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La geniale intuizione bachtiniana del cronotopo letterario trova una sua naturale applicazione nel capolavoro lampedusiano. Anche in Tomasi esso connota in vario modo personaggi ed eventi, e giunge a disvelarne la sostanza segreta117.

117 Basterebbe pensare alle coordinate spaziotemporali entro le quali viene collocato da Lampedusa la scena cruciale della morte del vecchio uomo-gattopardo: lo squallido, angusto perimetro di una stanza dell’hotel Trinacria. Esso è vertiginosamente distante dai luoghi del privilegio nei quali era abituato a

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Il cronotopo del Gattopardo è quello di un mondo al tracollo.

Il personaggio assiale, il principe don Fabrizio Corbera di Salina, figura dell’aristocrazia terriera siciliana che è stata per tempo immemorabile la potentissima classe dirigente dell’isola, è un uomo della crisi. Una creatura estremamente fragile, perché destinata a vivere in un tempo storico incerto, all’interno del quale ogni elemento di continuità col passato è stato reciso118. La Storia ha ormai decretato la fine dei grandi casati come il suo e del mondo che ne era lo specchio fedele. Ha spogliato di ogni sicurezza il principe e i suoi simili. Li ha privati dei consueti punti di riferimento.

Tuttavia, sino all’irrompere in scena del sindaco di Donnafugata, il fulvo gigante poteva ancora fare finta che nulla fosse realmente mutato. Egli era ancora un principe potente, un fiero gattopardo, un protagonista indiscusso e indiscutibile della vita politica, sociale, economica della sua terra. Col materializzarsi di Sedàra, accade invece l’irreparabile.

Don Fabrizio si rende conto che sono ormai inappropriati gli antichi indici di misura e la visione del mondo sui quali si basava l’intera cosmogonia nobiliare.

Nel cronotopo nobiliare a cui il principe di Salina fa riferimento, prevale uno stile di vita raffinato quanto improduttivo. L’esaltazione dell’otium, inteso come un valore irrinunciabile, come il segno di una supremazia culturale, prima che sociale, si coniuga a un sostanziale disinteresse verso ogni aspetto pratico dell’esistenza119. Questo lo conduce a delegare agli altri, anche ad amministratori disonesti, la gestione dei propri averi e possedimenti120.

condurre la propria esistenza il principe di Salina: gli immensi palazzi signorili, i grandi conventi, l’amatissimo osservatorio che domina dall’alto uomini e cose, le profumate alcove dell’amore carnale. A questo cronotopo lo scrittore affida una potente rappresentazione narrativa che gli permette di raccontare, attraverso la morte del suo fragile gigante, la fine di tutto, la sconfitta senza appello del mondo aristocratico. Uno scacco che è insieme esistenziale, sociale e cosmico.

118 Non è difficile vedere in ciò una proiezione autobiografica dello stesso Lampedusa. Naturalmente, l’epoca di crisi nella quale lo scrittore si trova immerso è quella che inizia nel primo, tragico dopoguerra e di cui parla lo stesso scrittore nei tre saggi giovanili.

119 Il Gattopardo, cit., p. 29. 120 Ivi, p. 50-52.

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Nel cronotopo del personaggio assiale prevale soprattutto l’immobilità e la necessità di preservare a ogni costo l’antico ordinamento politico-sociale, anche se questo significa la presenza al vertice di un incompetente121. D’altronde, solo difendendo gli antichi equilibri si può ancora nutrire l’illusione di potere perpetuare un mondo morente, nel quale rapporti umani poggiano sull’arbitrarietà assoluta del privilegio o sull’esercizio capriccioso del potere personale e dove i pochi rappresentanti della «casta» hanno in pugno la sorte del mondo122.

Nel cronotopo di Sedàra, invece, vi è movimento.

Egli è portatore di valori antitetici rispetto a quelli del nobile. Con la sua vita esalta l’astuzia e la produttività. Si affida a una saggezza di tipo utilitaristico che lo lega di nuovo ai possedimenti, alle proprietà, alle colture, in un contatto diretto con la madre terra che i nobili hanno malamente tradito.

L’uomo nuovo per eccellenza nel Gattopardo (più ancora di Ciccio Ferrara, il contabile di casa Salina; o di Pietro Russo, il soprastante, che pure ne anticipano la figura narrativa e il ruolo) si muove sul terreno della storia, tra cupidigia e accortezza. Egli scardina gli antichi equilibri preesistenti, introducendo tra le rovine –bellissime ma inutili– di un’aristocrazia al tramonto, il tempo redditizio della borghesia nascente e la sua ansia di accumulo.

La sua vita è consacrata a uno scopo ben preciso. Lui che proviene dai gradini più infimi della scala sociale, vuole ottenere ricchezza e prestigio; acquistare nuove proprietà e renderle fruttuose; manipolare gli altri sino a piegarli al proprio volere. I suoi gesti non sono mai gratuiti. Soggiacciono al contrario a un preciso disegno di accumulo e possesso (in questo senso rappresenta una variante essenziale del mastro-don Gesualdo verghiano). Da uomo del popolo, egli sa che ogni cosa o essere vivente del creato, ha un proprio prezzo. Non si smentisce nemmeno quando si tratta di “gestire” la storia d’amore tra sua figlia e il nipote di

121 Ivi, pp. 33-36. 122 Ivi, p. 206.

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don Fabrizio, facendo precedere l’unione matrimoniale tra i due da un contratto vero e proprio123.

In realtà, la sua comparsa provoca nel romanzo un’immediata saturazione del tempo. Attraverso quell’omino insulso, sciatto e rozzo, l’elegante, raffinato e impotente uomo-gattopardo vede con nidore, per la prima volta, l’anacronismo della propria classe e la sua imminente débâcle.

L’aristocrazia è espressione di un passato che d’improvviso si palesa distante dall’attimo presente. Per questo il famoso ballo a palazzo Ponteleone, che dovrebbe sancire l’ingresso in società di Angelica Sedàra e offre invece a suo padre l’occasione per la sua definitiva consacrazione sociale, smette di essere l’emblema più alto di un rito collettivo, esclusivo e autoreferenziale, attraverso cui la casta nobiliare si autoriconosce e celebra se stessa. Diventa invece un momento liminare.

La temporanea, sconvolgente, linea di tangenza tra due mondi che prestissimo entreranno in collisione.

Gli anni hanno corretto in gran parte gli errori di prospettiva sul ‘caso

Gattopardo’. Una maggiore conoscenza dell’uomo Tomasi e della sua vera anagrafe

culturale ha spazzato il campo da taluni pregiudizi, come il presunto provincialismo del principe, la bugia dell’opera-prodigio o il falso mito dello scrittore tutto ispirazione; e permesso un giudizio più sereno e veritiero su di lui e la sua opera.

Moderno è l’ordito della sua prosa: iperletteraria e aperta a mille contaminazioni intertestuali; vivificata dal registro ironico; piena di gabbie foniche che ne assicurano la musicalità; di certo non immune da un linguaggio che conosce le ineffabili profondità dell’inconscio124. Moderna, soprattutto è l’organizzazione strutturale della compagine narrativa affidata al cronotopo.

123 Ivi, pp. 129-139.

124 Esattamente come per le opere di Italo Svevo, anche in Lampedusa la conoscenza diretta della psicoanalisi finirà con sostanziare la sua arte, ma non si tradurrà mai in un progetto di cura. Illuminante a tal proposito quanto lo scrittore triestino scriveva sul finire degli anni ‘20: «Grande uomo quel nostro Freud, ma più per i romanzieri che per gli ammalati», Lettera a V. Jahier , 10 dicembre 1927.

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È indubbio che il romanzo di Tomasi di Lampedusa manchi di un’ultima revisione. La morte prematura vietò al principe anche un estremo labor limae.

Tuttavia il romanzo ha la limpida bellezza che possiedono solo i capolavori e l’inesauribile vitalità di un classico. In virtù di ciò, sin dal suo apparire, non ha mai smesso di parlare agli uomini d’ogni luogo e di sopravvivere a una gran numero di opere il cui successo iniziale, spesso strettamente connesso alle logiche di mercato, è stato egualmente intenso, ma subito dopo si è rivelato effimero.

Qualche anno prima di comporre il Gattopardo, Tomasi aveva dato una pregnante definizione del grande autore, di colui, cioè, che nel suo personale linguaggio critico era un «creatore di mondi»:

Qualunque possano essere le prerogative artistiche di ognuno, i creatori di mondi debbono aver compiuto un’opera vasta, popolosa, omogenea nella varietà, avente la facoltà di continuare a vivere indipendentemente dal creatore, rischiarata da luce tutta sua, arricchita da paesaggi peculiari. Ripensateci, chiudete gli occhi: per ciascuno dei nomi citati vi apparirà un’immagine precisa: il sole mediterraneo di Ulisse, l’afa implacabile della Mancia […] Alcuni di questi mondi sono sconfinati, quelli di Tolstoj e di Balzac; altri minuscoli, quelli della Austen o di Proust. Tutti gonfi di linfa vitale, tutti immortali125.

Non accade forse lo stesso, oramai, quando viene richiamato a mente il nome di Tomasi di Lampedusa?

Sotto le palpebre abbassate, prendono forma delle immagini precise: l’innocua prepotenza di un uomo-gattopardo che si interroga incessantemente sulla vita e sulla morte; l’intollerabile bellezza di Angelica e le spore luminose della sua sensualità; il tranquillo cinismo del figlio in pectore Tancredi e l’irruenza sfrontata della sua giovinezza; la Sicilia che si staglia imperiosa sulle pagine, coi suoi umori, i suoi sapori, i suoi rituali e le sue riottosità. Un personaggio senza tempo, essa stessa

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parte rilevante della comedìa umana che Tomasi ha voluto portare in scena: di volta in volta, “luogo fisico” delineato e riconoscibile o proiezione mitopoietica

Destinata a rimanere nell’immaginario, è pure l’implacabile chiusa del libro, centrata su Bendicò. Il cane, non a caso considerato dallo scrittore figura centrale del romanzo, ha attraversato l’opera con la fedele giovialità che gli è propria, ma è sempre stato attento, più di qualunque essere umano, ai segreti umori del suo principe padrone126.

Spetterà proprio alla carcassa dell’alano, ridotta a un povero mucchietto di livida polvere a simboleggiare l’estrema vanitas vanitatum del tutto, mettere la parola fine al Gattopardo.

126 «Attenzione: il cane Bendicò è un personaggio importantissimo ed è quasi la chiave del romanzo»” «Tengo molto agli ultimi due capitoli: La morte di Fabrizio che è sempre stato solo benché avesse moglie e sette figli ; la questione delle reliquie religiose che mette il suggello su tutto è assolutamente autentica e vista da me stesso»: Lettera ad Enrico Merlo, 30 maggio 1957, custodita presso il Parco culturale del Gattopardo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Belice.

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2.

II GATTOPARDO E IL “TRADIMENTO” DELLA LETTERATURA DI

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La riuscita attuazione di ogni arte è di per sé incantevole spettacolo, ma anche la teoria è interessante; e sebbene si abbia grande quantità della prima senza la seconda, ho il sospetto che non ci sia mai stato un reale successo artistico privo di un nucleo latente di convinzioni teoriche.

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