• Non ci sono risultati.

II. IL GIARDINO DEL PRINCIPE NUOVE IPOTESI INTERPRETATIVE SULLA PARTE

2.1 DENTRO IL GIARDINO

La grandezza di Lampedusa consiste anche nella sua capacità di guidare il lettore verso una nuova presa di coscienza.

Un testo che sembrava avere più di un debito verso la grande tradizione del romanzo storico ottocentesco, è invece un’opera che come poche sa parlare all’uomo moderno e al suo animo irrequieto. Nel corso della narrazione, l’autore è riuscito a spostare l’attenzione del lettore dalla condizione storico-sociale dell’eroe, profondamente influenzata dalle congiunture e dalle contingenze dell’epoca in cui ha ambientato il romanzo, alle inquietudini che sono inscritte nella nostra stessa natura di creature estremamente fragili e che segnano in vario modo la storia umana in ogni tempo e in ogni età.

II. IL GIARDINO DEL PRINCIPE. NUOVE IPOTESI INTERPRETATIVE SULLA PARTE I

2.1 DENTROILGIARDINO

Nel Gattopardo, la morte segue l’eroe sin dai suoi primi movimenti.

È già presente nell’incipit stesso dell’opera, come lessema d’una preghiera cristiana. L’ateo Lampedusa, difatti, ha posto a capoverso del suo romanzo l’ultima sequela del Gloria: Nunc et in hora mortis nostrae. Amen.

Ci accorgeremo quanto prima che l’autore si è richiamato a questi versi per introdurre due dei temi notoriamente centrali nella sua riflessione: quello della caducità e precarietà riservata alla condizione umana, da una parte; e, dall’altra, quello del sentimento del tempo –da lui avvertito come un vorticoso scorrere d’istanti– con cui ciascun essere vivente deve imparare a venire a patti. Le parole della preghiera lo aiutano ad evocare la desolata landa dell’eternità che attende le anime, sia dei fedeli che dei miscredenti come lui, dopo l’avventura terrena, e a rendere ancora più fragile il nunc, l’adesso, in cui invece la vita di ciascuno si dispone e consuma45.

45 Cfr. C. Geddes de Filicaia, Alcune osservazioni sulla dimensione spazio-temporale nel Gattopardo cit.. Invece, per N. Zago la preghiera è «quasi un’epigrafe riassuntiva del disegno e della materia del

182

Questa stessa idea dominante, declinata nell’arco del libro in tante varie accezioni ma tra le quali spicca per l’intensità della sua rappresentazione la scena del “ballo a palazzo”, troverà infine il suo contrappunto in un sontuoso e perfetto movimento circolare, nella “danza della polvere” con cui si chiude il libro46.

Preannunciata, dunque, già ad inizio del romanzo, l’incontro fisico e brutale con la morte, si concretizza per Fabrizio Corbera di Salina appena poche pagine più avanti.

Ci troviamo nella seconda microsequenza della Parte I, che si incunea, a livello temporale, proprio in quella breve mezz’ora sospesa tra la fine del Rosario e l’inizio della cena, quando, dopo aver assolto all’obbligo della preghiera, il fulvo gigante si reca nel giardino della villa assieme al suo mastodontico alano, per una breve camminata47. Si tratta di un evento modesto e povero di contenuto. Ma con l’infallibile capacità di creare dei perfetti congegni narrativi che solo i grandi autori possiedono, lo scrittore lo tramuta in un vertiginoso balzo spaziotemporale.

Lampedusa ci avverte, innanzitutto, che la passeggiata nel giardino rappresenta per l’eroe una pausa talmente significativa nel suo rigido cerimoniale quotidiano da regalargli «uno dei momenti meno irritanti della giornata»48. Nello stesso modo, come avremo modo di vedere, lo spostamento dalla dimora (spazio chiuso ed interno) al giardino (spazio egualmente chiuso, ma esterno), si snoderà in un percorso inatteso e di grande rilievo per lo sviluppo dell’intera opera.

Gattopardo», in Id., I Gattopardi e le Iene, cit., a p. 24. D’altronde, è innegabile che la morte come nucleo ideativo si accampi al centro dell’opera e, dunque, non trovi spazio solo nelle varie stazioni di quel lungo “corteggiamento” che don Fabrizio le riserva. Non possiamo dimenticare, difatti, il giudizio espresso da un importante storico, per il quale il romanzo di Lampedusa «Voleva essere, ed era, più che un romanzo storico, una saga della morte in Sicilia, il crepuscolo degli dèi di Sicilia»: G. Giarrizzo, Sicilia oggi, cit., p. 612; ma anche pp. 611-614. In un intervento successivo, lo studioso lo definirà anche un «grande arazzo funebre della ‘morte di una civiltà’» G. Giarrizzo, Tomasi di Lampedusa siciliano ed europeo, in Tomasi e la cultura europea, cit., pp. 281-291, a p. 290 .

46 La sequenza è interamente riservata alla carcassa di Bendicò, relitto inutile di un’epoca ormai trascorsa, che viene lanciata fuori da una finestra. Durante il volo, a contatto con l’aria, poco prima del devastante impatto finale, «la sua forma si ricompose un istante […] Poi tutto» scrive l’autore, avrebbe alla fine trovato «pace in un mucchietto di polvere livida». Il Gattopardo, cit., p. 265. 47 Il Gattopardo, cit., pp. 30-33.

183

Da subito colpisce la concretezza fisica del particolare; la felice predisposizione lampedusiana a dare forma vivida e tangibile al mondo spaziale e ad evocare, attraverso le parole, una precisa tramatura topologica. Il luogo raggiunto dal principe di Salina non è un ambiente privo di coordinate ma al contrario, può essere visto e vissuto anche dal lettore. La descrizione del giardino assolve una «funzione pittorica»49, proprio perché è deputata a fare vedere quello che il principe sta guardando.

Fedele al metodo di Stendhal, l’autore è particolarmente attento a «permeare l’ambiente […] alla narrazione e di renderlo perpetuamente presente, non più isolato in blocchi descrittivi (o psicologici) che vengono trascinati via nel fluire del romanzo»50.

Tuttavia, è ben chiaro che tale rappresentazione tratteggi qualcosa di più di una semplice «realtà di paesaggio»51. Nella descrizione del giardino, estensione vitale ed irrinunciabile della dimora nobiliare, si realizza, piuttosto, ciò che Auerbach definiva una «consonanza» tra luoghi e psicologia dei personaggi52.

Il linguaggio spaziale vive lungo l’asse semico luce/buio, ed è estremamente attento a disvelare al lettore, oltre al luogo narrato, pure i moti segreti che agitano l’animo dell’eroe.

49 Cfr. R. Bourneuf-R. Oullet, L’universo del romanzo, cit., p. 111.

50 Letteratura francese, cit., p. 1867, la “lezione” è dedicata a Stendhal, pp.1857-1916. In realtà, Lampedusa si richiama spesso nel romanzo al metodo descrittivo stendhaliano, da lui definito «il metodo del teatro applicato all’arte narrativa», ivi, p. 1867. Esattamente come il suo mentore, il principe si preoccupa di rendere «vivissimi nella memoria» del lettore anche «quei passi puramente descrittivi» all’interno dell’opera; ed, è attento a creare un sontuoso «scenario » entro cui calare «l’azione dei personaggi» e ad «esaltare e potenziare i suggerimenti ambientali visivi degli scenari», ivi, pp. 1866-1867.

51 Su questi concetti, cfr. R. Bourneuf- R. Oullet, L’universo del romanzo, cit., pp. 111-113; ma i due autori avevano già sottolineato in precedenza che nel «romanzo moderno, abbondano gli esempi di questa identificazione natura-paesaggio, in cui il paesaggio non è soltanto uno stato d’animo, ma chiarisce la vita inconscia di chi lo contempla e l’immagina», ivi, p. 109.

52 E. Auerbach, All’hôtel de La Mole, in Mimesis, vol. II, cit. pp. 220-268, a pp. 238-240. In queste pagine, dedicate alla rilettura di un’opera di Balzac, altro nume tutelante di Lampedusa, si legge: «dall’esattissima descrizione del quartiere […] nasce l’impressione profonda d’una povertà, d’un vecchiume e di un abbandono disperati. » Ed ancora, dal «ritratto della padrona» una descrizione che «si muove lungo un motivo principale […] il motivo della consonanza della sua persona e del luogo la pensione, da un lato[…] e la vita che conduce dall’altro».

184

Appare evidente che la descrizione sia focalizzata sul personaggio assiale. Sua è la prospettiva topologica (l’uomo che si inoltra nel giardino), suoi i contenuti della visione che ci consentono di mettere a fuoco non tanto un locus amoenus, come ci si aspetterebbe, quanto piuttosto un luttuoso labirinto, un dedalo, entro il quale l’uomo-gattopardo, moderno antieroe, rischia di rimanere intrappolato. Da don Fabrizio apprendiamo che ci troviamo in un «giardino per ciechi» dove l’esuberanza della natura, per nulla addomesticata dalle mani dell’uomo, impone un suo rigoglioso, selvatico disordine di piante, fiori e siepi, che preclude la vista e confonde i passi53.

A queste immagini dominate dall’ombra e dall’esclusione visiva, fanno però da contraltare, in una sorvegliatissima costruzione per antitesi, «l’oro d’un albero di gaggia» con la sua «allegria intempestiva» e soprattutto «il sentore di alcova delle prime zagare» o la fragranza chiassosa di certe rose che il principe-astronomo aveva importato dalla Francia54.

Vi è un dato che non bisogna trascurare.

Non sempre nella strategia descrittiva voluta da Lampedusa, autore e narratore coincidono. Piuttosto, molto spesso, si fondono ed uniscono sia il campo percettivo-spaziale di don Fabrizio, al quale è lasciato la funzione di osservare ed enumerare gli elementi presenti nel giardino, sia la prospettiva assiologica dell’autore, a cui tocca invece il compito di creare immagini di alta referenzialità, adatte a trasformare il giardino anche uno spazio simbolico entro il quale avrà presto rappresentazione la perenne ed impari lotta tra slancio vitale e morte.

Una spia linguistica, posta ad inizio della descrizione ci ha già preceduto nell’esplorazione del giardino nobiliare: esso è un luogo «dall’aspetto cimiteriale»;

53Il Gattopardo, cit., pp. 30-31. Un accenno a parte, meritano naturalmente le «siepi di mortella [che] sembravano disposte per impedire più che per dirigere i passi». Come accade con la siepe leopardiana, autore ben presente nell’ideazione del Gattopardo, anche la barriera vegetale di Lampedusa preclude la vista. Tuttavia, al contrario dell’Idillio del recanatese, qui l’impedimento non funziona da stimolo all’immaginazione e non consente all’uomo di attingere ad una dimensione “altra”, magari offrendogli l’illusione di potere riuscire a valicare tutti i limiti entro i quali è abitualmente imprigionato.

185

uno spazio reclusorio e claustrofobico «racchiuso […] fra tre mura e un lato della villa» , «costretto e macerato fra le sue barriere»55.

Tuttavia, sebbene la vista ne venga mortificata, grazie al suo tripudio di profumi il giardino riesce a sollecitare oltremodo l’olfatto. Basta, che il principe porti al naso una rosa perché venga catapultato indietro, lungo la curva imperfetta ed illusoria del tempo e ritrovi intatto un piacevole ricordo del passato.

Con questa analessi, Lampedusa crea nel Gattopardo una prima, significativa infrazione temporale nel tessuto narrativo del romanzo e realizza una coesistenza di piani cronotopici diversi. Dentro il giardino di casa Salina, difatti, vengono “convocati” una delle tanti amanti del principe, e un luogo esotico qual è Parigi. Dunque, mentre lo spazio chiuso si contrae, il tempo biografico del principe si dilata per accogliere il momento prezioso della memoria.

Ma pure questa è una mera illusione. In realtà, ogni elemento all’interno di questo luogo è stato disposto in modo da restringe in modo drastico l’universo percettivo dell’eroe. Una riprova di ciò ci è fornita dal fatto che neppure la sensualità, la più carnale delle esperienze umane e qui evocata dal ricordo della donna parigina, permette a don Fabrizio di sfuggire al richiamo del memento mori.

Per qualche istante, il profumo delle rose ha rammentato al gattopardo quello di una «coscia di una ballerina dell’Opera» conosciuta durante uno dei suoi soggiorni nella capitale francese, meta tra le più ambite della nobiltà ottocentesca56. Però, quasi subito, e non a caso, tocca a Bendicò sciogliere la precarietà di quell’illusione: il sentore di donna, per il cane, non è altro che un lezzo nauseabondo da cui «si ritrasse nauseato»57.

Nello stesso tempo anche per l’uomo l’odore muta valenza e significato. Si precisa, anzi, l’antinomia profumi carnali/putridi presente in qualche rigo precedente. L’odore che esala dal giardino non è più una piacevole reminiscenza di

55 Ivi, p. 30.

56 Ivi, p. 31. Sul raccordo odore/ricordo e in genere sui meccanismi della percezione, cfr. J.P. Richard, Proust e il mondo sensibile, trad. di E. Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti, 1976. 57 Il Gattopardo, cit., p. 31.

186

cortigiane, ballerine e sesso, ma si impregna piuttosto di un ripugnante tanfo di morte.

Neppure la bipolarità visiva ed olfattiva, simbolo complesso della capacità umana di attingere ad una dimensione apotropaica, riesce, dunque, ad assicurare al principe una reale via di fuga. In un crudele effetto di dissolvenza, scompaiono sia l’amante che Parigi che si rivela, proprio come era già accaduto alla Londra di Giovanni, null’altro che una spazialità limitata, un altrove fugace e inconsistente.

Nello stesso tempo, con un imprevedibile ribaltamento di scene e motivi, «il giardino profumato fu causa di cupe associazioni d’idee». Nella mente del principe, difatti, germoglia il fiore malato di un nuovo, terribile ricordo. Ed egli si ritrova a rammentare «il ribrezzo che le zaffate dolciastre avevano diffuso in tutta la villa prima che ne venisse rimossa la causa: il cadavere di un giovane soldato…» 58.

Comincia così, ex abrupto, una seconda e più consistente analessi, legata alla scoperta di un ragazzo in divisa che era «venuto a morire, solo, sotto un albero di limone» nel giardino gentilizio e destinata ad acquistare una valenza fondamentale nell’economia gattopardiana. Difatti, come ci accingiamo a dimostrare, Lampedusa ha voluto riservare a questo breve ma intenso segmento narrativo un significato organizzatore nel mondo dell’opera da lui delineato.

2.2 Il “BUON POETA”. BAUDELAIRE-TOMASI

Nel passato, il brano è già stato oggetto di una attentissima ricognizione critica da parte di Ulla Musarra-Schroeder, in due saggi di natura comparatistica usciti a breve distanza l’uno dall’altro nel 199659.

58 Ivi, pp. 31-32. L’annotazione temporale «un mese fa», a p. 31, retrodata l’episodio alla fine della prima decade dell’aprile 1860.

59 U. Musarra-Schroeder, Memoria letteraria e modernità nel Gattopardo, in Tomasi e la cultura

europea, cit., a pp. 233-255. Taluni spunti e suggestioni presenti in questo primo lavoro, sono stati ripresi ed ampliati dalla studiosa in Memoria letteraria e modernità, in «Nuove Effemeridi», IV, 1996, 36, pp. 89-95.

187

Punto di partenza dell’interrogazione del testo lampedusiano è per la studiosa la consapevolezza che il Gattopardo sia anche stato frutto di una lunghissima gestazione vissuta all’ombra di una vita di intense letture. Le è parso, pertanto, doveroso occuparsi di talune «manifestazioni concrete» legate al complesso processo della memoria letteraria60.

Profondo conoscitore sia della grande tradizione dell’ Ottocento che della letteratura dell’avanguardia –o modernism– che non aveva ancora ricevuto la piena consacrazione dei suoi contemporanei, Lampedusa ha finito con l’utilizzare, nella costruzione del suo romanzo, una molteplicità di materiali. Difatti, il gioco dei rimandi intertestuali e l’utilizzazione di fonti, esplicite o camuffate, impreziosisce oltremodo il suo discorso narrativo. Il Gattopardo, è ricco di citazioni, allusioni e reminiscenze. Nella sua prosa estremamente sorvegliata e nella sua lingua raffinata, è possibile ritrovare i mille fili di un fitto dialogo intrecciato dal principe con numerosi autori di riferimento61.

Partendo da questo dato di fatto e indagando il textus nelle sue pieghe più profonde, la Musarra-Schroeder è giunta alla conclusione che esista anche un «denso ipertesto» Lampedusa-Baudelaire62. Una riprova assai evidente di ciò, viene riscontrata dalla studiosa proprio all’episodio del soldato, dietro la cui ideazione

60 U. Musarra-Schroeder, Memoria letteraria e modernità nel Gattopardo, cit., p. 235.

61 Un saggio introduttivo sul tema dell’intertestualità è: M. Polacco, L’intertestualità, Roma, Laterza, 1998. Da un punto di vista semiotico, cfr. C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, cit., pp. 85-90. Nell’Avviamento troviamo alcune importanti osservazioni, centrate nel caso specifico sulle composizioni poetiche, ma naturalmente estendibili alla letteratura tout court: «Ma la lingua e lo stile di ogni composizione poetica sono nel complesso il risultato di una fitta intertestualità, che si differenzia da fatti analoghi dei testi parlati e prosastici per la consapevolezza, e spesso l’allusività, con cui essa è messa in atto. Ogni poeta, scrivendo dialoga con la schiera di altri poeti di cui è in qualche modo il successore, oltre che il superatore», ivi, a p. 89. Sul complesso processo intertestuale, osservazioni di natura più eminentemente estetica, ma egualmente pertinenti a questo contesto, poiché legati ai problemi dell’ unità di stile dell’artista, sono quelle espresse da M. Bachtin. Per lo studioso russo, il prosatore-romanziere «accoglie la pluridiscorsività e il plurilinguismo della lingua letterarie e extraletteraria nella sua opera senza indebolirla e favorendone persino l’approfondimento. Su questa stratificazione della lingua, sulla sua pluridiscorsività e persino sul suo plurilinguismo, egli costruisce il suo stile, conservando l’unità della sua personalità creativa e l’unità (che è di altro ordine, però,) del suo stile», Id., Estetica e romanzo, cit., p. 106.

62 U. Musarra-Schroeder, Memoria letteraria e modernità nel Gattopardo, cit. , p. 235 e in Memoria

188

individua come fonti due composizioni de Les Fleurs du Mal: Un voyage à Ciythère e, in misura minore, Une charogne.

Va ricordato però ricordato che già sul finire degli anni ’80, Georges Barthouil, aveva rilevato che l’immagine del «jeune soldat “sbudellato”» ha un suo «prototype chez Leopardi»63. Naturalmente la sua rilettura critica non esclude di certo quella della studiosa –tra l’altro ben più articolata e inserita in un contesto intertestuale assai più ampio–, contribuisce semmai a rafforzare l’ipotesi interpretativa che riconosce nel personaggio soldato gattopardiano un «objet»64 letterario.

In effetti, il raffronto tra le due poesie e il brano del romanzo di Lampedusa, nel portare alla luce una serie di riscontri e di innegabili parallelismi, finisce con l’offrire un ampio supporto alla tesi della Musarra-Schroeder. Nel Gattopardo troviamo scritto:

Per il Principe, però, il giardino profumato fu causa di cupe associazioni d’idee. “Adesso qui c’è un buon odore, ma un mese fa…”

Ricordava il ribrezzo che le zaffate dolciastre avevano diffuso in tutta la villa prima che ne venisse rimossa la causa: il cadavere di un giovane soldato del 5° Battaglione cacciatori che, ferito nella zuffa di S. Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone. Lo avevano trovato bocconi nel fitto trifoglio, il viso affondato nel sangue e nel vomito, le unghia confitte nella terra, coperto dai formiconi; e di sotto le bandoliere gli intestini violacei avevano formato pozzanghera. Era stato Russo, il soprastante, a rinvenire quella cosa spezzata, a rivoltarla, a nascondere il volto col suo fazzolettone rosso, a ricacciare con un rametto le viscere dentro lo squarcio del ventre, a coprire poi la ferita con le falde verdi del cappottone; sputando continuamente per schifo, non proprio addosso ma assai vicino alla salma. Il tutto con preoccupante perizia. ”Il fetore di queste carogne non cessa neppure quando sono morte.” Diceva. Era stato tutto quanto avesse commemorato quella morte derelitta. Quando i commilitoni imbambolati lo ebbero poi portato via ( e, sì, lo avevano trascinato per le spalle

63 Barthouil G., Leopardi e Lampedusa, cit., a p. 397. Secondo il critico francese, l’ipotesto di riferimento è il Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica, scritto da Leopardi nel 1818. 64 Per questa definizione, cfr. S.S. Nigro, Il Principe fulvo, cit., p. 31.

189

sino alla carretta cosicché la stoppa del pupazzo era venuta fuori di nuovo) un De Profundis per l’anima dello sconosciuto venne aggiunto al Rosario serale. E non se ne parlò più, la coscienza delle donne di casa essendosi dichiarata sodisfatta65.

Ed ecco, invece, i versi più rilevanti delle due poesie 66:

65 Il Gattopardo, cit., p. 31-32.

66 L’edizione a cui si fa riferimento è C. Baudelaire, Les Fleurs du Mal, Milano, Garzanti, 1983, trad. in prosa di A. Bertolucci. Una carogna, che consta di 46 versi, è contenuta nella prima sezione della silloge, a pp. 52-57. Un viaggio a Citera, si articola invece in 60 versi e si trova in una sezione centrale, a pp. 221-224.

Una carogna

Ricordi tu l’oggetto, anima mia, che vedemmo quel mattino d’estate così dolce? Alla svolta d’un sentiero un’infame carogna sopra un tetto di sassi,

Le gambe all’aria, come una femmina impudica, bruciando e sudando i suoi veleni, spalancava, con noncuranza e cinismo, il suo ventre pieno di esalazioni.

Il sole dardeggiava su quel marciume come volendolo cuocere interamente, rendendo centuplicato alla natura quanto essa aveva insieme mischiato;

Un viaggio a Citera […]

“Ma ecco che, rasentando da vicino la costa, così da intimorire gli uccelli con le nostre bianche vele, ci apparve una forca a tre bracci, nera contro il cielo come un cipresso.

Appollaiati sulla loro pastura feroci uccelli distruggevano rabbiosamente un impiccato, già sfatto: ciascuno

piantando, come un attrezzo, il becco impuro in ogni angolo sanguinante di quel marciume,

gli occhi due buchi, e dal ventre