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I L TRATTAMENTO DEI CRONOTOPI NEL G ATTOPARDO

Stendhal non dispone della minuzia necessaria a descrivere edifici e mobili con la meticolosità da regista cinematografico dalla quale talvolta Balzac ha saputo estrarre grandiosi effetti poetici90.

Si affaccia, in questo giudizio, un’eco delle osservazioni narratologiche presenti nelle due lettere a Licy e che fanno di Balzac un regista superbo. Un artista in grado come pochi di fare “vedere” ai suoi lettori i luoghi e gli ambienti in cui vivono i personaggi delle sue opere e i movimenti che essi vi compiono.

In effetti, le date ci aiutano a mettere ordine nel percorso del “narratologo” Tomasi. Nel 1950, mentre discetta di Balzac con la moglie, egli si sofferma sulla configurazione spaziale del narrato. Tra il novembre del 1953, data di inizio dei suoi due corsi sulle letterature straniere e la prima metà del 1955, entro cui interrompe bruscamente quello di letteratura francese, prevale invece l’attenzione sulla resa romanzesca del tempo, come testimoniano soprattutto le riflessioni presenti nelle lezioni sulla Woolf e su Stendhal. Nel giugno del 1955, infine, ritorna preponderante per lui l’attenzione all’organizzazione spaziale del testo letterario, come dimostra lo scritto memoriale dei Ricordi d’’infanzia.

Tutte queste riflessioni gli ritorneranno utili quando finalmente deciderà di dare vita al suo capolavoro, giacché, nella strutturazione dell’intreccio in fabula, diventa prioritario supportare la superba e malinconica cosmogonia nobiliare di don Fabrizio con delle precise strutture topologiche, sia iconiche che referenziali.

1.4 IL TRATTAMENTO DEI CRONOTOPI NEL GATTOPARDO91

90 Lettere a Licy, cit., p. 88.

91 Il concetto di cronòtopo, in origine legato alla teoria einsteniana della relatività, indica nella fisica il modo di rappresentare la struttura quadridimensionale dello spaziotempo e fornisce le coordinate in cui viene accolto l’oggetto-evento. In letteratura, viene introdotto per la prima volta negli anni Trenta del ‘900 da Michail Bachtin, per indicare l’interdipendenza reciproca fra i due vettori all’interno di un testo letterario. Secondo la sua celebre definizione esso esprime infatti «l’inscindibilità dello spazio e del tempo» e deve essere «inteso come una categoria che riguarda la forma e il contenuto della letteratura […] Nel cronotopo letterario ha luogo la fusione dei connotati spaziali e temporali in un tutto dotato di senso e concretezza. Il tempo qui si fa denso e compatto e diventa artisticamente visibile; lo spazio si intensifica e si immette nel movimento del tempo, dell’intreccio, della storia. I connotati del tempo si manifestano nello spazio, al quale il tempo dà

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Probabilmente l’eccessiva importanza accordata al registro saggistico del

Gattopardo e alla lettura ideologica cui esso si presta, ha contribuito per molto

tempo a sviare la critica dalle novità del Gattopardo. Spesso ci si è soffermati sul presunto conservatorismo dell’opera, piuttosto che sulle modalità scelte dall’autore per organizzare il textus e sulle tecniche narrative e compositive che ha coerentemente utilizzato a tal fine92.

Ancora oggi si indugia sull’opinabile “problema” della difficile collocazione di un romanzo che nella sua struttura tanto ricorda i vecchi romanzi “misti di storia e di invenzione”93. Eppure, col Gattopardo, al di là del genere d’appartenenza, lo stesso Lampedusa si inscriveva di diritto nella ristretta cerchia degli innovatori della narrativa novecentesca. Persino laddove la presunta “verità” del narrato, le strategie espositivo-stilistiche o le regole strutturanti sottese alla fabula, rimandavano nel loro insieme più scopertamente ad alcuni topoi del romanzo storico d’impianto tradizionale, l’autore demiurgo, seppe attuare uno scarto improvviso e, considerati i

senso e misura. Questo intersecarsi di piani e questa fusione di connotati caratterizza il cronotopo artistico», Id., Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo, in Estetica e romanzo, trad. C. Strada Janovič, Introduzione di R. Platone, Einaudi, Torino, 2010 (19791); ma già edita in Russia nel 1975), pp. 231-405, a pp. 231-232. Secondo S. Maxia, le teorie elaborate da Bachtin hanno portato a un nuovo modo di rileggere il testo letterario soprattutto da un punto di vista dello spazio, Id., Introduzione, in Letteratura e spazio, in «Moderna», IX, 2007, 1, pp. 9-17 (questo numero monografico della rivista è corredato da un importante Repertorio bibliografico ragionato, che copre gli anni dal 1995 al 2006). Per approfondire il percorso culturale del filologo russo, cfr. S. Tagliagambe, L’origine dell’idea di cronotopo in Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, a cura di F. Corona, Milano, FrancoAngeli, 1986, pp. 35-78 e Id., Genesi e dintorni del concetto di cronotopo, in Letteratura e spazio, cit., pp. 27-43. Per un punto sulla recezione della categoria bacthiniana nella nostra penisola E. Creazzo, Nuove ricerche sul cronotopo letterario, in «Le forme e la storia», II, 2009, 2, pp. 287-293. Si ricorda che alcuni anni prima della pubblicazione di Estetica e romanzo in Italia (nel 1975) già C. Segre rimandava a una dimensione cronotopica del testo letterario: Id., I segni e la critica, Torino, Einaudi, 1969, a p. 28 si legge difatti che si dovrebbe «intendere l’opera d’arte […] come un cronotopo».

92 N. Zago, nell’affrontare il problema della scarsa tradizione critica legata al romanzo, malgrado il suo straordinario successo, ha individuato proprio nell’’impianto storico e nella struttura due degli elementi che impediscono la percezione immediata della sua modernità. Modernità del Gattopardo, in «Le Forme e la Storia», IX, 1996, 2, pp. 201-208.

93 «…nonostante i notevoli studi sul romanzo (che conta una bibliografia critica fra le più ragguardevoli ) non è stato facile collocare letterariamente un libro che, pur nella sua singolarità, ha creato l’illusione di un ritorno al “romanzo storico”»: G. Spagnoletti, Storia della letteratura italiana del Novecento, Roma, Newton Compton, 1994, p. 769.

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tempi di allora, imprevedibile94. Sebbene sia innegabile che alcune delle sue parti presentino un registro semiotico tipico di certa narrazione ottocentesca, bisogna anche tenere in conto che la tramatura spaziotemporale su cui riposa l’intero libro è decisamente moderna.

Al suo apparire, in un’inquieta Italia di fine anni ‘50, Il Gattopardo non venne compreso. Affinità tematiche e giochi di reciproche rispondenze, lo riconducevano nell’orbita di due autori conterranei, ma assai più grandi di lui: il Pirandello de I vecchi e i giovani e il De Roberto de I Viceré95. Il paragone tra l’oscuro principe palermitano e i due scrittori (che si erano già guadagnati, ciascuno in maniera proporzionale alla propria grandezza, da uomini di cultura oltre che da romanzieri, un loro posto specifico nell’immaginario collettivo e nella storia delle lettere) sembrava nei fatti improponibile.

Inoltre, l’inattualità del messaggio proposto dal romanzo, un cinico ripensamento sul fallimento del moto risorgimentale in un’isola irredimibile, appariva ancora più anacronistico e stridente, soprattutto se rapportato a quella particolare fase storica che vedeva il nostro Paese avviarsi a grandi passi verso il boom economico.

La comunità letteraria era troppo concentrata a dividere le sue attenzioni tra gli ultimi epigoni d’un tardo neorealismo e gli echi scomposti dello sperimentalismo neoavanguardista nostrano.

94 Eppure, già negli anni ’50, Marguerite Yourcenar aveva avvertito che: «Chi colloca il romanzo storico in una categoria a parte dimentica che il romanziere si limita ad interpretare, valendosi di procedimenti del suo tempo [il corsivo è della sottoscritta], di un certo numero di fatti passati, di ricordi, coscienti o no, personali o no che sono tessuti della stessa materia della storia. Ai tempi nostri, il romanzo storico, o quel che per comodità si vuol chiamare così, non può che essere immerso in un tempo ritrovato: la presa di possesso di un mondo interiore», Id., Taccuini di appunti, in Memorie di Adriano, a cura e trad. di L. Storoni Mazzolani, Torino, Einaudi, 1988, pp. 280-301, a p. 288. Secondo la scrittrice franco-belga, insomma, era possibile dar vita a un romanzo storico contemporaneo, purché se ne riscrivesse lo statuto e proponendo al lettore la certificazione di un nuovo patto autore-destinatario.

95 Doveva passare molto tempo prima che Romano Luperini dimostrasse che se di un modello di riferimento “siciliano” era necessario parlare riguardo al romanzo di Tomasi, bisognava allora scomodare il Mastro don-Gesualdo di Verga, opera di indubbia modernità, cfr. Id., Il “Gran Signore” e il dominio della temporalità, cit., e, sempre dello stesso critico, Il merito e il metodo di Orlando su Tomasi di Lampedusa, in «Allegoria», X, 1998, 28, pp. 243-249. Sulla modernità della struttura del Mastro verghiano ( e, dunque, di riflesso, anche della struttura gattopardiana), cfr. anche A. Manganaro, Verga, cit., pp. pp.160-166.

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Eugenio Montale e Carlo Bo96 furono tra i primi a elogiare l’opera. Tuttavia, dovevano trascorrere molti anni prima che ci si rendesse conto di tutte quelle novità, anche strutturali oltre che formali, che il Gattopardo presentava e che lo rendevano un grande romanzo del Novecento. E ancora oggi non ci si è soffermati adeguatamente sul trattamento dei cronotopi nella fabula gattopardiana.

Si è già accennato che all’interno del romanzo, «la modulazione del tempo» o «il modo di creare il tempo», «qualità principale d’ogni grande romanziere»97 è assai più vicino al tempo fluente, così come esso viene utilizzato dall’avanguardia anglosassone, che a quello dell’amato Stendhal. Anche per Lampedusa, il singolo istante può valere quanto una vita intera. E il più piccolo tra gli eventi della quotidianità può assumere un valore narrativo superiore a quello di un grande avvenimento storico98.

Questo è reso possibile perché la temperie culturale novecentesca ha imposto alla nostra vita nuovi paradigmi gnoseologici.

Non esiste più, nell’orizzonte percettivo dell’uomo moderno, una temporalità intesa come successione ordinata e consequenziale d’una catena d’eventi. Il Tempo collassa, inabissandosi verso fondali irraggiungibili; o si spazializza, accoglie cioè nei “luoghi” le coordinate dell’esistenza99. L’arte del racconto ha dovuto, dunque, ricalibrare i suoi invisibili perni ontologici e mutare assetti strutturali e modalità di rappresentazione.

La dimensione cronologica del Gattopardo nasce comunque dall’intersecarsi continuo di due diversi piani temporali. Quello biografico –soprattutto di don

96 E. Montale, Il Gattopardo, cit., pp. 2169-2175; C. Bo, La zampata del Gattopardo, in «La Stampa», 26-11-1958.

97 Letteratura francese, cit., p. 1890.

98 Questo spiega perché, come si vedrà nel cap. successivo, nel Gattopardo Lampedusa abbia “miniaturizzato” la Grande storia, malgrado si sia preoccupato in ossequio a un’idea di romanzo storico esposta nelle Lezioni su Stendhal, di connotare l’epoca oggetto della sua rappresentazione, disseminando il suo libro di tracce e segni del periodo risorgimentale, e assicurando la presenza dei suoi principali protagonisti (Garibaldi, Pallavicino) ed eventi (lo sbarco di Marsala, i fatti d’Aspromonte, il Plebiscito).

99La conseguenza più vistosa di ciò, mi sembra la narrativizzazione del luogo-città. Nella letteratura compaiono le città invisibili di Calvino; quelle latine di Borges, variamente segnate dalla realtà parallela del sogno; la Macondo di Marquez, in cui vivono assieme uomini e fantasmi; la metropoli inafferrabile e alienante della Trilogia di Paul Auster.

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Fabrizio Salina, ma anche di Tancredi e Concetta, di Calogero e Angelica Sedàra–, e quello storico dell’età risorgimentale, figura universale o radice simbolica100 di ogni epoca di crisi, entro la quale i personaggi gattopardiani si ritrovano a vivere.

Il romanzo di Lampedusa “racconta” la parabola discendente dei principi di Salina, una delle più importanti famiglie aristocratiche siciliane e, di riflesso, la tragica ecclissi della classe dirigente isolana, nel corso di un cinquantennio che si snoda dal maggio 1860 al maggio 1910.

Gli anni oggetto della rappresentazione gattopardiana non costituiscono però un continuum temporale. Neppure in questo romanzo esistono più un prima e un

dopo cronologicamente determinati e determinabili, lungo il cui asse l’autore può

disporre la materia narrativa, assicurandole movimento, successione, sviluppo. Anche il principe scrittore deve affidarsi a forme e strutture narrative in grado d’ accogliere, assicurandone spesso la compresenza, livelli temporali diegetici che possono essere assai distanti tra loro. La narrazione procede così attraverso balzi ardimentosi o improvvise contrazioni temporali101. Al contempo, la fabula si focalizza soltanto su alcuni dei momenti più significativi, ma (si badi bene) non necessariamente i più cruciali, della vita dei vari personaggi –in realtà, dietro questo procedimento compositivo dal rapsodico ma non casuale andamento cronologico, si affaccia la lezione di Virginia Woolf.

Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di rilevare, più che la dimensione temporale è quella spaziale che rappresenta un elemento basilare nella poetica del nostro autore.

100 Per il concetto di figura: cfr., E. Auerbach, Studi su Dante, trad. dal tedesco M. L. De Pieri Bonino, trad. dall’inglese D. Della Terza Milano, Feltrinelli, 2005; ivi, a p. 209 si legge: «L’interpretazione figurale stabilisce tra due fatti o persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche l’altro, mentre l’altro comprende o adempie il primo. I due poli della figura sono separati nel tempo, ma si ritrovano entrambi nel tempo, come fatti o figure reali». 101 Dopo avere ambientato le prime quattro Parti proprio in quello strategico 1860, snodo cruciale per la futura storia d’Italia, nella V si sarebbe soffermato nel febbraio del 1861 e con la VI nel novembre del 1862. Infine, con uno stacco imperioso, avrebbe ambientato la penultima Parte nel 1883 e posto la parola fine al suo romanzo, con l’ VIII, sconfinando nel nuovo secolo, nel mese di maggio del 1910.

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In Lampedusa, lo spazio acquista forma come segno ed espressione del suo sentire e della sua personale visione del mondo. Dopo essere stato uno snodo centrale nelle sue riflessioni sui meccanismi narratologici che soprassiedono alla composizione di un testo letterario, alla fine rivestirà un rilievo assoluto all’interno del romanzo, quale elemento peculiare per l’organizzazione e la significazione della materia narrativa.

Nel suo libro lo scrittore ha voluto ridurre persino «il tempo allo spazio»102, secondo la scelta programmatica, già codificata ad inizio dei Ricordi di voler dare «un’impressione globale nello spazio piuttosto che nella successione temporale». Questo gli ha consentito di tagliare il tessuto romanzesco in una serie di segmenti narrativi autonomi (da lui definite Parti), ben più flessibili dei capitoli tradizionali «unificati dalla ragione spaziale e poi montati in ordine cronologico»103. Una soluzione narrativa e compositiva dietro cui a mio avviso, pur con le dovute cautele, si avverte anche la suggestione degli streams woolfiani104.

Ma il vettore spaziale gioca un ruolo decisivo anche nelle significazioni del racconto gattopardiano.

Balza subito agli occhi, ad esempio, la stretta correlazione che lo scrittore ha creato tra i vari attanti del testo e i luoghi nei quali li ha chiamati ad agire105. Con un procedimento mutuato dal grande romanzo ottocentesco (da Balzac a Stendhal, suo vero nume tutelare), ma vivificato da una sensibilità tipicamente novecentesca, lo scrittore è riuscito a ottenere una perfetta aderenza ambiente/ personaggi106.

Di straordinaria modernità è il legame che il principe ha istaurato tra spazio e terra sicula (e, di rimando la sua storia). La Sicilia gattopardiana è essa stessa un

102 R. Luperini, Il Gran signore e il dominio della temporalità, cit., p. 137. 103 Ivi, p. 138.

104 Secondo Luperini, questa scelta gli consente una narrazione «costruita per montaggi di episodi e di frammenti, [dietro cui si avverte] l’influenza del modello verghiano di mastro-don Gesualdo, molto più operante in realtà di quello troppo ricordato dei Viceré», Id., Il Gran signore della temporalità, cit., p. 137.

105 Il legame non riguarda solo i protagonisti del libro, ma anche tante altre sue figure marginali, ma non di certo inessenziali per il procedere narrativo, come la prostituta Marianna, che vive in un «quartiere malfamato», Il Gattopardo, cit., p. 43.

106 Tra gli studi specifici su questo argomento, cfr. E. Iachello, I luoghi del Gattopardo, cit., p. 220 e seguenti.

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personaggio –e tra i principali– del romanzo e in virtù di ciò, i suoi luoghi e i suoi territori acquistano un ampio risalto narrativo.

Si pensi ad una tra le più celebri sequenze del libro, quando don Fabrizio Salina si reca nel suo osservatorio astronomico e dopo aver aperto una finestra della torretta indugia a osservare il paesaggio che gli si dispiega davanti agli occhi107. Per l’uomo che guarda dall’alto, la bellezza della sua terra è tale da lasciare senza fiato. Eppure, la contemplazione non è priva di inquietudine.

L’immagine più autentica della Sicilia, il suo correlativo oggettivo, è quella di un territorio ostaggio di un «sole violento e sfacciato»108, di un sole, sovrano assoluto e capriccioso, che condanna all’arsura la terra e le bestie, toglie peso alle cose, rende illusori spazi e distanze; ruba i desideri e il respiro agli uomini e al contempo intorpidisce i loro animi, sino a narcotizzarli. In questo crescendo immaginifico che ha il suo cuore d’ombra proprio nel «lievito forte del sole»109, Tomasi ritrova la radice dell’immobilismo atavico e servile che affligge la sua isola bellissima ed infelice110.

Non è questo l’unico elemento di modernità della lingua dei rapporti spaziali di cui si serve lo scrittore. Nel romanzo lo spazio viene anche utilizzato secondo valenze che oggi definiamo prossemiche111. Luoghi, ambienti, edifici e persino le suppellettili della fabula, sono concepiti quali elementi sociali che delineano

107 Il Gattopardo, cit., pp.55-59. 108 Ivi, p. 56

109 Ibidem.

110 Naturalmente, appartiene al Verga questa visione paesaggistica di una «spazialità immota e immutabile che sconfigge la temporalità, il divenire, la storia», come asserisce G. P. Biasin, ne Epifanie siciliane. Ideologia del paesaggio, in Dal «Novellino» a Moravia, a cura di E. Raimondi e B. Basile, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 181-205, a p. 202. Per un approfondimento sulla recezione e costruzione del paesaggio da parte degli scrittori siciliani, cfr. D. Marchese, Polisemia del paesaggio: dal Romanticismo all’Età moderna, in «Critica letteraria», XXXVIII, 2010, 2, pp. 226-237; Id., Il paesaggio siciliano: topos letterario o realtà, in «Rivista di studi italiani», XXIV, 2006, 2, pp. 18- 36.

111 Il termine prossemico venne coniato dall’ antropologo Edward T. Hall nei primi anni Sessanta. Il neologismo indicava inizialmente le relazioni di vicinanza nella comunicazione; in seguito il suo significato venne esteso a indicare lo spazio umano personale e sociale e la percezione che di essi ha l’uomo. Il testo di riferimento di E. T. Hall, diventato ormai un classico della semiologia dello spazio, è La dimensione nascosta, trad. di M. Bonfantini, Milano Bompiani, 1968 (19661)

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precisi campi di forza e «come apparati che esteriorizzano relazioni e gerarchie tra individui»112.

Come ci ha già suggerito Orlando, non bisogna mai perdere di vista il fatto che lo scrittore appartiene per nascita all’ aristocrazia. Ed è naturale, pertanto, che i luoghi preponderanti della mimesi romanzesca siano quelli di cui il narratore ha un’esperienza diretta. Tuttavia, in questo contesto, Lampedusa vi aggiunge qualcosa di suo. Nel romanzo esiste una precisa linea di demarcazione che separa e rende di fatto incomunicabili gli ambienti aristocratici da quelli che non lo sono.

Al centro della cartografia gattopardiana si accampa la dimora o palazzo nobiliare113, nella complessa accezione che lo scrittore vi attribuisce e per la quale dobbiamo senza dubbio richiamarci a Bachelard e alle sue teorizzazioni sulla

topophilie euphorique114. La dimora non ha nulla in comune con i fabbricati, i falansteri, le spelonche e i tuguri in cui vivono i comuni mortali115.

È per tale ragione che non ci attarderemo più del dovuto nella puzzolente baracca in cui vive zio Turi e che la giovane Marianna, la prostituta contadina, non schiuderà per noi le porte della sua miserabile spelonca, ma in attesa che don Fabrizio ritorni, rimarremo fuori, in strada, in compagnia di un discreto cocchiere.

Saremo invece rapiti, come il buon Chevalley, dalla fuga di stanze, dai giochi di luce e dagli arredi del palazzo di Donnafugata, luogo di meraviglia in un paese che nelle prime luce dell’alba, quando il funzionario va via, si rivela in tutta la sua angusta e miserabile pochezza; o dalla vetusta, anche se fragile bellezza di villa Salina, dinanzi a cui si inchinano disorientati i soldatini graduati condotti sino a lì

112 A. Carta, Letteratura e spazio, cit., p. 70. Per uno studio più approfondito sul legame spazio/società, cfr. N. Elias, La società di corte, trad. G. Panzieri, Il Mulino, Bologna, 1980 e, naturalmente, Edward T. Hall, La dimensione nascosta, cit.

113 Tomasi stesso nei Ricordi parla di un «senso arcaico e venerabile della parola» “casa”, ivi, p. 438 e, specie a pp. 437-447, disvela l’ampia area di associazioni affettive che suscita in lui il lessema dimora . Di grande rilievo e suggestione, il paragrafo Semantica della dimora a pp. 23-30, a firma di G. Rubino in Dimore narrate, cit., nel quale si ricostruisce una fenomenologia della dimora nel romanzo moderno. Per un approfondimento di queste tematiche, si rimanda al paragrafo della Tesi intitolato Territorio e Immaginario, in Spazi Topografici.

114 G. Bachelard, La poetica dello spazio, a cura e trad. di E. Catalano, Bari, Edizioni Dedalo, 1975. 115 Per Gaston Bachelard «la casa natale suscita soltanto cristallizzazioni euforiche», in Dimore

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da Tancredi, a rendere –loro, piemontesi, i nuovi padroni dell’isola–, un silenzioso