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4. L’Epinomide ed altri dialoghi platonici: contenuti e rimandi

4.3. La dimensione politica

Se è indubbio che all’interno dell’Epinomide la trattazione cosmologica occupi buona parte della discussione, è però altrettanto vero che il vero fine del dialogo è di tipo politico: infatti, come già ricordato, all’interno dello scritto si trovano diversi richiami alla figura del legislatore e alla necessità di creare delle leggi che regolino il culto agli dèi astrali. Ma è solo a conclusione dell’opera che si chiarisce meglio l’obiettivo politico sotteso a tale ricerca: ovvero trovare non solo il politico capace di guidare la città attuando le riforme programmate, ma un gruppo di uomini eccezionalmente dotati a cui assegnare questo compito. Questo gruppo, noto come Consiglio Notturno, dovrà essere accuratamente selezionato e, soprattutto, adeguatamente educato: infatti, potranno prendere parte ad esso solo alcuni uomini naturalmente dotati e dovranno seguire un programma di studi preparatorio molto preciso, per poter essere effettivamente considerati atti a governare.

Il curriculum di scienze presentato nelle pagine finali dell’Epinomide non è un elemento innovativo, ma richiama e ricalca quello per i filosofi re presente nel VII libro della

Repubblica. Infatti, in entrambi i dialoghi si afferma che, tra gli uomini, ve ne sono alcuni

401 Cfr. p. 137, nota 398.

naturalmente più dotati, che, se saranno correttamente educati, potranno e dovranno fare da guida agli altri. Inoltre, in entrambe le opere, le scienze che essi dovranno conoscere sono le medesime, ovvero, aritmetica, geometria, stereometria, astronomia, armonia. Infine, sia nella

Repubblica, sia nell’Epinomide, il vertice della conoscenza a cui queste nature migliori

devono giungere, dopo essersi dedicati allo studio delle scienze ricordate, è la dialettica. Va però ricordato che Platone afferma esplicitamente che il modello politico della

Repubblica deve restare solo un modello e non deve essere applicato402: questo paradigma utopico è destinato a lasciare il posto alla proposta normativa delle Leggi. Sembra però plausibile pensare che Platone non abbia mai effettivamente rinunciato all’idea che fossero gli uomini, con l’ausilio delle leggi, il modo migliore per governare la città. Infatti, egli è sì ben consapevole dei limiti intrinseci alla natura umana, ma è anche fortemente convinto che, proprio tra questi esseri limitati, sia possibile individuarne alcuni «divini»403, capaci cioè di superare i normali limiti umani e di guidare la moltitudine. In quest’ottica appare chiaro come Platone, anche nell’Epinomide, rimanga coerente con la sua idea che a governare la città debbano essere degli uomini che conoscono la filosofia: «il Consiglio notturno non è certamente fatto di filosofi-re, ma la filosofia deve in qualche modo essere presente in misura massiccia»404.

Questa ipotesi di estrema coerenza del pensiero platonico trova un’ulteriore conferma nella Lettera Settima:

Dunque, i mali non lasceranno il genere umano finché o una generazione di veri e autentici filosofi non prenda il potere politico o coloro che dominano nelle città, per un qualche dono divino, non si dedichino alla filosofia (326 A 7 – B 4).

La presenza di una classe politica adeguatamente formata è quindi un asse portante del pensiero dell’Ateniese: tuttavia, si deve ricordare che anche le leggi hanno il loro e peso e solo la corretta interazione tra questi due elementi può condurre ad un concreto e costante miglioramento della polis.

Il rapporto tra uomo politico e leggi non è però il solo ad emergere dalla lettura dell’Epinomide. Infatti, è altrettanto chiaro che il politico debba anche sapersi relazionare correttamente con il divino. Per fare ciò è però necessario, come già si ricorda nelle Leggi (XII, 966 A), che il politico non solo si applichi alle virtù, ma possieda anche un’adeguata conoscenza degli dèi:

402

Cfr. Repubblica, VI, 499 C 3-5; VI, 502 C. 403 Epinomide, 992 C 6.

uno che non ha natura divina e che non si è impegnato nelle cose divine non sia mai eletto custode delle leggi e nemmeno sia incluso tra quelli citati per virtù (Leggi, XII, 966 C 8 – D 3).

In questa prospettiva si comprende bene come la dimensione del divino e della religiosità sia essenziale per l’uomo, tanto da affermare che non ci può essere per l’uomo virtù superiore all’eusebeia405. Infatti, «nella novella annunciata dall’Ateniese è ben evidente che

polis e religione procedono strettamente congiunte in quel binomio che costituisce il tratto

distintivo dell’esperienza religiosa nella Grecia classica e che caratterizza lo Stato delle

Leggi»406. In questa prospettiva si deve inoltre ricordare che il buon uomo politico, per essere tale, non deve occuparsi solo degli uomini, ma anche del rapporto con gli dèi: allora, è chiaro che l’approfondimento degli aspetti teologici presente all’interno dell’Epinomide è funzionale a completare il discorso politico delle Leggi. Il buon legislatore dovrà saper legiferare non solo per quanto concerne le cose umane, ma anche riguardo a quelle divine: tuttavia, per poter fare ciò, è necessario che egli abbia un’adeguata conoscenza del mondo divino e sia in grado di offrire rappresentazioni degli dèi migliori e più vere rispetto a quelle dei suoi predecessori407.

Questo ruolo politico andrà svolto dai membri del Consiglio Notturno, uomini saggi e conoscitori della filosofia, i quali sanno che le leggi, per quanto buone, sono sempre opera degli uomini. Esse, quindi, necessitano di una costante opera di revisione e miglioramento ma, affinché questo possa realizzarsi, è necessario che i membri del Consiglio Notturno abbiano sempre di mira la virtù. Allora essi, oltre ad avere un formazione dialettica, oltre a conoscere la natura del divino, dovranno essere massimamente virtuosi. Saranno allora uomini davvero giusti, cioè esplicheranno la giustizia al massimo grado, come Platone già aveva affermato in altri suoi scritti, avendo cura sia degli uomini, sia degli dèi408.