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Ma accanto al primato dell’arte trova spazio, nella poetica tomasiana, un altro importantissimo assioma: il bisogno di attualizzare il contenuto storico della narrazione. Ciò ci introduce ad un nuovo ordine di problemi narratologici.

Lampedusa ricusa il principio che si possa trattare di un’epoca trascorsa senza fare dei costanti riferimenti al presente. Il passato rischia di trasformarsi altrimenti «in un oggetto da museo: distaccato dalla nostra vita e senza influenza su di essa. Proprio il contrario di ciò che è in realtà»32. Ed è un pericolo che bisogna evitare. Contenuto e forma del romanzo devono assoggettarsi a questa esigenza di «rappresentatività storica»33.

Il processo di attualizzazione a cui bisogna sottoporre il passato, come a un fascio di luce che lo illumini sin nei suoi angoli più riposti, non assolve, naturalmente, la semplice funzione di ridurre il distanziamento prospettico dall’epoca in cui viene collocato il plot romanzesco.

31 Ivi, p. 26.

32 Letteratura francese, cit., p. 1871.

33 G. M. Tosi, I buoni e i cattivi esempi: Il Gattopardo tra la Chertreuse de Parme e I Viceré, in «Rivista di Studi italiani», XVIII, 2000, 2, pp.169-189, a p. 170.

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Lampedusa non ha mai rinunciato all’insegnamento che ha tratto dai classici e che unisce in una linea virtuale autori del canone molto distanti tra loro nel tempo e nello spazio. In questo senso, l’Ariosto del Furioso non ha di certo nulla da invidiare allo Stendhal della Chartreuse.

Egli sa che la letteratura possiede, quando è grande letteratura –e dunque profondità, problematicità, fascinazione–, la misteriosa capacità di operare una sorta di dislocazione spazio-temporale, grazie alla quale diventano simultaneamente comprensibili (anche se inutilizzabili, come avrò modo di chiarire nelle pagine seguenti) l’esperienza del passato e quella del presente.

Il racconto di un periodo ormai trascorso, a qualunque distanza sia situato dal tempo della scrittura, deve assicurare dentro i propri confini la presenza del mondo contemporaneo. La scelta di Lampedusa è drastica, e squisitamente moderna.

La temporalità dentro la quale trovano sangue e respiro i protagonisti del

Gattopardo non assomiglia più a quella presente nel grande romanzo ottocentesco.

Come in tutti i grandi autori del Novecento, il dominio su un tempo fortemente parcellizzato e soggettivizzato è assoluto, e il ricorso alle anacronìe diventa costante, oltre che necessario. Ma la mappatura delle distorsioni temporali presenti nel romanzo mostra come l’autore abbia saputo riproporre in termini di assoluta modernità la lezione di Stendhal34.

Lo scrittore serra le fila delle storie del Gattopardo e istaura, nel suo romanzo, un legame di reciprocità tra grand recìt e la finzione e stabilisce dei precisi punti di contatto tra l’Italia di fine ottocento e quella a lui contemporanea. La contaminazione tra i due diversi tempi, quello del narrato, che si dipana dal maggio del 1860 al maggio del 1910 e quello della narrazione, situato per l’appunto sul crinale degli inquieti anni Cinquanta, non potrebbe essere più assoluta, né meno ambigua.

34 Lampedusa ha scritto: «Il prodigio operato da Stendhal consiste nell’aver trasfuso il lettore del 1838 (e del 1955) nell’animo di un simpatico signorotto […] dei primi dell’Ottocento, e di avergli fatto capire la Paura della Contro-Rivoluzione così come questi poteva capirla», Id., Letteratura francese, p. 1908.

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‘Ridotta’ per suo volere ad un semplice sfondo, per quanto riccamente intarsiato, la Storia viene re-inventata dall’autore come portentoso espediente strutturale. Difatti, egli si serve del periodo risorgimentale come d’un exemplum per affrontare i problemi che investono l’Italia a lui contemporanea. Il romanzo si apre all’attualità e alle implicazioni trasferibili dall’attualità.

Tuttavia, come ci suggerisce lo stesso Lampedusa nelle Lezioni, in un’opera letteraria, lo scandaglio critico deve soprattutto riguardare lo stile, i congegni formali in cui esso si estrinseca. Basta analizzare le modalità attraverso cui si delinea nel nostro scrittore il senso del tempo storico e la ricaduta che questi ha nell’intreccio per rendersi conto di alcuni punti fermi della complessa architettura compositiva gattopardiana.

L’analisi linguistico-strutturale del romanzo mette subito in evidenza un fenomeno preciso. In Lampedusa, ciò che colpisce non è tanto il ricorso alla regressione analettica, abbastanza contenuta nella quantità e spesso irrilevante in termini di ampiezza35, ovvero di durata del racconto secondo.

Stupisce, piuttosto, il ricorso e l’uso che egli fa della prolessi.

Le ingerenze del presente, nel tessuto narrativo, sono tante ed operano spesso non tanto sul piano dell’intreccio, quanto su quello ideologico: d’altra parte, il

Gattopardo contiene un messaggio di fondo (il fallimento dell’epopea

risorgimentale) che il movimento narrativo veicola ed esalta. Il raccordo con gli anni ’60 del secolo a venire, il tempo di quei pronipoti verso cui don Fabrizio sente di non potere contrarre obblighi di alcun genere diviene sempre più esplicito col procedere della narrazione36.

35 La definizione è di Gérard Genette, il quale annota: «Un’anacronia, nel passato o nell’avvenire, può andare più o meno lontano dal «momento presente», cioè dal momento della storia in cui il racconto si è interrotto per farle posto: questa distanza temporale, la chiameremo portata dell’acronìa. A sua volta, essa può coprire una durata di storia più o meno lunga: si tratta di quanto chiameremo la sua ampiezza», Id., Figure III. Discorso del racconto, trad. di L. Zecchi, Torino, Einaudi, 1976, p. 96. Nello specifico, un primo esempio di analessi è presente nelle pagine iniziali del romanzo, in quella breve ma significativa sequenza in cui don Fabrizio ricorda una sua recente visita a re Ferdinando: Il Gattopardo, cit., pp. 33-36.

36 «Potremo magari preoccuparci per i nostri figli, forse per i nipotini; ma al di là di quanto possiamo sperare di accarezzare con queste mani non abbiamo obblighi; ed io non posso

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Spesso lo spostamento dal passato al presente del narratore o all’immediato ieri, assolve la funzione di segnalare il passaggio dal piano dei fatti a quello della riflessione. Vi è però anche un altro livello di interferenza. Si pensi a quel celebre passaggio gattopardiano:

Nel Soffitto gli dei reclini su scanni dorati, guardavano in giù sorridenti e inesorabili come il cielo d’estate. Si credevano eterni: una bomba fabbricata a Pitttsburg, Penn., doveva nel 1943 provar loro il contrario37.

Indubbiamente, colpisce la divaricazione estrema che lo scrittore ha operato tra il tempo della scrittura e quello narrativo, posto «esplicitamente nel secondo dopoguerra» 38.

La distanza che il racconto secondo sancisce dall’adesso narrativo (la portata nel linguaggio genettiano), è sorprendentemente ampia –non dimentichiamo che tanta presunta letteratura moderna ha dovuto arrendersi dinanzi ad azzardi meno rilevanti.

Senza far lacerare il tessuto narrativo, Lampedusa riesce a trattenere il suo lettore su una soglia d’accesso che è portale di un’altra dimensione: un tempo d’orrore, quello del secondo conflitto mondiale, che macchia di sangue la serenità imperturbabile di antichi dei affrescati nel soffitto d’una villa patrizia. È un istante breve, ma intensissimo. Subito il movimento narrativo riprende il sopravvento. Il portale si richiude: dal 1943, secondando la curva imperfetta degli anni, si ritorna indietro, al novembre del 1862.

Mi sembra che nell’analizzare questo passo, non ci si sia soffermati abbastanza su ciò che a mio parere è un elemento rilevante: la particolare natura di questa acronìa tomasiana.

preoccuparmi di ciò che saranno i miei eventuali discendenti nell’anno 1960», Il Gattopardo, cit., p. 58.

37 Ivi, p. 218.

38 F. Musarra, L’ironia come sistema, cit., p. 32. Osservazioni interessanti sul narratore onnisciente tomasiano e sul fatto che possa «adottare un’ottica del tutto esterna alla storia, un punto di riferimento a lui contemporaneo, nella fattispecie novecentesco» si trovano in S. C. Sgroi, Variabilità testuale e plurilinguismo del Gattopardo, in Tomasi e la cultura europea, cit., vol. II, p. 146-149.

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Ci troviamo dinanzi a ciò che Auerbach ha definito «una simbolica onnitemporalità degli avvenimenti»39, un fenomeno tipico della grande letteratura del ’900, attraverso cui il narratore isola nella vita del personaggio un istante e lo rende prisma esemplare del suo presente, del suo passato, del suo futuro. E che di tale onnitemporalità, nella declinazione intensa che ha saputo offrine la Woolf, Lampedusa se ne sia appropriato e se ne sia servito non solo per recuperare, in stretta corrispondenza della sua filosofia, taluni aspetti astorici ed eterni dell’esperienza umana, quanto soprattutto per parlare di sé e per sé.

In questo caso, l’anticipazione dell’evento futuro, non è per nulla funzionale alla diegesi e potrebbe anche sembrare inopportuna. Non assolve una funzione completiva o ripetitiva. Attiene piuttosto, ad una categoria che potremo definire di tipo “affettivo”.

La prolessi, infatti, è memoria autobiografica, personale, sofferta e il tempo umano, così fragile ed inconsistente, è una scheggia di vetro rimasta conficcata nella carne del narratore. Sovrapponendo tempi e luoghi tra loro assai distanti e diversi, Lampedusa sta parlando del bombardamento che ha subito il palazzo dei suoi avi. Non a caso le parole usate nel romanzo sono molto simili a quelle che troviamo nei

Ricordi, quando con struggente intensità egli rammenta l’antica bellezza della casa

materna

come essa continuò dopotutto ad essere sino al 5 Aprile 1943 giorno in cui le bombe trascinate da oltre Atlantico la cercarono e la distrussero40.

Lo slittamento dal piano della narrazione al recupero memoriale di un tragico evento personale, sposta la diegesi romanzesca verso la scrittura del sé e salda il registro saggistico a quello autobiografico. L’anacronia, oltre a dovere essere registrata come un significativo fatto strutturale, diviene anche spia d’uno stato

39 E. Auerbach, Il calzerotto marrone, cit., p. 329.

40 I Ricordi, cit., p. 438. Ma questo preciso frammento memoriale riaffiora anche nel racconto lampedusiano de La sirena, in Opere, cit., pp. 492-524, a p. 520.

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d’animo. Preannunzia al lettore che ci si sta avvicinando allo spazio sacro d’una confessione; al disvelamento d’un antico dolore privato.

Lampedusa ha assistito impassibile alla fine di un’epoca e al tracollo della sua classe e della sua famiglia, un’ accozzaglia di stolti, sciocchi o avidi profittatori, come li definisce in una lettera. Reca su di sé le ferite incancellabili di quella grande follia che è la guerra. È un uomo abituato a vivere tra le macerie e ad essere sempre presente a se stesso, taciturno e controllato, non troppo dissimile in questo da quei tragici personaggi pirandelliani che celano il ghigno distorto del pianto sotto una maschera.

Ma la perdita della propria amatissima casa, distrutta dai furiosi bombardamenti che cancellarono per sempre la Palermo sino ad allora conosciuta, lo scuote sin dal profondo e lo trascina verso l’attimo miracoloso dell’incontro con la parola scritta. Il verbum che sa mantenere un suo segreto riserbo nello scorrere silenzioso delle pagine.

Subito dopo la redazione degli scritti esegetici la vita di Lampedusa è investita da una strana frenesia. I Ricordi, Il Gattopardo, I racconti, l’abbozzo de I

gattini ciechi, si affastellano l’uno sull’altro, come ciocchi di legna da ardere in

previsione di un rigido inverno. Lo scrivere sembra una coazione a ripetere necessaria e bulimica. Dal confronto col nulla, l’uomo timido e compassato, si trova ad attingere alla scrittura come un assetato ad una fonte d’acqua viva.

La parola ri-nomina un mondo che non c’è più. Cerca il conforto di luoghi, volti e presenze antiche, oramai scomparse. Prova a richiamare in vita tutte quelle «povere cose care» che altrimenti rischierebbero di andare perdute per sempre, avvolte dalla nebbia dell’oblio.