2 Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio
2.2 La superfluità del requisito della “pericolosità attuale” Il giudice di rinvio, con la seconda questione pregiudiziale (identica per
entrambi i casi), ha chiesto se l’esclusione dallo status di rifugiato a norma dell’art. 12, n.2, lett. b) o c) della direttiva sia subordinata alla circostanza che la persona considerata continui a rappresentare un pericolo per lo Stato membro di accoglienza.
La Corte, nell’esaminare tale questione, ha sottolineato che nell’ambito della direttiva, il pericolo attuale che un rifugiato possa eventualmente rappresentare per lo Stato membro è preso in considerazione non nell’ambito
27UNHCR, Guidelines on International Protection: Application of the Exclusion Clauses: Article 1F of the 1951 Convention relating to the Status of Refugees, doc. HCR/GIP/03/05 del 4 settembre 2003, §26.
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Ibid., §18. 29 Ibid., §19.
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dell’art. 12, n.2, bensì in quello, da un lato, dell’art. 14, n.4, lett. a), in base al quale uno Stato membro può revocare lo status riconosciuto ad un rifugiato quando vi siano fondati motivi per ritenerlo una minaccia per la sicurezza e, dall’altro, in quello dell’art. 21, n.2, il quale prevede che uno Stato membro di accoglienza possa, come autorizzato anche dall’art. 33 (2), della Convenzione di Ginevra, respingere un rifugiato quando vi siano fondati motivi per considerare che egli costituisca una minaccia per la sicurezza o la comunità di tale Stato membro.30
Se ci si attiene al dettato letterale della dell’art. 12, n.2, lett. b) o c), della direttiva (analogo nella formulazione all’art. 1F (b) e (c) della Convenzione di Ginevra) un cittadino di un paese terzo può essere escluso dallo status di rifugiato ove sussistono fondati motivi per ritenere che <<abbia commesso>> al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune << prima di essere ammesso come rifugiato>> o che <<si sia reso colpevole>> di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite. Dunque, entrambe le cause di esclusione mirano a sanzionare atti commessi in passato.31
Inoltre la Corte ha precisato che le cause di esclusione in esame sono state istituite al fine di escludere dallo status di rifugiato le persone ritenute indegne della protezione, che è collegata a tale status, e di evitare che il riconoscimento di tale status consenta ad autori di taluni gravi reati di sottrarsi alla responsabilità penale. Non sarebbe, quindi, conforme a tale duplice obiettivo subordinare l’esclusione da detto status all’esistenza di un pericolo attuale per lo Stato membro di accoglienza.32
Dunque, la Corte ha risposto negativamente alla domanda pregiudiziale dichiarando che l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n.2, lett. b) o c), della direttiva non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo concreto per lo Stato membro di accoglienza.33 Questa soluzione è conforme a quanto affermato anche dai governi intervenienti, dalla Commissione, dall’Avvocato generale Mengozzi e dell’UNHCR.34
30 Corte di giustizia, B&D, cit.,§101. 31 Ibid.,§§102-103.
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Ibid., §104. 33
Ibid.,§105.
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Nello sposare tale posizione la Corte ha seguito quanto sostenuto nelle Conclusioni dell’Avvocato generale, in cui si nota che né la disposizione in parola né le norma convenzionale corrispondente, contengono un riferimento esplicito o implicito a un giudizio di pericolosità sociale attuale del richiedente quale condizione aggiuntiva cui sarebbe subordinata l’applicazione delle cause di esclusione in questione.35
È interessante notare come l’Avvocato generale abbia preso espressamente in considerazione una statuizione contenuta nell’Handbook, in base alla quale <<nel caso in cui un richiedente condannato per un grave reato non politico abbia già scontato la sua pena o abbia ottenuto la grazia o abbia beneficiato di un'amnistia [...], si presume che la clausola di esclusione non sia più applicabile, a meno che si possa dimostrare che, nonostante il perdono o l'amnistia, il carattere criminale del ricorrente è ancora predominante>>.36
In relazione a tale affermazione, l’Avvocato generale ha sostenuto che da essa non si può trarre, neanche ragionando a contrario, una presa di posizione di carattere generale in favore di un’interpretazione della norma che precluda, in ogni circostanza, l’applicazione della causa di esclusione in questione nel caso in cui sia venuta meno la pericolosità sociale del richiedente.37
Tuttavia, parte della dottrina non è concorde con quanto statuito dalla Corte.38 La critica afferma che sebbene la conclusione fornita dalla Corte in merito alla seconda questione pregiudiziale appaia coerente sulla base di un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 12, par. 2 della direttiva 2004/83/UE, essa suscita tuttavia forti perplessità se la si valuta alla luce del metodo di interpretazione evolutiva suggerito dal principio di diritto internazionale generale codificato dall’art. 31, par. 3, lett. c), della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati,39 il cui rispetto appare necessario riguardo a trattati che perseguono finalità di carattere umanitario.
35 Ibid.,§85. 36
UNHCR, Handbook on Procedures and Criteria for Determining refugee Status under the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees, doc. HCR/IP/4/Eng/REV.1, gennaio 1992, §.157.
37 Corsivo nel testo originale. Conclusioni dell’Avvocato Generale Mengozzi, §157. 38
LENZERINI F., Diritto d’asilo e esclusione dello status di rifugiato. Luci ed ombre nell’approccio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Rivista di diritto internazionale vol. 1, Milano, 2011, pp.125-126.
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Tale disposizione stabilisce che, nell’interpretare un trattato in aggiunta al contesto dello stesso si dovranno prendere in considerazione <<eventuali norme pertinenti di diritto internazionale applicabili nei rapporti tra le parti>>.
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Ciò in quanto, in considerazione della natura e degli scopi perseguiti dalle norme internazionali sui diritti umani fondamentali appare del tutto inappropriato configurare le cause di esclusione dello status di rifugiato in termini sanzionatori, per quanto grave possa essere il crimine commesso dal soggetto interessato. Infatti, punizioni implicanti la privazione a danno di un individuo dei diritti fondamentali ad esso internazionalmente riconosciuti – ad eccezione di quelli che è indispensabile conculcare per permettere la corretta attuazione della giustizia (in particolare la libertà personale)- non possono trovare alcune giustificazione nell’ordinamento giuridico internazionale contemporaneo, in quanto collidono irrimediabilmente con l’idea stessa di dignità umana. D’altra parte, nel rispondere al secondo quesito pregiudiziale, il margine di valutazione a disposizione della Corte era piuttosto limitato, data la formulazione univoca dell’art. 12, par. 2, della direttiva; per questo, ciò che le si può imputare è più che altro una mancanza di coraggio nell’interpretare la norma in questione in modo meno ancorato al testo normativo. Le maggiori responsabilità dell’incompatibilità dell’articolo in oggetto con i valori fondamentali del diritto internazionale contemporaneo sono quindi da ascrivere al legislatore europeo. Quest’ultimo, infatti, nel riprodurre pedissequamente il contenuto dell’art. 1, lett. F), della Convenzione di Ginevra nell’art. 12 della direttiva, ha fatto proprio un approccio che, se poteva considerarsi giustificato alla luce dello stadio evolutivo del diritto internazionale all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, non lo è certamente ai giorni nostri.40