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2. IL VENETO E LA SUBCULTURA BIANCA

2.3 Il Veneto che cambia

La Liga Veneta nasce dalla Società filologica veneta degli anni Settanta, che si occupava del recupero di fondamenti culturali della società locale, che per i fondatori erano poco valorizzati, se non ignorati, dal sistema scolastico italiano. Nel 1980 divenne anche un nuovo attore politico prendendo la denominazione di Liga Veneta, appunto. Nel 1983, come precedentemente anticipato, ottiene dei buoni risultati come partito nascente, ottenendo “il 4,2% a livello regionale, con punte del 6-7% nelle province di Vicenza e Treviso” (Almagisti, 2016, p.171).

Successivamente la Liga Veneta si fonde con il movimento di Umberto Bossi “Lega Nord” conseguendo buoni risultati elettorali nelle regionali nel 1990, ottenendo il 5,9%, e aumentando il proprio seguito soprattutto nelle politiche del 92, con il 17,8%.

Negli anni Novanta, quindi, il quadro politico in Veneto cambia. La Democrazia Cristiana già fortemente in crisi viene travolta da Tangentopoli e si frantuma in diverse formazioni.

Mentre la Lega Nord aumenta il suo seguito facendosi baluardo dell’importanza della società locale. Questo valorizzare il locale permette al partito di argomentare la rokkaniana cleavages Centro-Periferia, spingendo sulla linea di frattura Nord-Sud Italia studiata da Putnam, alternando argomentazioni antistataliste, a quelle contro il Meridione, per poi concentrarsi sul tema dell’immigrazione.

Nel 94, l’entrata nella scena politica italiana di Berlusconi, e del neonato partito di Forza Italia, e le sue alleanza che vedono tra gli attori la Lega Nord, sanciscono la vittoria del Centro-Destra in Veneto. La sua rappresentanza alla camera è formata da 50 deputati al 80% facenti parte del Polo delle Libertà.

Nella Seconda metà degli anni Novanta il Veneto dal punto di vista di politica regionale vota a destra (1995), e per la prima volta si trova ad essere non omogeneo rispetto alle forze al governo nazionale, dove governa l’Ulivo, dal 96 al 2001.

In queste ultime elezioni nazionali, la Lega, essenziale nella vittoria di Berlusconi del 94, decide di concorrere in autonomia non allacciando nessuna alleanza.

Tuttavia, i risultati in queste elezioni rappresentano per la Lega una forte contraddizione. Da una parte conquista un buon risultato (15 seggi su 37, con il 32,8%). Dall’altra proprio questo non permette a Bossi di ottenere un ruolo centrale nella formazione del governo nazionale. Questo comporta una radicalizzazione del discorso

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politico di Bossi, che rimanda spesso alla linea di frattura Centro-Periferia promuovendo la secessione.

Il crollo della Democrazia Cristiana non ha solo importanza per il riemergere della questione Centro-Periferia, ma porta a galla anche quella relativa alla città-campagna. Poiché secondo i risultati la Lega e l’Ulivo ebbero geografie legate al voto molto differenti. La Lega venne votata principalmente nelle zone di campagna urbanizzata mentre l’Ulivo ottenne risultati decisivi nei centri urbani.

Le zone in cui la Lega conquistò più voti rappresentano, inoltre, le aree in cui vi era maggiore consenso verso la DC, che da subcultura “bianca” divenne quindi “verde”, principalmente l’area pedemontana. Gli argomenti che vengono assorbiti e riproposti sono quelli legati all’anticomunismo, all’assenza dello Stato centrale, unito spesse volte ai temi inerenti alla rivolta fiscale.

Nel discorso politico, il linguaggio utilizzato è essenziale nell’affermazione leghista, la spinta anti-establishment, gli slogan semplici (es. “Roma ladrona, la Lega non perdona”), il ricorso al dialetto, sono elementi chiave per il forte richiamo identitario. Questo permette alla Lega di differenziarsi già negli anni Ottanta dalla DC, che si stava “meridionalizzando” sia per quanto riguarda i consensi che per i suoi rappresentanti politici, sia da Forza Italia, alleato prima, rivale poi, negli anni Novanta. Altro elemento, la delegittimazione del “pubblico”, inoltre, precede la nascita della Lega e ne favorisce il radicamento. Ed infine la sfiducia verso i partiti tradizionali rendono più forte il discorso anti-establishment.

I candidati della Lega in Veneto nel 1994 sono quelli che maggiormente danno peso alla rappresentanza territoriale, sono relativamente giovani, e il 35,5% di loro nei collegi veneti di Camera e Senato dichiarano di “non aver mai fatto politica”. Dato che cambia già nel 1996, in cui la percentuale è di 1,9%. Questo elemento insieme ad una certa staticità nell’organizzazione e nella prassi di reclutamento del personale politico, conferisce alla Lega dei connotati di un partito che sta diventando “di massa”. Principi da cui si discosta fortemente rispetto alla DC, e propone un modello di partito a istituzionalizzazione forte, assolutamente nuovo rispetto alla tradizione passata.

Tuttavia, nessun soggetto politico riesce veramente a sostituire per seguito e fiducia la DC. Divengono maggiormente importanti i soggetti economici, che vengono percepiti come più autorevoli, e nei confronti del sistema politico vi è un forte disincanto.

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A prova di queste vi è una crescita dell’astensionismo nell’arco di tutti gli anni Novanta. Nel settembre 1995 cominciano ad incontrarsi sindaci di varie città del nord-est, a seguito di una lettera pubblicata sul Gazzettino da Giorgio Lago, il direttore del giornale. Questa testata giornalistica in quegli anni diviene essenziale per i riformisti del “Nord-est”, termine che comincia ad essere politicizzato proprio da questo giornale. Lago attraverso “Una lettera aperta ad un sindaco del Nord-Est” del settembre 1995 pone delle suggestioni ai sindaci:

“Caro Sindaco, non so quale sia il suo partito, né mi interessa saperlo. Bado al ruolo, non all’appartenenza politica. In questi anni, nel dare voce al Friuli-Venezia Giulia e al Veneto, mi sono fatto un’idea del Nord Est, Trentino compreso. […] Questa. Roma ignora la nostra fame di riforme: non solo nostra beninteso, ma preliminariamente nostra. […] La ragione è molto semplice. Il modello economico del Nordest, a galassia senza nucleo, nutre una particolare avversione per la burocrazia, il vincolo, la manomorta. […] Qui ci vuole un soggetto terzo: i sindaci. Con tutti limiti del ceto dirigente alla ricerca del tempo perduto, voi rappresentate il meglio che abbiamo […] Solo con i sindaci si può fare la “rivoluzione”. Abbiamo bisogno di amministrare per togliere ostacoli al cittadino, non per strozzarlo. Sarei già soddisfatto se il “Gazzettino” riuscisse a farla riflettere, signor sindaco, su questa sua responsabilità di motore riformista.” (Lago, 1995)

Da questa scaturisce l’apertura al dialogo tra molti sindaci del Nord-Est, ad essere promotori dell’iniziativa due sindaci leghisti, quello di Oderzo, Giuseppe Covre, e di Pordenone, Alfredo Pasini.

“Il movimento dei Sindaci” richiama maggiormente l’attenzione con l’arrivo del sindaco di Venezia del periodo, Massimo Cacciari, che se ne mette a capo.

Sebbene la grande spinta iniziale, già nel 1996 c’è un forte rallentamento dei lavori del gruppo, dovuta dalla competizione elettorale. I temi proposti non hanno seguito nel dibattito elettorale nazionale. Si ritirano, inoltre, i sindaci delle Lega che avevano spinto per la secessione. Nel 1998 questo movimento si scioglie per molteplici problematiche. Cacciari dunque fonda “il Movimento del Nord-Est”, che lo vede collaborare con Mario Carraro, attore attivo nell’ambito dell’industria veneta. L’obiettivo di tale movimento è quello di essere mediatore tra politica e piccole-medie imprese, e di cercare un cambiamento del sistema politico di carattere federale.

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Tuttavia, il progetto in breve termine scema. Le principali cause si possono rintracciare nella difficoltà di far valere una proposta federalista al governo nazionale, e lo scoglio di far sentire gli imprenditori rappresentati da un movimento che rimanda al governo nazionale di centrosinistra. Ed infine, una difficoltà tra Cacciari e Carraro di ben definire la struttura da dare a questo movimento, dove il primo avrebbe puntato ad un partito ad istituzionalizzazione debole, mentre il secondo ad istituzionalizzazione forte. Il non riuscire a trovare un compromesso ne ha sancito la fine.

La Lega nel maggio 1997, viene coinvolta in un fatto che vede protagonisti otto uomini che a qualche giorno dal bicentenario della caduta della Repubblica di Venezia, occupa il campanile di San Marco, “armati” in modo artigianale e utilizzando un “carro armato” che si scopre essere un trattore modificato. L’obiettivo era rivendicare una certa continuità con la Serenissima facendo riferimento al disegno della Lega legato a “Costruire la Padania”.

Se inizialmente la Lega prende le distanze da tale fatto, successivamente vedendo che l’opinione pubblica veneta simpatizzava con questi soggetti, comincia ad avere toni meno “sconcertati”: successivamente, la scelta di dichiarare la bandiera di San Marco fuori legge da parte dell’autorità prefettizia regala a Bossi un simbolo che invece faceva parte della storia nazionale. Questa viene contrapposta alla bandiera tricolore, sebbene il leone di san marco sia in realtà anche utilizzato dalla marina militare italiana.

La difficoltà di non comprendere i simboli che in realtà fanno parte della tradizione nazionale e non solo locale, e non riuscire a dare loro il giusto spazio va ad alimentare la spaccatura Centro-Periferia. Ancora una volta ciò viene usato dalla Lega a suo favore. Nel 1998, comunque, vi sono dei cambiamenti interni al partito, che portano all’uscita di diversi dirigenti e militanti. Tutto ciò viene seguito da a scarsi risultati alle europee del giugno 1999, e alla diminuzione del proprio seguito anche alle regionali di aprile del 2000.

In questo periodo cambia in parte la linea di frattura sulla quale concentrarsi. Se negli anni Novanta in vista dell’adozione dell’euro Bossi è europeista per contrapporsi al governo centrale italiano, dichiarando che il passaggio all’euro è possibile solo in “Padania”. Quando nel maggio 1998 vi è l’effettivo ingresso nell’euro non è più possibile pensare ad un processo secessionista guardando all’appoggio dell’Europa. Ed infatti, da “Filoeuropea, fino a che l’Europa le appariva un modo di indebolire le basi

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degli Stati nazionali e della nazione italiana, [essa] diventa anti-europea.” (Diamanti 2003, 71).

L’antieuropeismo si interseca con un’altra linea di frattura. Quella legata all’immigrazione.

Anche se tenta di avvicinarsi a leader di movimenti populisti oltre confine, la Lega comprende che tale scelta politica non è decisiva per aumentare nuovamente il consenso, quindi si allea ancora con Berlusconi.

Le elezioni di maggio 2001 fanno emergere un Veneto ridisegnato nei suoi colori: “inabissato il “bianco” del voto cattolico, diluito in molti rivoli, impallidito ulteriormente il “rosso” delle sinistre, il “verde” della Lega scolorito lasciando lo spazio all’azzurro di Forza Italia che macchia uniformemente il territorio locale e nazionale” (Almagisti M. 2016, 219-220).

Infatti, la vittoria del centro-destra non è schiacciante come quella del 96, e la Lega, di fatto, primo partito in Veneto, perde due terzi degli elettori che passano dal 29,3 al 10,3. Il Veneto, quindi, risulta perdere la propria peculiarità politica, votando principalmente Forza Italia come nel resto del paese, tuttavia, il partito di Berlusconi dovrà fare i conti con le “insidie” di questo territorio.

Forza Italia risulta un partito vincente non sul piano locale, in cui riscontra una certa differenziazione con l’organizzazione centrale di Forza Italia, per questa ragione ottiene pessimi risultati nelle elezioni amministrative del 2002 e 2004.

Per quanto riguarda le elezioni politiche del 2006, invece, che vede vincere a livello nazionale la coalizione di centrosinistra capeggiata da Romano Prodi. Il Veneto rimane fedele al centro-destra.

Nel giugno 2006 la Lega spinge affinché venga fatto un referendum sulla devolution a favore degli enti locali, il “no” è maggioritario a livello nazionale con il 61,7%, mentre in Veneto il “si” ottiene il 55,3%, anche se viene votato principalmente nelle periferie e province mentre non ottiene buoni risultati in diversi capoluoghi, tra cui Treviso.

Con le nuove elezioni del 2008 il Veneto si conferma ancora votante a destra, facendo vince la coalizione del Popolo delle Libertà (Berlusconi) con la Lega Nord. La vittoria arrivò nonostante fosse minacciata dal fatto che Casini con l’UDC aveva deciso di concorrere da solo, e rappresentava comunque una possibilità sempre valida per ciò che rimaneva del Veneto “bianco”. Essenziale anche in questo caso è stata la presenza della

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Lega Nord che aveva ottenuto 16 seggi in tutto il Veneto, con il 28,2%55 nelle province di Padova, Verona, Vicenza, Rovigo (Veneto1), e il 25,4%56 nelle province di Treviso, Venezia e Belluno (Veneto2).

L’affluenza, tuttavia, continua a calare, si va dal 87,7% del 2006 all’84,7% del 2008 (dato relativo all’intera regione)57

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Nello stesso anno Luca Zaia diviene presidente della Regione Veneto per la Lega Nord. Dal 2010 in poi, sia Forza Italia che la Lega Nord, nella figura delle sue personalità principali, rispettivamente Berlusconi e Bossi, vengono coinvolte in scandali che vanno a minare la fiducia della cittadinanza nei loro confronti.

La storia dei due partiti però prende strade diverse.

Il partito di Berlusconi vede nel suo carisma la forza principale, quindi una volta intaccata la sua credibilità perde di molto, e vede una serie di scissioni al suo interno. Nelle elezioni del 2013 viene recuperato il nome “Forza Italia” e Berlusconi concorre ancora con scarsi risultati.

La Lega, invece, che vedeva si, la presenza di una forte leadership, risulta un partito anche fortemente istituzionalizzato, quindi, trova un nuovo leader in Matteo Salvini che nello stesso anno ne diviene segretario a dicembre.

A differenza di Bossi il suo discorso politico non spinge più sulla linea di frattura Centro-Periferia, ma predilige le tematiche antieuropeiste e antimmigrazione.

Questo approccio permette di aprirsi maggiormente all’intera penisola.

Lo stesso anno vede inserirsi in modo significativo nel mondo politico italiano il Movimento 5 Stelle, guidato da Beppe Grillo. I consensi verso questo movimento risultano piuttosto omogenei in tutto il territorio. Il discorso politico preme molto sulla frattura establishment/anti-establishment, la forte critica verso la “casta” ovvero la classe politica preesistente. A livello locale, invece, viene privilegiata un’attenzione ai temi legati all’ambiente e ai “beni comuni”.

L’11 novembre 2011 al governo di Berlusconi subentra un governo tecnico guidato da Mario Monti, un economista che si inserisce in un contesto di crisi economica e politica che continua dal 2008.

55 https://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/veneto1.html 56 https://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/veneto2.html 57 https://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/veneto1.html

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Nel 24-25 febbraio 2013 vengono svolte le nuove elezioni. In cui il Movimento 5 Stelle che concorre da solo risulta il primo partito in Italia ottenendo il 25,558%. Risulta maggioritaria la coalizione di centro sinistra guidata da Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico (PD), (29,5%), a fronte del 29,1% della coalizione capeggiata da Silvio Berlusconi.

Dal punto di vista regionale il Veneto è interessato da un ulteriore calo di presenze alle urne, ma comunque prevale la coalizione guidata da Berlusconi con il 33,1%, nel Veneto “1”, rispetto al 22,5% per la coalizione di Bersani,59

e con il 29,6% nella zona del Veneto 2, rispetto al 25,0%60 per Bersani.

Il Veneto, ad ogni modo, si presenta alle urne dopo un lungo periodo di recessione, che ha visto chiudere diverse imprese, e che purtroppo ha portato con sé anche il suicidio di molti imprenditori. La Lega ha un risultato medio del 10,5% (Almagisti M. 2016, p.245), andando a perdere il 16,6% (id.) punti percentuali rispetto al 2008. E anche il Popolo delle Libertà (Berlusconi) perde l’8,7% punti percentuali. Emergono voti a movimenti di estrema destra come Forza Nuova e CasaPound, e movimenti indipendentisti quali “Indipendenza Veneta”.

Successivamente, Bersani perde la Leadership del partito a causa di una mancata alleanza con il Movimento 5 Stelle, e viene sostituito da Enrico Letta.

Il suo è un governo di “larghe intese” che lascia fuori dai giochi solo M5S, Lega e SEL. Le primarie del PD dell’8 dicembre 2013 vedono la vittoria, come nuovo segretario, di Mattero Renzi, sindaco di Firenze e militante della Toscana “bianca”. Si fa promotore di quella che definisce “rottamazione” della classe politica, riferendosi anche al suo stesso partito. Sostituisce Enrico Letta nella Presidenza del Consiglio.

Durante le europee del 24 maggio 2014 Renzi dà prova di avere effettivamente, seguito, anche se vi è molto astensione. Il premier nuovo eletto infatti riesce ad avvicinare a questo schieramento, il PD, elettori che erano sempre stati poco propensi a votarlo. Vince a livello nazionale, e anche in Veneto, il PD risulta il favorito con il 37,5% distanziandosi molto dagli altri partiti. C’è da dire che l’astensione è molta, si passa dal 73,2% dell’affluenza alle europee del 2009 al 63,9%.61

58 http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/camera/riepilogo_nazionale.html 59 http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/camera/veneto1.html 60 http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/camera/veneto2.html 61 http://www.repubblica.it/static/speciale/2014/elezioni/europee/regioni/veneto.html?refresh_cens

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Renzi riesce ad avere seguito tra coloro che erano stati delusi dagli altri partiti. Tuttavia, a livello locale non riesce ad attecchire, infatti i risultati delle elezioni regionale del 2015 non sono positivi come quelli delle europee, e in Veneto si riconferma presidente Luca Zaia, con il 50,08%62.

Questo a prova che la Lega con la struttura datasi, riesce ad assorbire diverse cleavages. Dal punto di vista nazionale Matteo Salvini gioca una partita che gli dia credito come leader nazionale, non unicamente legato a dei localismi, privilegiando discorsi sulla linea di frattura anti-europeista e antimmigrazione. Non a caso il nome del partito perde il “Nord” rimanendo semplicemente Lega.

Mentre a livello locale Zaia continua ad avere un profilo autonomo facendosi portavoce della spinta localista (Almagisti M. 2016).

Alle elezioni del 2018 esce vincente il Centro Destra con il 37%, la Lega risulta il primo partito di destra con il 17,4%. Il M5S ottiene il 32,7% concorrendo da solo. E in coda arriva il Centro sinistra con il 22,8%, 18,7% rappresentato dal PD63.

In tutto il Veneto si predilige la destra, nella zona del “Veneto 1” il risultato è del 46,7%, 31,9% dei quali destinati alla Lega. Segue il M5S con il 25,0%.

Nella zona “Veneto 2” il Centro destra ottiene il 49,0%, 32,3% alla Lega, e anche in questo caso segue il M5S con il 23,5%64.

Da queste elezioni emerge un continuo abbassamento della partecipazione politica che come affluenza passa a livello nazionale dal 75,2% (2013) al 72,9%. In Veneto si passa dall’81,7% del 2013 al 78,7%.65

Questi risultati vedono nascere a livello nazionale un governo composto da M5S e Lega.