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9. ESAME DELLA SAPIENZA RICERCATA

9.5. Il programma di studi

9.5.1. L’astronomia

L’Ospite si accinge così ad esaminare singolarmente alcuni saperi e le loro caratteristiche, cominciando dall’astronomia:

Ora, è cosa strana da ascoltarsi (¥topon), ma noi diamo a questa un nome che, per inesperienza di questa situazione (¢peir…an toà pr£gmatoj), non si crederebbe: quello di astronomia (¢stronom…an), si ignora che chi è veramente astronomo (tÕn

332

Il termine è un hapax nel corpus platonico. 333 Giardina, L’‘Epinomide’…, p. 376. 334 Cfr. Epinomide, 989 C 3 – D 1.

¢lhqîj ¢stronÒmon) è necessariamente un grande sapiente (sofètaton), non quello

che studia l’astronomia secondo Esiodo e tutti quelli come lui che si limitano ad osservare il sorgere e il tramontare degli astri, ma colui che delle otto orbite ne abbia notate sette335, dato che ciascuna percorre il proprio ciclo, dal momento che non è facile per qualsiasi natura giungere a contemplare queste in modo adeguato, a meno che non possieda una natura straordinaria. Ed è ciò che noi abbiamo detto ora che bisognava imparare e di cui diremo, giova ripeterlo, per quale via e come bisogna impararlo336 (990 A 2 – B 4).

L’Ateniese si preoccupa di informare i suoi interlocutori del fatto che probabilmente troveranno strano il nome assegnato a questa prima disciplina ricordata: l’astronomia337. L’esitazione che l’Ospite sembra avere nell’usare questo nome «è spiegabile nel senso che i termini in questione risultano, nel contesto nel quale sono adibiti, carichi di significato diverso da quello tradizionale ed è qui il motivo per cui Platone è portato ad essere guardingo»338. Infatti, l’Ateniese si preoccupa subito di prende le distanze da coloro che si sono occupati di questo sapere studiandolo alla maniera di Esiodo e degli altri poeti339: non è questa l’astronomia a cui sta pensando. La vera astronomia di cui parla l’Ospite «non coincide dunque con la semplice osservazione del cielo, ma con quel sapere teorico, che contempla con intelligenza “quanti e quali” (cfr. 986 D 5) sono i corpi celesti e, soprattutto, secondo quali

335 La frase non è di facile comprensione in quanto non è esplicitato quale sia il movimento, tra gli otto, di difficile osservazione: forse il riferimento può essere a quello delle stelle fisse, dal momento che essa, a differenza degli altri – soprattutto di Venere e Mercurio –, possiede un moto estremamente regolare e uniforme. Non ci troviamo pertanto d’accordo con l’interpretazione di C. Pavese, il quale, pur individuando nelle stelle fisse quello più facilmente osservabile degli otto, tuttavia ritiene che esse siano «escluse dal novero delle rivoluzioni essendo considerate immobili» (Scienza e religiosità accademica nell’‘Epinomide’, «La Parola del Passato», 19 (1964), pp. 329-345, p. 338). Infatti, è il testo stesso dell’Epinomide a smentire questa lettura, dal momento che afferma esplicitamente che le stelle fisse hanno un moto contrario rispetto a quello degli altri astri (987 B 6 – C 3).

336 Per quest’ultima frase abbiamo scelto di seguire il suggerimento di traduzione di Specchia (‘Epinomis’…, p. 122).

337 L’astronoma merita una precisazione particolare in quanto la critica si è divisa fra coloro che hanno visto in questo sapere il culmine del percorso di studi (Tarán, Academica…, p. 340; Ferrari, L’‘Epinomide’…, pp. 20-30; Brisson, Le programme…, p. 35; Repellini, La “vera” astronomia…, p. 59; Cattanei, ‘Arithmos’…, p. 155; Gritti, La ricezione…, p. 462; L. Napolitano Vladitara, Le idee, i numeri, l’ordine. La dottrina della ‘mathesis universalis’ dall’Accademia antica al neoplatonismo, Bibliopolis, Napoli 1988, p. 225) e, chi ritiene che, anche qui, come in Repubblica, VII, il vertice spetti alla dialettica e non all’astronomia (Giardina, L’‘Epinomide’…, pp. 375-8; Novotný, Platonis…, p. 216; Specchia, ‘Epinomis’…, p. 128). Noi propendiamo per questa seconda ipotesi e pensiamo vi siano diverse ragioni per poterla sostenere: «l’Epinomide è anzitutto un documento della storia degli usi filosofici dell’astronomia, e solo secondariamente un documento della storia dell’astronomia» (Repellini, La “vera” astronomia…, p. 59); inoltre, è il primo sapere ad essere ricordato, ma non è “primo”: infatti, è a partire dall’aritmetica che si fa riferimento ad un ordine con cui questi saperi devono essere appresi (990 C 4-5: tÕ dὲ mšgistÒn te kaˆ prîton). Inoltre, se in questo scritto non si nomina esplicitamente la dialettica, vi è un chiaro riferimento ad essa e alla sua posizione di superiorità sugli altri saperi (991 D 8 – 992 A 3). Infine, proprio nel VII libro della Repubblica è lo stesso Platone a mettere in guardia gli uomini dal rischio di credere che l’astronomia sia la vera filosofia (529 A 6 – 530 C 1).

338

Specchia, ‘Epinomis’…, p. 121.

339 «Esiodo viene qui menzionato perché egli suggeriva di compiere le operazioni agricole seguendo il sorgere ed il tramontare delle costellazioni» (Harward, The ‘Epinomis’…, p. 137), ignorando perciò le vere «leggi che governano il movimento degli astri» (Specchia, ‘Epinomis’…, p. 122). Per un approfondimento in merito alla correlazione tra astronomia e agricoltura prima di Platone, si veda F. Lasserre, Astronomia e filosofia nel pensiero antico, in Letture platoniche, Quaderni dell’Istituto di Filosofia 4, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Magistero, Napoli 1987, pp. 95-114, pp. 95-103.

scansioni numeriche si muovono, ciascuno in se stesso e gli uni rispetto agli altri. È un sapere – lo si diceva in precedenza e lo si ribadisce – ad un alto grado di complessità: costituisce la meta finale del percorso educativo, riservato ai giovani “che partecipano di una natura meravigliosa” (900 B 3-4) e sono disponibili a sottoporsi fin da piccoli a duri esercizi (cfr. 900 C 4-5)»340. Ecco che allora, in questa prospettiva, si chiarisce e si sancisce definitivamente lo iato tra ciò che qui l’Ateniese intende parlando di vera astronomia e quell’astronomia, insegnata da Esiodo e da altri poeti, la quale non potrà mai essere considerata tale.

Stabilito a quale scienza astronomica l’Ateniese fa riferimento, egli prosegue illustrando come la si debba correttamente apprendere:

Per prima cosa diciamo questo: la luna è la più veloce a percorrere la propria orbita, facendo trascorrere un mese prima del plenilunio (pansšlhnon)341; poi, bisogna osservare il sole che, attraverso la sua rivoluzione completa, insieme agli astri che si muovono con esso (kaˆ toÚtJ toÝj sundrÒmouj), dà luogo ai mutamenti. Ma, affinché non diciamo molte volte le stesse cose sui medesimi argomenti, dobbiamo dire che non è facile pensare insieme le altre orbite, che abbiamo considerato in precedenza, per queste ragioni bisogna predisporre le nature che sono capaci, insegnando prima loro molte cose e abituandole fin da bambino e da adolescente ad esercitarsi su queste cose (900 B 4 – C 5).

È quindi necessario che colui che vuole essere considerato un vero astronomo abbia un conoscenza di quanto in precedenza si era affermato sugli astri e sui loro movimenti. Infatti, egli deve sapere che la Luna è l’astro che ha la rivoluzione più veloce, ad essa segue poi per velocità il Sole ed i pianeti isodromi a quest’ultimo, Marte e Venere342, e, tutti insieme, danno origine ai mutamenti che avvengono sulla terra. L’Ateniese ricorda inoltre che, se non è così difficile osservare i moti di questi astri, non sono invece così facili da osservare le rivoluzioni di Marte, Giove e Saturno343: per tale ragione, è necessario istruire fin da fanciulli coloro che sono dotati di una natura migliore, abituandoli alla fatica di queste osservazioni.