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Bisogna porre attenzione alle date entro le quali si situa la scrittura del

Gattopardo, per comprendere il particolare dialogo col lettore che Lampedusa vi ha

intessuto70.

68 Sulla tormentata condizione esistenziale di don Fabrizio e sull’ambivalenza con cui vive il proprio rapporto con la morte, sono state scritte pagine molto intense da S. Salvestroni, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Venezia, La Nuova Italia, 1979, pp. 47 -58.

69 Il Gattopardo, cit., p. 243. Come in Leopardi, anche in Lampedusa, il dio della morte è stato sostituito da una bellissima donna.

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Siamo nell’immediato dopoguerra, sul finire degli anni Cinquanta.

Il mondo vive la fase più critica e pericolosa della Guerra Fredda; vi sono i fatti d’Ungheria; il rapporto segreto di Krusciov.

In Italia, siamo nell’ultimo scorcio della Seconda legislatura repubblicana (1953-1958). Si stanno ponendo le basi per quell’intreccio perverso tra potere politico ed economia pubblica, che da allora in poi segnerà variamente la nostra storia nazionale. E non accenna ancora a smorzarsi l’esaltazione che aveva percorso le masse e tanta parte dell’opinione pubblica subito dopo la fine del conflitto mondiale e la vittoria sul nazifascismo. Non sembrano ancora destinate ad arenarsi, come immense balene spiaggiate, le grandi utopie palingenetiche concepite sulle macerie di un tempo di guerra.

Nei fatti, nella penisola, l’esile schermo di un illusorio boom economico capitalistico maschera quella che oggi definiremo una crisi di sistema, destinata a investire e travolgere valori consolidati, strutture sociali, persino ideologie –come quella marxista, ad esempio– che sembravano destinate alla supremazia. Ancora per qualche tempo, rimarrà preclusa ai più la comprensione dell’effettiva portata della catastrofe verso cui si sta andando incontro.

Lampedusa pone mano al suo capolavoro in questo preciso frangente.

È un uomo prossimo alla morte; un nobile decaduto che mai, se si accentua la breve esperienza come presidente della Croce Rossa isolana, ha rivestito un ruolo organico nel gruppo sociale d’appartenenza; un intellettuale di grandissima levatura, ma che non ha mai voluto o potuto entrare a far parte d’una qualsiasi congrega. Vive ormai da anni ai margini della società. È un isolato. I suoi interlocutori prediletti, sino alla data-cesura delle lezioni impartite ad Orlando, sono Licy e i cugini Piccolo, con cui, oltre alla vastità degli interessi culturali e, in qualche modo, le scomode stimmate dell’eccentricità, condivide soprattutto «quella pigrizia fatta di

70 György Lukács notava che da Scott a Balzac, il romanzo storico è venuto accreditandosi come opera che sposta l’asse della narrazione «dalla rappresentazione della storia passata alla rappresentazione del presente come storia», Id., Il romanzo storico, Introduzione di C. Cases, trad. di E. Arnaud, Torino, Einaudi, 1965, p. 100.

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letture e sogni»71 che diventa davvero incomprensibile se non si riconduce entro l’alveo d’una cosmogonia nobiliare sicula d’ascendenza tardo-ottocentesca.

Eppure non ha mai perso il contatto con la realtà.

Sollevato dall’onere dei facili entusiasmi dalla durezza del suo destino e dalla natura meditativa del suo pensiero, Lampedusa è tra quei pochi spiriti attenti che avvertono propagarsi nell’aria il murmure cupo della tempesta in arrivo.

Lo scrittore osserva e giudica.

E lo fa dopo avere scelto, quale punto privilegiato d’osservazione la terra in cui vive e che ama visceralmente e conosce meglio. Anch’egli si situa su quell’ideale linea di continuità che connota in vario modo le opere degli scrittori isolani e che li spinge, ciascuno nei modi e nelle forme che gli sono più congeniali, a far rivivere nelle loro pagine una Sicilia come metafora o, in altri termini, di «riproporre il mito della Sicilia-mondo, microcosmo che accoglie in forme miniaturizzate ma nette tutti i beni e tutti i mali» dell’universo72.

La scelta del Risorgimento, quale ambiente storico entro il quale situare la propria fabula, è consequenziale e strettamente correlata alla congiuntura storica del tempo. Non è un caso, difatti, che durante questi difficili anni ’50, all’interno di un ampio dibattito politico e culturale, si assista ad una ripresa della controversa questione meridionale.

Nelle secche di questa terribile crisi che sta per esplodere e scuotere sin dalle fondamenta la giovane repubblica, riaffiora un problema vecchio e irresoluto: il burrascoso rapporto tra due macroaree territoriali –quella centro-settentrionale da una parte e quella meridionale dall’altra– profondamente diverse tra loro e a diversa trazione economica.

Mentre diventa necessario istituire una sorta di processo allo Stato unitario per gli squilibri politico-sociali che ha portato con sé, specie nelle regioni del Sud,

71 S. Savoia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, cit., p. 106.

72 G. Giarrizzo, Introduzione, in Storia d’Italia Le regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia, Torino, Einaudi, 1987, pp. V-XIX, a p. IX. Naturalmente lo storico avverte che: «quel mito è parte della storia della Sicilia: e lo storico, che è chiamato a dissolverlo con la critica tutte le volte che esso deforma i “fatti” o colora le “cause”, deve legittimarne la presenza e il ruolo nel suo racconto; può riconoscerlo come un carattere, senza perciò farne l’anima di un modello», Ibidem.

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e che non è mai riuscito a sanare, si riscoprono le mille incongruenze con cui è stata vissuta la miracolosa epopea risorgimentale. Poco importa se ha consentito, grazie al sacrificio di sangue di tanti giovani, dopo secoli di dominazioni straniere e di sistematiche e brutali spoliazioni, di recuperare le radici comuni e quella irrinunciabile identità culturale entro la quale ha trovato la sua prima ragione d’essere l’idea di unità della nostra nazione73.

In questa fase confusa, alcuni dei nostri intellettuali migliori, distanti dal becero urlare dei più, offrivano all’opinione pubblica la lucidità delle loro riflessioni sul meridionalismo. Ma, soprattutto, anche se riproponevano in tutta la loro drammatica problematicità i limiti di un percorso unitario vissuto sotto l’egida non sempre rassicurante del Regno Sabaudo, provavano ad indicare delle linee di intervento.

Per molto tempo, si è sottovalutato il peso che gli echi di questo dibattito ha avuto nel Gattopardo, al contrario di quanto si è invece fatto per romanzi antistorici di grandi autori conterranei che prima di Lampedusa avevano affrontato, da siciliani, il tema del Risorgimento tradito74.

Invece, come ci ha insegnato Zago, per comprendere il sistema di idee e di valori politici che sostanziano il registro saggistico del Gattopardo bisogna seguire un’altra via di interpretazione e individuare nell’acceso dibattito meridionalistico di

73 Uno spoglio recente avviato dalla Zanichelli su circa mille opere di grandi autori ha permesso di rilevare che nei sette secoli che vanno dal 1200 sino al 17 marzo 1861, la parola “Italia” è stata citata ben 9600. L’elenco, o la vertigine della lista – come direbbe Eco- serve a farci capire che la nostra nazione, pur non esistendo ancora come Stato, veniva già evocata in letteratura attraverso i concetti di popolo e territorio.

74 V. Consolo, in anni non troppo lontani, ha sottolineato come tra la produzione di ogni scrittore siciliano che si rispetti non possa mancare un romanzo storico ambientato nell’epoca risorgimentale: Id, La poesia e la storia, in I tempi del rinnovamento, Atti del Convegno Internazionale “Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992 (Leuven-Bruxelles, 3-8 maggio 1993), Bulzoni-Leuven University Press, Roma-Leuven, 1995, voll. I-II, vol. I, pp. 583-586. Va inoltre ricordato che con i Malavoglia (ipotesto essenziale del Gattopardo), dato alle stampe nel 1881, anche Verga consegnava ai lettori un grande romanzo moderno che «non è incongruo definire […] un romanzo storico», come sostiene G. Giarrizzo, in La Storia, in I Malavoglia cit., pp. V-XIX, a p. XI; e all’interno del quale c’era già spazio per «l’anti-epopea del Risorgimento volta a contestare un’idea della storia come progresso o movimento prodotto da grandi ideali», secondo quanto asserisce G. Mazzacurati, Introduzione, in Verga, Torino, Einaudi, 1992, pp. XIII-XLII, a p. XXXIII.

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quegli anni, «il primario supporto di questa zona centrale dell’aggrovigliata mappa ideologica di Lampedusa»75.

Lo scrittore crede nell’irredimibilità a-storica della sua terra e nell’impossibile attuazione d’ogni riscatto sociale. Ma anche lui nel “rileggere” il Risorgimento lo vede come un’epopea tradita e come un processo politico incompiuto, strutturalmente fragile. Per questa ragione, per comprendere appieno Il

Gattopardo, è necessario, come ha suggerito Zago, recuperare i raccordi tra questa

presa di posizione e le riflessioni elaborate in quegli anni da due tra i più importanti storici della questione meridionale del tempo, Guido Dorso e, in misura minore, Giustino Fortunato.

Probabilmente la catalogazione dei libri della grande biblioteca tomasiana, fornirà ulteriori spunti di approfondimento. Tuttavia, rimane particolarmente valida, l’interpretazione fornita da Zago sulla stretta correlazione che lega Il Gattopardo alle opere di «quel politico dell’irrealtà» che era il meridionalista irpino76.

Secondo Zago, malgrado l’ indimostrabilità filologica dell’assunzione dei testi dello storico avellinese come modelli diretti, la verifica testuale del romanzo lascia affiorare un’ideologia comune. Il romanzo, «si presta ad una chiava di lettura dorsiana, sin dalla basilare esigenza di risalire a contropelo la storia d’Italia, per sorprenderla tutta sotto il segno d’una costante tendenza al compromesso e al trasformismo»77.

Su questa stessa posizione si allinea un saggio di Giuseppe Maria Tosi, che approfondisce ulteriormente il rapporto tra lo scrittore e lo storico e rileva che il fitto tessuto di rimandi e analogie con Dorso si sostanzia addirittura anche di citazioni

75 N. Zago, I Gattopardi e le Iene, cit., p. 13. Degno di nota, e ancora estremamente attuale, è comunque l’intero cap. I, incentrato sulla struttura ideologica del Gattopardo, pp. 11-26.

76 La definizione è di C. Muscetta, in Id., Realismo, neorealismo, contro realismo, Roma, Lucarini, 1990, p. 57. A proposito del saggio La Rivoluzione meridionale, scrive il critico: «l’inquadratura generale del libro era appunto uno scorcio storico della vita politica italiana, ma al centro veniva collocata, e in primo piano, la questione meridionale, considerata non già come una questione locale, ma come un problema di regime, anzi il problema fondamentale della democrazia in Italia. […] oggetto di conquista regia, il mezzogiorno non si riscattò più dal suo ormai “complesso di inferiorità”, né poteva, perché la borghesia terriera del Sud, pur di conservare i suoi privilegi feudali, aveva rinunciato a partecipare alla effettiva direzione del paese», ivi, p. 43.

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più o meno velate78. Lo spoglio condotto da Tosi individua, come ipotesto di riferimento per il Gattopardo soprattutto il famoso saggio dell’avellinese edito nel 1949 e intitolato L’occasione storica.

Una rilettura del romanzo che dia il giusto rilievo alla lezione dorsiana, ci aiuta a porre un tassello importante nel grande puzzle dell’affresco storico gattopardesco e dimostra che la riflessione sui limiti strutturali del processo unitario in Sicilia precede la scrittura narrativa e governa la costruzione dell’opera.

Ma si impone subito un nuovo ordine di problemi.

Col suo romanzo d’ambientazione ottocentesca, dunque, Lampedusa partecipa al dibattito teorico sui limiti dello Stato post unitario e sugli scompensi che ha creato nella sua isola. Ma lo fa a modo suo. Da scrittore.

Risulta pertanto poco conveniente l’impostazione di chi ha deciso di soffermarsi in modo particolare sulla dimensione ideologica di Lampedusa e sul suo presunto conservatorismo. Si rischia di perdere di vista l’essenza stessa dell’opera e le sue ragioni poetiche.

Dopo aver dimostrato che dietro la rievocazione risorgimentale del

Gattopardo, un rilievo non indifferente acquistano la storiografia, la saggistica e la

pubblicistica di stampo meridionalistico coevi alla sua stesura, oltre che la diaristica del periodo garibaldino79, l’attenzione si deve concentrare su altro: le modalità di rappresentazione scelte dall’autore, per esempio; o la peculiare forma che Lampedusa ha dato al Gattopardo.

Nel romanzo del principe il discorso storico è composita ragione narrativa. Trame d’invenzione si intrecciano con avvenimenti reali; antiche e recenti memorie familiari convivono con un’attenta riflessione storiografica. Come abbiamo avuto modo di vedere, la verisimiglianza dei fatti narrati, anche quando si presenta come

78 G. M. Tosi, Il Gattopardo e il Risorgimento siciliano, in «Quaderni di italianistica», XVII, 1996, 1, pp. 75-87.

79 Cfr. G. Lanza Tomasi, Premessa al Gattopardo, cit., p. 22-23. In queste pagine il figlio cita come ipotesto di riferimento della diaristica l’opera Tre mesi nella Vicaria di Palermo nel 1860, di Francesco Brancaccio di Carpino.

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ricostruzione di vicende documentate, è costantemente assoggettata ai dettami poetici. Nel romanzo, sono le ragioni dell’arte ad avere il sopravvento.

Sebbene Lampedusa si serva del Gattopardo per veicolare un preciso messaggio ideologico e rappresentare la crisi sociale e politica «che non è detta sia soltanto quella del 1860» 80, tuttavia non abdica mai al proprio ruolo e ogni cosa viene reinterpretata dalla regale fantasia del fabulatore.

La dimensione esistenziale del narratore e dei suoi personaggi è più importante di ogni ideologia o delle varie ipotesi che pure trovano spazio nel libro, affidate di volta in volta, indistintamente, grazie ad una focalizzazione interna variabile, a protagonisti, comprimari, comparse: Tancredi, caro e commovente, pur nelle sue mille pecche; Sedàra, l’uomo nuovo dagli occhi liquidi e mansueti e dal cuore rapace; il buon Padre Pirrone; la scialba ma livorosa Concetta.

Alla fine, conta più d’ogni altra cosa l’approdo solidaristico, di chiara ascendenza leopardiana, che concede a don Fabrizio e al suo mentore di recuperare il senso ultimo della vita, proprio nel momento in cui tutto sembra compromesso o perduto nel gran mare del nulla entro cui siamo destinati a scivolare.

Nessuno, vuole dirci il principe, può salvarsi da solo.

Don Fabrizio sentì spetrarsi il cuore: il suo disgusto cedeva il posto alla compassione per questi effimeri esseri che cercavano di godere dell’esiguo raggio di luce accordato loro fra le due tenebre prima della culla, dopo gli ultimi strattoni. Com’era possibile infierire contro chi, se ne è sicuri, dovrà morire ? […] Anche le scimmiette sui pouf, anche i vecchi babbei suoi amici erano miserevoli, insalvabili e cari come il bestiame che la notte mugola per le vie della città, condotto al macello81.

Pagine come questa dovrebbero farci riflettere sulla gerarchia di valori che trova spazio nel Gattopardo e sulla parzialità maliziosa di una lettura critica che insista semplicemente sul reazionarismo politico di cui si macchia il principe. Nel

80 Lettera a E. Merlo, cit.. 81 Il Gattopardo, cit., p. 219.

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romanzo vi è spazio per un’ aristocrazia dello spirito che trova il suo significato più alto nell’esercizio indulgente dell’umana pietas, in un afflato di fratellanza che unisce gli uomini –di buona volontà– in un reciproco abbraccio e li rende meno vulnerabili.