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L’attività interpretativa e consultiva

Nel documento Relazione annuale 2014 (pagine 151-156)

Le misure straordinarie per la gestione dei contratti pubblici

6.2.2 L’attività interpretativa e consultiva

L’assoluta novità, nel nostro panorama normativo, degli istituti introdotti con il citato decreto e la formulazione, non di agevole lettura, del disposto di cui all’art. 32, ha reso necessaria, come si è detto, anche al fine di assicurare un’applicazione uniforme dell’istituto da parte delle prefetture, una prima attività interpretativa della norma, cui si è accompagnata una costante attività consultiva.

Tale attività si è resa imprescindibile, già all’indomani dell’entrata in vigore del decreto, soprattutto in risposta alle rappresentate preoccupazioni di coerenza con i principi costituzionali e di contrasto con i generali presidi di garanzia e ai paventati rischi di possibili abusi, tenuto conto dell’eccessiva discrezionalità che la formulazione vaga ed equivoca della norma avrebbe posto in capo all’interprete.

In quest’ottica, il Presidente si è fatto promotore di una prima interpretazione dell’art. 32 con la prima proposta, cui si è dato corso, il 10 luglio 2014, in epoca antecedente alla conversione parlamentare del decreto, con la richiesta avanzata al Prefetto di Milano per la «straordinaria e temporanea gestione della società Maltauro S.p.A., con riferimento

all’appalto relativo alle architetture di servizio afferenti al sito per l’esposizione universale del 2015».

La “prima sperimentazione” dell’istituto è stata anche l’occasione per anticipare alcune soluzioni interpretative che sono state successivamente recepite dalla legge di conversione. Ci si riferisce, in particolare, all’individuazione del prefetto competente ratione loci, oggi specificamente individuato nel prefetto del luogo in cui ha “sede la stazione appaltante”, laddove la norma originaria si riferiva genericamente al “prefetto competente”, lasciando all’interprete il compito di risolvere le incertezze sulla competenza territoriale e di scegliere se privilegiare la sede dell’impresa o della SA.

La proposta sopra citata si è preoccupata di sciogliere il suddetto nodo interpretativo in favore del prefetto del luogo in cui ha sede la SA in ragione del fatto che, coincidendo, di regola, la sede della PA con il luogo di esecuzione del contratto, tale criterio avrebbe consentito all’autorità chiamata a disporre la misura non solo di apprezzare la gravità del fatto, ma anche di svolgere quella di funzione di controllo e supervisione sull’operato degli amministratori incaricati della gestione dell’appalto.

Fin dalla prima richiesta, peraltro, ci si è premurati anche di dare alla norma una chiave di lettura costituzionalmente orientata che assicurasse, da una parte, il rispristino della legalità violata con il minor sacrificio possibile per l’OE e, dall’altra, l’avvio del procedimento solo all’esito di una valutazione oggettiva, sulla base di criteri severi, in presenza di fatti connotati da un notevole spessore probatorio.

E proprio nell’ottica di operare un ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è dato impulso al consolidamento di una linea interpretativa volta a garantire l’adozione delle misure secondo criteri rigorosi, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità, in modo da garantire il soddisfacimento dell’interesse pubblico, circoscrivendo al minimo l’intervento dell’autorità amministrativa e, conseguentemente, la compressione della libertà di impresa. In tale prospettiva, si è sempre operata una rigorosa graduazione delle misure applicabili in ragione della gravità della situazione riscontrata a carico dell’OE e quindi degli interventi da attuare per proseguire l’appalto al riparo da ulteriori condizionamenti illeciti e in una situazione di ripristinata legalità.

In secondo luogo, in forza di tale lettura, ci si è adoperati affinché il procedimento di formulazione della proposta, benché l’articolato normativo manchi di una previsione in tal senso, si conformasse fin da subito ai principi generali che governano l’azione

amministrativa, garantendo la partecipazione al procedimento da parte degli interessati, attraverso gli istituti previsti dagli artt. 7, 8 e 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove

norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Invero, la formulazione della proposta, da parte del Presidente dell’ANAC, è stata sempre preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento agli interessati e dalla concessione ai medesimi di un termine per la presa visione degli atti, l’estrazione di copia e la presentazione di memorie scritte. Non solo, dunque, l’esercizio del potere è sempre avvenuto garantendo agli interessati la partecipazione al procedimento, ma l’articolazione di quest’ultimo in due fasi anche temporalmente distinte, facenti capo a due diverse autorità, ha consentito ai medesimi interessati di intervenire anche nella successiva fase procedimentale, incardinata dinanzi al prefetto competente.

Sempre nella medesima ottica, si è promossa un’interpretazione “restrittiva” dell’istituto del commissariamento di cui all’art. 32, co. 1, lett. b) in modo da determinare l’attrazione nell’alveo pubblicistico esclusivamente del segmento di impresa connesso all’esecuzione di quello specifico contratto “inquinato”.

In altri termini, la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa è stata intesa, fin dalla prima applicazione, come una misura volta a disporre una sorta di commissariamento del singolo appalto, senza incidere sulla governance complessiva dell’impresa, ma sospendendo i poteri dell’imprenditore o degli organi sociali, limitatamente a quello specifico contratto o concessione. In base a tale chiave di lettura, la misura determina una netta separazione tra gli assetti gestionali e proprietari dell’impresa, mediante la nomina di amministratori prefettizi che non si occuperanno dell’attività sociale, ma saranno tenuti esclusivamente a portare a termine l’appalto o la concessione “inquinati” e ad accantonare l’eventuale utile di impresa in un fondo speciale, in funzione degli eventuali interventi (quali confische o risarcimenti) che potrebbero essere disposte a seguito dall’accertamento penale. Gli amministratori, pertanto, sono tenuti a realizzare una forma di gestione separata e di carattere temporaneo di un segmento dell’impresa (legato all’esecuzione di quello specifico contratto), mentre gli organi sociali restano in carica per lo svolgimento della attività di gestione.

Tale sforzo interpretativo, inoltre, è stato profuso dall’ANAC anche con il dichiarato intento di riconoscere all’innovativo istituto del commissariamento una sua dignità e una sua autonomia, nel panorama delle misure introdotte nel nostro ordinamento.

Infatti, l’art. 32 non è stato inteso come un duplicato dei poteri propri dell’autorità giudiziaria (e degli istituti previsti dagli artt. 9 e 45 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle

associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300) che consentono, in presenza di determinati presupposti, l’azzeramento degli organi

di amministrazione dell’impresa e la loro sostituzione con la gestione commissariale), ma l’Autorità lo ha costantemente inteso (e difeso) come un efficace ma meno invasivo strumento che permette, allorché non ricorrono gli estremi per un radicale “spossessamento” dei poteri gestori, di intervenire “chirurgicamente” con riferimento al singolo contratto e limitatamente alla sua esecuzione.

Degna di menzione in questa sede è anche l’attività posta in essere dall’ANAC per quanto concerne le problematiche connesse alla quantificazione dei compensi dovuti agli amministratori e agli esperti prefettizi. In base alle previsioni di cui all’art. 32, co. 6, infatti, agli amministratori spetta un compenso quantificato con il decreto di nomina sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all’art. 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14 (Istituzione dell’Albo degli amministratori giudiziari, a norma dell’articolo 2, comma 13, della legge 15

luglio 2009, n. 94). Il medesimo criterio di quantificazione del compenso viene stabilito, in

misura non superiore al 50% di quello liquidabile in forza delle richiamate tabelle, per gli esperti incaricati del sostegno e monitoraggio dell’impresa.

Il richiamato art. 8 prevede che, con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta del Ministro della Giustizia, di concerto con i Ministri dell’Economia e delle finanze e dello Sviluppo economico, ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. b), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio

dei Ministri), sono stabilite le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli

amministratori giudiziari.

Poiché il citato decreto attuativo, ad oggi, non è stato adottato, nelle more sono stati stipulati protocolli di intesa e convenzioni. In particolare, nelle prime esperienze applicative, alcune prefetture, tra cui quella di Roma, hanno desunto alcuni parametri di riferimento per il calcolo da un protocollo di intesa stipulato, il 23 maggio 2014, tra il Tribunale ordinario di Roma e l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Roma il quale introduce, con valore orientativo e non vincolante, i criteri di calcolo degli amministratori di beni sequestrati e confiscati, utilizzando, con i dovuti adattamenti e

le necessarie integrazioni, i parametri individuati nel decreto del Ministro della Giustizia del 20 luglio 2012, n. 140 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione,

da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27).

Le prime esperienze di commissariamento degli appalti hanno, peraltro, evidenziato l’assoluta particolarità delle misure introdotte dall’art. 32, del decreto legge 90 e la conseguente necessità di prevedere una disciplina ad hoc per la parametrazione dei compensi.

A fronte delle difficoltà evidenziate dalle prefetture e dei rischi connessi all’assenza di parametri univoci, tra i quali quello di procedere a quantificazioni sensibilmente differenti anche per appalti simili, facenti capo ad imprese operanti nel medesimo settore, l’Autorità si è attivata nei confronti dei Ministri della Giustizia, dell’Economia e finanze, dello Sviluppo economico e per le Riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, auspicando un intervento normativo che, in attuazione dell’art. 8 del d.lgs. 14/2010, stabilisca le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari, introducendo specifiche disposizioni per gli istituti di cui all’art. 3239.

In particolare, si è evidenziato che nel caso dei commissariamenti ex art. 32, essendo i compensi degli amministratori a carico delle imprese (alle quali sono sottratti anche gli utili del contratto e della concessione, essendo previsto il loro accantonamento in un fondo che viene all’uopo istituito), si appalesa la necessità, da un lato di prevedere criteri certi, uniformi e funzionali alla ratio dell’istituto e, dall’altro di introdurre correttivi specifici, idonei ad ancorare il compenso alla durata e al valore dell’appalto e a limitarne l’ammontare. Ciò tenuto conto soprattutto del fatto che il commissariamento, salvo casi eccezionali, non ha ad oggetto l’impresa ma solo un segmento della sua attività.

A tal proposito, è attualmente in fase di costituzione un tavolo tecnico per l’individuazione di criteri e parametri univoci di liquidazione dei compensi, cui parteciperanno oltre ai ministeri di riferimento anche l’ANAC e il Ministero dell’Interno.

39 Si veda, in proposito, la nota prot. n. 23801/2015 pubblicata nella sezione Comunicazioni, area News del sito istituzionale dell’Autorità.

Nel documento Relazione annuale 2014 (pagine 151-156)