3 La contrarietà del supporto logistico al terrorismo ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite
5. I possibili effetti della pronuncia della Corte di giustizia nel quadro normativo europeo in materia di lotta al terrorismo
Un’ultima preoccupazione della dottrina attiene, poi, ai possibili effetti che la pronuncia giurisprudenziale del caso Lounani potrebbe produrre nel quadro normativo europeo in materia di lotta al terrorismo.149
In particolare per quanto attiene al Protocollo addizionale alla Convenzione europea contro il terrorismo del 2002150 e alla direttiva 2017/541 sulla lotta contro il terrorismo del Parlamento europeo e del Consiglio adottata il 15 marzo 2017.
In primo luogo per quanto riguarda il Protocollo, proprio in riferimento alle condotte che gli Stati hanno l’obbligo di prevedere come reati, si è sottolineato il rischio che la formulazione in termini generici di attività preparatorie di atti di terroristici possa compromettere il rispetto dei diritti umani e violare il principio di legalità di cui all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.151
Critiche analoghe sono state espresse in merito ad una non sufficiente precisa formulazione dei reati terroristici cui si riferirebbero le misure preventive e repressive previste nel Protocollo, diretta conseguenza dell’assenza di una precisa definizione di terrorismo nella risoluzione 2178(2014) del Consiglio di sicurezza.152
Ugualmente generico e vago, in secondo luogo, è stato considerato il testo della direttiva del 2017 contro il terrorismo. Innanzitutto, è stata contestata la scarsa trasparenza con la quale questa sarebbe stata predisposta, ossia attraverso il ricorso ad un accordo politico raggiunto sul testo il 17 novembre 2016 da un esiguo numero di rappresentanti del Consiglio, della
149
Peers, op. cit.
150 Protocollo addizionale alla Convenzione europea contro il terrorismo del 2002 adottato il 22 ottobre 2015, ad oggi ratificato solo da 5 stati (Albania, Danimarca, Italia, Moldova, Monaco) sui 6 richiesti ai fini della sua entrata in vigore.
151 MUŇOZ G., Additional Protocol to the Council of Europe Convention on the Prevention of Terrorism, European Papers, vol. 1,2016, pp. 349-351.
152
Si vedano: SCHEININ, The Council of Europe’s Draft Protocol on Foreing Terrorist Fighters is Fundamentally Flawed, 18 marzo 2015 reperibile nel sito
https://www.justsecurity.org/21207/council-europe-draft-protocol-foreign-
terrorist-fighters-fundamentally-flawed; AMBOS, Our Terrorists, Your Terrorists? The United Nations Security Council Urges States to Combat “Foreing Terrorists Fighters” but Does Not Define “Terrorism”, European Journal of Int. Law: Talk!, 2 ottobre 2014, disponibile al sito internet: www.ejiltalk.org; PETERS, Security Council Resolution 2178(2014):The “Foreign Terrorist Fighters” as an International Legal Person Part I-II, 20 novembre 2014, disponibile al sito internet: www.ejiltalk.org.
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Commissione e del Parlamento. Inoltre, i principali motivi di preoccupazione riguardano ancora una volta la previsione di reati la cui generica formulazione appare difficilmente conciliabile con il rispetto dei diritti umani e del principio di legalità. In nessuna delle norme delle direttiva è richiesto che per le attività preparatorie sia richiesta la prova di un rischio reale che queste possano portare alla commissione di un atto terroristico.153
Le critiche mosse contro questi due atti normativi sono le stesse mosse contro la sentenza Lounani. Per concludere, se la Corte di Giustizia avesse precisato, quanto meno rispetto al caso in questione, quale livello di coinvolgimento in un atto terroristico fosse necessario e, soprattutto, se avesse indicato quale nesso causale debba sussistere tra le diverse attività che possono contribuire alla commissione di atti terroristici e gli atti terroristici stessi, avrebbe contribuito a rendere più chiare e conformi al rispetto dei diritti umani le misure anti-terrorismo di recente adottate nell’ambito dell’Unione Europea, evitando una politicizzazione di tali clausole e la possibilità che l’esclusione possa essere rimessa all’arbitrio degli Stati membri.154
153
Si veda il comunicato congiunto del 30 novembre 2016 emanato a nome di Amnesty International, Network europeo contro il razzismo, Diritti europei e digitali, Gruppo di esperti sui diritti fondamentali europei, Human Rights Watch, la Commissione internazionale dei giuristi e Open Society Foundations, reperibile nel sito https://edri.org/european-union-directive-counterterrorism-seriously-flawed 154
PEERS S., Foreing Fighters’ Helpeers Excluded from Refugee Status: The ECJ Clarifies the Law, in EU Law Analysis, 31 gennaio, disponibile al sito internet:
123
CONCLUSIONI
Dall’analisi emerge che l’articolo 1F della Convenzione di Ginevra stabilisce i casi in cui lo status di rifugiato non possa essere riconosciuto sebbene l’individuo in questione presenti i requisiti necessari e corra il rischio di essere oggetto di persecuzione se tornasse nel Paese di origine. L’obiettivo perseguito dai redattori delle Convenzione era quello di evitare che beneficiassero dei diritti derivanti dal riconoscimento dello status di rifugiato quanti avessero commesso crimini così odiosi da non essere meritevoli di protezione internazionale.
La direttiva qualifiche (nella prima come nella versione più recente) si pone in linea di continuità con la Convenzione del 1951, poiché propone le medesime categorie ai fini dell’esclusione dello status di rifugiato. Tuttavia la direttiva qualifiche, oltre ad ampliare parzialmente l’ambito di applicazione per chi si ritiene abbia commesso uno degli atti proibiti ai sensi dell’art. 1F (b), prevede l’esclusione anche a quanti istigano o partecipano in altro modo alla commissione dei suddetti atti. In maniera più specifica, poi, il legislatore europeo ha inteso includere tra tali atti anche il terrorismo internazionale, non richiamato esplicitamente dalla Convenzione sui rifugiati poiché emanata nel secondo dopoguerra, attraverso il rinvio al preambolo e agli articoli 1 e 2 della Carta delle Nazioni unite e alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU relative alle misure di lotta al terrorismo.
Tuttavia dall’analisi della giurisprudenza europea emerge come la Corte di giustizia abbia ristretto di molto la discrezionalità degli Stati membri nell’applicazione delle cause di esclusione, contrariamente a quanto sembrava emergere dall’interpretazione dell’art. 1 F della Convenzione di Ginevra, rischiando di favorire un inasprimento delle misure anti terroristiche non sempre motivate da esigenze oggettive.
Tuttavia bisogna precisare che la Convenzione di Ginevra e la direttiva 2011/95/UE (al momento dei fatti 2004/83/CE) rimangono, comunque, due strumenti giuridici distinti. Di conseguenza, anche se la seconda riproduce in gran parte le norme della prima, non si può escludere che possano essere
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interpretate in modo differente in relazione ad alcuni aspetti da esse regolamentati. In particolare, si deve notare che la questione relativa all’applicazione delle cause di esclusione si colloca, nel sistema della direttiva, in un contesto giuridico molto più strutturato di quello della Convenzione, nell’ambito del quale coloro ai quali è negato lo status di rifugiato hanno comunque la possibilità di usufruire di forme alternative di protezione idonee a garantire la realizzazione dello scopo perseguito dal diritto d’asilo, ovvero la salvaguardia della dignità umana. Di conseguenza, mentre un’interpretazione evolutiva dell’art. 1, lett. F, della Convenzione di Ginevra può rendere indispensabile che esso sia valutato nel senso di lasciare agli Stati la possibilità di accordare comunque lo status di rifugiato anche a chi rientri nell’ambito di applicazione della norma in questione, tale necessità non si presenta in relazione all’art. 12, par.2, della direttiva. In base a quest’ultima, infatti, la negazione del riconoscimento dello status di rifugiato non si configura necessariamente come un rifiuto di proteggere il richiedente asilo interessato, essendo comunque disponibili altre forme di protezione. Tale costruzione è invece difficilmente ipotizzabile in relazione al sistema della Convenzione di Ginevra nell’ambito della quale l’applicazione delle cause di esclusione sembra prospettarsi come equivalente ad un diniego di protezione.
Si è potuto appurare come esista una stretta relazione tra la protezione dei rifugiati e le misure anti terrorismo ossia tra le esigenze in materia di protezione dei diritti dell’individuo e necessità di tutela della sicurezza nazionale e internazionale. Per tale motivo il concetto di esclusione dalla protezione internazionale costituisce un crocevia tra il diritto internazionale sui rifugiati e la lotta ai gravi reati internazionali, incluso il terrorismo. Tutto questo porterà ad una serie di nuove sfide che vedranno la necessità di distinguere coloro che possono essere definiti come rifugiati in senso stretto e che hanno diritto all’attribuzione della protezione internazionale, da chi, invece, è un combattente terrorista straniero e per tale immeritevole. A tale fine sarà necessario, quantomeno, individuare una nozione unitaria di terrorismo, stando attenti ad evitare l’utilizzo di tali norme per scopi di presunta sicurezza nazionale piuttosto che per esigenze oggettive, sull’onda della paura scaturita dai numerosi fenomeni terroristici degli ultimi anni.
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