2. IL VENETO E LA SUBCULTURA BIANCA
3.3 Dimensione orizzontale
3.3.1 Attori del Terzo Settore: interazioni tra loro e la società civile
Tra i CAS che si sono proposti di anno in anno sono emerse delle realtà interessanti per quanto riguarda la rete di collaborazione instauratasi. Infatti, CAS con la stessa mission, ovvero volti a creare un’accoglienza diffusa e farlo in certo modo, ha dato vita ad una RTI (Rete Temporanea di Impresa). Il fatto di decidere di creare una rete di collaborazione tra certi enti, è stata certamente una scelta:
“la nostra relazione si è focalizzata con quei soggetti che facevano accoglienza come noi. Questo è stato il criterio che ha guidato il nostro livello di collaborazione con i soggetti. Escludendo, tra virgolette, anche quei soggetti che facevano anche accoglienza diffusa ma che si muovevano secondo mission completamente diverse. Mi riferisco ad esempio, anche a chi dentro la Prefettura si è auto-definito “imprenditore dell’immigrazione” “imprenditore dell’accoglienza”. E quindi comunque, c’è uno spartiacque tra chi fino a quel momento si era occupato di immigrazione e chi invece ha visto nell’immigrazione un settore imprenditoriale e basta.” (intervista 4)
Quindi è stata sia una presa di posizione dettata dalla volontà di differenziarsi rispetto ad altre realtà; sia una scelta per avere maggiore peso politico rispetto alle richieste della Prefettura, nonché, un confronto legato all’operatività del quotidiano in applicazione alle modifiche sull’accoglienza:
“L’ottica è quella di avere una condivisione nella gestione dell’accoglienza, quindi con l’attenzione alla persona, a tutti i percorsi di integrazione nel territorio e un’accoglienza suddivisa in piccole unità. E avere maggiore peso politico al livello di Prefettura sicuramente. C’erano due tavoli, uno tecnico a cui partecipavano i referenti dei vari enti, e un tavolo politico a cui partecipavano i direttori degli enti. Che davano un po’ le linee,
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magari se era necessario prendere delle posizioni rispetto a linee della Prefettura, o anche rispetto ad episodi che potevano essere di intolleranza. Il tavolo tecnico era più legato alla gestione pratica delle varie strutture, sia per la questione amministrativa, perché si faceva di fatto capo alla cooperativa LaEsse per questo. Sia note tecniche circa il regolamento della Prefettura, sia problemi specifici riscontrati nei centri, per vedere se erano stati riscontrati negli altri. Ne facevano parte Caritas Tarvisina, la cooperativa LaEsse, Una Casa Per l’Uomo, coop. Alternativa, Caritas Vittorio Veneto, le Discepole del Vangelo, Domus Nostra, la GEA.
Con l’ultimo bando 2018 l’RTI si è sciolta perché di fatto non potevamo più rispondere in modo unito al bando, ma ogni ente doveva rispondere singolarmente, quindi presentare da solo la propria offerta. Quindi si è sciolta formalmente nei confronti della Prefettura, ma si è continuato a portare avanti questi incontri di coordinamento, e la visione comune dell’accoglienza. Infatti, si è passati da RTI a RAD (Rete Accoglienza Diffusa) e le modalità restano le stesse, un tavolo politico e uno tecnico in cui vengono affrontati problemi che magari sono comuni a tutti gli enti gestori. Ad esempio, il problema dei codici fiscali, anche per capire se si può unitariamente presentare un’istanza che sia alla Prefettura o all’Agenzia delle Entrate in questo caso. I soggetti che ne fanno parte sono diminuiti. Non ci sono più le Discepole del Vangelo ad esempio, perché non hanno più risposto al bando, ma continuano a partecipare alle riunioni proprio per mantenere quest’ottica sulla accoglienza diffusa, e condivisione di intenti circa l’accoglienza. E adesso si sta ragionando su cosa succederà di qui in avanti e come, appunto, aldilà di come singolarmente ogni ente gestore risponderà al nuovo bando, poter continuare questa promozione e sensibilizzazione del territorio, a fronte del nuovo decreto. Con la RAD infatti sono stati organizzati anche degli eventi, in occasione della “Giornata del Rifugiato” come azione di sensibilizzazione a Treviso.” (intervista 2)
Le relazioni tra CAS emerse durante la ricerca, che non siano legate alla RTI, non sono poi molte, l’operatrice intervistata di LaEsse racconta che sebbene ci siano stati momenti per interfacciarsi con le altre realtà che accolgono, gli scambi sono stati minimi:
“la relazione è stata interfacciarsi durante le riunioni in Prefettura ritrovarsi ad alcuni tavoli, convocati dal comune di Treviso. C’è stato un momento in cui il comune di Treviso con la precedente amministrazione, […] è stato fatto un tentativo di lavorare con i vari enti gestori che gestivano l’accoglienza dentro al comune di Treviso perché provassero a strutturare un progetto unico.” (intervista 4)
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La collaborazione di LaEsse è stata minima perché non era in linea con gli altri soggetti fuori dalla RTI, con Gasparetto di Civico 1 (altra realtà che accoglie a Treviso e provincia) si erano relazionati perché l’imprenditore aveva proposto a loro di seguire l’accoglienza nei suoi immobili:
“ma non c’erano le condizioni perché noi potessimo farlo e ci siamo tirati indietro. Poi altri contatti sporadici direi uno/due perché si era trovato a gestire sanzioni della Prefettura oppure c’erano delle circolari che non capiva, e voleva capire come ci saremo posti. Però rapporti blandi, sfilacciati. Non potrei dire né collaborativi, né competitivi, né conflittuali. Proprio freddi, però in particolare da parte nostra. Con Gian Lorenzo Marinese invece, di Nova Facility, ci teneva tantissimo che Nova Facility e LaEsse facessero questo progetto che era di riqualificazione di un’area verde a Sant’Antonino di Treviso, un’area verde scelta a caso, assolutamente a caso, con un obiettivo che non teneva conto dei bisogni di quel territorio là, ma calati dall’alto […] un centro giochi per adulti, ma non si capiva. […] siamo stati noi a non voler collaborare. In primis perché non condividevamo l’approccio all’accoglienza di Nova Facility. Nel senso che, niente da dire su Nova Facility, promuover il suo tipo di accoglienza, io non sono mai entrata alle Caserme Serena, quindi non so come la facciano, posso avere delle percezioni di riflesso che mi arrivano dalle persone che erano accolte là o dagli operatori ma di fatto non sono mai entrata. Quindi potrebbe farlo nel migliore dei modi. Ciò non toglie una distanza abissale da noi. Quindi questa collaborazione che era tanto auspicata da loro non c’è stata ma proprio perché partivamo dal presupposto che sia come gestione dell’accoglienza, quindi quali sono i criteri che usi e le azioni su cui investi di più, sia nella gestione e nell’organizzazione delle risorse umane che lavorano dentro queste strutture eravamo molto diverse, quindi non se ne è fatto niente. […] Con altri enti gestori anche piccoli, invece, con alcuni nessun tipo di rapporti, invece con cooperative nate proprio per l’accoglienza c’è stato chiesto un supporto su alcune fasi. […]”
(intervista 4)
La stessa posizione di distacco lo conferma l’operatrice Caritas che dice di essere entrata in relazione con Caserma Serena e coop. Hilal (altro ente gestore) solo in merito a richiedenti asilo provenienti dalle loro strutture e spostati presso un CAS di Caritas. Ad oggi le criticità che sono state sollevate durante i colloqui riguardano il fatto che non sono stati dati degli indirizzi unitari nella gestione dei CAS e che quindi molto dipende dalle decisioni del singolo ente gestore. La Prefettura dà delle linee guida, ma di fatto le accoglienze al loro interno, anche se ubicate nella stessa città, possono essere
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strutturalmente differenti. Ad esempio, Caritas Tarvisina si è auto-strutturata in prima e seconda accoglienza. Alcune case erano quindi, destinate alle persone appena arrivate in Italia, e le attività al loro interno prevedevano l’affiancamento nelle prime procedure necessarie alla richiesta d’asilo e lo screening sanitario, e l’avviamento ai corsi di alfabetizzazione. La seconda accoglienza, rappresentata anche da strutture più piccole, con numeri di accolti più contenuti, spingeva molto di più su tutte le attività di potenziamento all’inclusione, come corsi di formazione, tirocini lavorativi. Questa suddivisione è venuta meno, in quanto ormai è da diversi mesi che non ha più nuovi accolti. Dall’altro canto invece, sembrerebbe, che proprio il fatto di non avere linee precise sul “cosa promuovere” abbia permesso ad alcune realtà di vedere l’accoglienza come la possibilità di farne un business (intervista 4).
L’apertura di piccole realtà di accoglienza ha creato contrasti principalmente con la comunità locale, ad esempio la referente per l’area accoglienza di Caritas Tarvisina racconta come ad Olmi di San Biagio di Callalta ci sia stata la grande presenza di stampa e media regionali prima dell’apertura del centro lì ubicato, che riguardava un’intera palazzina con 4 appartamenti, per un totale di venticinque persone accolte. In quel caso per quietare il malcontento, che riguardava perlopiù i vicini, è stata importante la mediazione del parroco locale, con cui si è organizzato un incontro per la cittadinanza, per chiarire alcuni punti riguardanti l’accoglienza, momento che è stato l’inizio di un rapporto, quello con il vicinato, costante per gli operatori referenti. (intervista 2)
Per quanto riguarda la presenza di episodi di esplicita intolleranza o manifestazioni di solidarietà a seguito dell’apertura delle case, la referente dell’accoglienza in Caritas Tarvisina testimonia la presenza di atteggiamenti di indifferenza da parte della comunità locale, la questione non è più sentita a livello di opinione pubblica al pari dei primi anni (2014-2015).