazione di una misura interdittiva deve sempre essere disposta nel contraddittorio delle parti. Questa singolarità non sembra rendere l’art.299 comma 4 c.p.p. incompatibile col rito del decreto, anche se si auspica che il giudice valuti in casi come questi di disporre l’interrogatorio dell’ente. Competente per la sostituzione e la revoca è il giudice che procede, ma mentre per l’avvio del procedimento l’art. 299 c.p.p. sancisce la presentazione di una richiesta di sostituzione o revoca della misura da parte del pubblico ministero o dell’imputato, nel caso di processo de societate invece alla revoca può provvedere d’ufficio anche il giudice ex art.50 comma 1, rimanendo vigente il potere delle parti interessate di avanzare un’autonoma istanza. Questa prerogativa del giudice non viene riconosciuta per il caso di sostituzione in melius della misura, essendo sempre necessaria
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l’istanza di parte ex art.50 comma 2 e questa disposizione sembra derogare alla disposizione dell’art.299 comma 3 c.p.p. ultima parte. Un’interpretazione di questo tipo dovrebbe esser retta da una valutazione di incompatibilità della previsione generale con la disciplina dettata dal d.lgs. 231/2001, ma non pare esistere con la conseguenza di dover riconoscere un intervento ufficioso del giudice limitato ai casi previsti all’art. 299 comma 3 c.p.p., con riguardo alla modifica e sostituzione in meglio delle misure cautelari. La dottrina sostiene che siano applicabili anche le altre disposizioni previste dall’art.299, in particolare il comma 3-bis, secondo il quale il giudice, prima di provvedere alla revoca, deve sentire il pubblico ministero che dispone di due giorni per esprimersi al riguardo; come pure il comma 4-bis, in ragione del quale a seguito della chiusura delle indagini preliminari, l’ente può far richiesta di revoca o sostituzione della misura con una meno grave, ovvero la sua applicazione con modalità meno gravose e il giudice, se la richiesta è presentata fuori dall’udienza, ne da comunicazione al pubblico ministero che , nei due giorni successivi, formula le proprie richieste. Il termine è da considerarsi dilatorio e la sua violazione determina la nullità della pronuncia ai sensi dell’art.178 lett.b c.p.p.. Il contraddittorio che ne deriva è solo cartolare e si differenzia rispetto alla previsione del contraddittorio anticipato per l’applicazione. Similmente è applicabile anche il comma 3-ter dove si prevede che il giudice, dopo aver valutato gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione della misura, prima di provvedervi, ha la facoltà di assumere l’interrogatorio del legale rappresentante dell’ente, a cui andranno riconosciute tutte le garanzie previste per l’imputato. Nel caso in cui l’ente ne faccia richiesta e l’istanza di revoca o di sostituzione si fondi su elementi nuovi o diversi da quelli precedentemente valutati, l’interrogatorio diverrà obbligatorio. Sembra applicabile anche in
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questo caso e con gli appositi adattamenti la disposizione del comma 4-ter, secondo la quale se il giudice non è in grado di decidere dello stato degli atti gli viene riconosciuta la facoltà di disporre, anche d’ufficio di accertamenti sull’adozione di modelli organizzativi atti a prevenire la reiterazione o la realizzazione della altre condotte previste ai sensi dell’ art.17.
6.3. La perenzione per il decorso del termine di durata e come