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Il lento attraversamento del Gattopardo nelle sue molteplici stratificazioni strutturali permette di portare alla luce una caratteristica essenziale del romanzo: a livello di fabula storica è possibile riscontrare nel testo lampedusiano alcune presenze basilari dell’800 letterario europeo.

Numerose opere narrative storiche del XIX secolo, dalla Chartreuse ai

Viceré, tanto per citare due romanzi che si collocano agli antipodi all’interno dello

spettro ideativo tomasiano, si presentano come modelli attivi nel Gattopardo. È possibile coglierne la presenza a livello di temi trattati, di sequenze narrative, di rispondenze del sistema dei personaggi, di repertorio citazionale. A volte operano più sotterraneamente, offrendo spunti e suggestioni che Lampedusa declina nell’ordito sintattico della sua prosa o utilizza come acquisizioni lessicali. Accompagnano, comunque, la lenta fase di ideazione dell’opera e la sua febbrile gestazione.

Stendhal si impone tra le presenze più significative del romanzo, anche in ragione della preminenza che il principe gli accorda nel suo personale canone. Le opere storiche del maestro francese oggetto, da parte del principe, nei suoi scritti sulla letteratura, di una ricognizione teoretica minuziosa ed empatica, hanno probabilmente avuto un loro peso nel far decidere il nostro autore a provarsi nella stesura di un romanzo. Forse, mentre il narratologo si stava appropriando dei più piccoli meccanismi dell’opera-orologio, il principe cominciava ad accarezzare il sogno di mettere per iscritto un romanzo proprio82.

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Con Federico De Roberto, invece, il principe condivide l’esigenza di rappresentare e condannare, attraverso l’artifizio letterario, quel particolare momento della storia d’Italia in cui al disastrato regime borbonico subentra la dominazione sabauda. Entrambi compongono dei romanzi antistorici e antirisorgimentali e lo fanno da scrittori siciliani, scegliendo cioè di assumere la loro terra come osservatorio privilegiato sul mondo. La posizione ideologica dei due autori, pur nella comune condanna al processo unitario, non potrebbe però essere più diversa. Poco dopo la stesura della sua opera, lo stesso Lampedusa avrebbe preso le distanze dalle intenzioni libellistiche dello scrittore catanese e ribadito la sostanziale divergenza del proprio punto di vista83.

Ma anche Honoré de Balzac è presente nella strutturazione del Gattopardo. Secondo il principe, Balzac non possiede il genio del console e nelle sue opere non riesce mai ad eguagliarne quella potenza evocativa che consente a Stendhal di «resuscitare l’atmosfera sociale della Restaurazione». Tuttavia, malgrado i limiti che gli vengono riconosciuti, il suo insegnamento ritorna chiaramente nell’«effetto film» di tante scene gattopardiane; e nella meticolosità minuziosa con cui nel romanzo vengono descritti personaggi, ambienti e cose, di modo che certi particolari rimangano ben impressi nella memoria e il lettore possa vederli disposti esattamente come se si trovassero sulle tavole di un teatro di posa o, per usare le sue stesse parole, «come su una scena»84.

Va però scomodato anche un altro un altro autore particolarmente apprezzato dal principe, il Lev Tolstoj di Guerra e Pace. Il Gattopardo non possiede la straordinaria complessità d’architettura del modello russo. Nel romanzo non trovano spazio l’ampiezza di disegno e l’epicità che spirano nelle pagine del capolavoro tolstojano. Inoltre, a Lampedusa non interessa descrivere l’uomo nel tempo, come invece fa il russo. La sua unica cura, piuttosto, al pari di tanti grandi esponenti del modernismo novecentesco, è quella di isolare, nel flusso dei giorni del vivere,

83 «In quanto ai «Viceré» il punto di vista è del tutto differente», Lettera a G. Lajolo, cit.. Dell’argomento si è ampiamente occupato V. Spinazzola, Il romanzo antistorico, cit., pp. 3-49. 84 Sul rapporto Tomasi-Balzac, si vedano i giudizi espressi dal principe, in Lettere a Licy, cit., pp. 87- 89.

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alcuni momenti significativi, utili ad aggiornare, di volta in volta il diagramma della

febbre dell’umano esistere.

Tuttavia anche in Guerra e Pace viene offerto un poderoso affresco dell’aristocrazia russa durante l’epoca napoleonica e la mimesi romanzesca fissa sulla pagina uno di quei momenti di passaggio destinati a cambiare radicalmente il mondo sino allora conosciuto. Anche Tolstoj, inoltre, è un uomo di nobili natali: la rappresentazione narrativa che offre della cosmogonia nobiliare viene fatta dall’interno. Narrata, cioè, da un esponente di quella stessa classe sociale raffigurata nel romanzo e della quale conosce, proprio in virtù di ciò, assai bene le consuetudini, i riti, i vezzi; i difetti congeniti.

Non meno significativa, infine, è la lezione letteraria che Lampedusa ricava dai romanzi di Gustave Flaubert, e al centro della cui poetica vi è ciò che Auerbach ha definito il «realismo naturale», ovvero l’esigenza di «far parlare le cose», necessità di cui non è certo immune la scrittura tomasiana. L’opera di questo scrittore viene assunta quale ipotesto irrinunciabile del Gattopardo, come dimostrano certe costruzioni per somiglianza o taluni contesti situazionali affini, già ben rilevati dalla critica85.

Accanto a Madame Bovary, nel romanzo centrato sull’uomo-gattopardo è indubbiamente presente anche L’educazione sentimentale, l’altro capolavoro del grande autore francese. In questo libro viene a cadere un presupposto essenziale del romanzo ottocentesco. Si impone, difatti, una consapevolezza nuova: la Storia ha già smesso di essere magistra vitae per i suoi personaggi, è divenuta una semplice mistificazione. Per chi si trovi ad osservare sotto la sua fragile superficie, è possibile scorgere solo il caos86.

Naturalmente l’elenco di opere storiche presenti come ipotesto nel

Gattopardo, potrebbe allargarsi a dismisura, considerata la raffinata anagrafe

culturale del principe. Ma già questi pochi nomi bastano a supporto della tesi che qui si vuole sviluppare.

85 U. Musarra-Schroder, Memoria letteraria e modernità, cit. 86 Cfr. R. Luperini, Flaubert, Verga e il 1848, cit., p. 147-156 .

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Con alcune dei romanzi degli autori indicati, il testo del principe condivide l’idea di un genere romanzesco misto di eventi reali e invenzione. Di una fabula che possa essere anche un contenitore storico, in grado di delineare attraverso l’istanza narrativa ciò che il principe ha definito «la visione e l’odore » di un’epoca passata. È pur vero, però, che la parabola artistica di ciascuno di questi scrittori giunge a piena maturità e si consuma al di qua della linea di confine del Novecento. Sono autori che appartengono ad un secolo precedente a quello in cui il principe compone la sua opera. Eppure non bisogna lasciarsi ingannare.

Attraverso le loro opere anticipano temi e soluzioni formali di cui si approprieranno gli scrittori delle generazioni successive. Il romanzo moderno è inconcepibile senza questi apporti. Molti anni prima che Lampedusa ponesse mano alla sua opera, i protagonisti della grande stagione modernista ottocentesca si erano fatti interpreti della diversa visione di vita che si stava imponendo nel loro tempo. E avevano cominciato ridefinire la messa in romanzo della Storia, i congegni formali sottesi alle fabulae miste e i costituenti formali specifici dell’antico genere.

Una nuova epistemologia della Storia, secondo la quale s’era ormai spezzato il legame tra sfera pubblica e privata, tra l’individuo e la storia maior, imponeva un mutamento sostanziale nei “modi” della rappresentazione romanzesca.

Non era venuto meno soltanto il presupposto di un processo storico inteso come un continuum, ma anche il concetto di Storia come luogo di significato. Gli avvenimenti pubblici destinati a riempire le pagine dei libri di scuola, potevano ancora costituire una cornice narrativa insopprimibile, ma andava via via allentandosi il raccordo tra struttura ed intreccio che sino ad allora era stato assicurato (la Woolf, ad esempio, nel suo “romanzo storico” Orlando avrebbe fatto a meno di sovrapporre una cornice pubblica ai fatti privati).

In alcuni dei romanzi storici più significativi del XIX secolo gli scrittori cominciano ad abituarci ad un sostanziale capovolgimento dell’antropologia romanzesca. La Storia viene ormai intesa come un telos strappato, il cui disegno risulta nei fatti incomprensibile. Si fa inoltre strada l’amara consapevolezza che regole dell’universo (se pure esistono) sfuggano all’uomo. L’arte del racconto non

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può non tenere conto di queste nuove acquisizioni epistemologiche. È costretta a mutare tempi, ritmi e modalità rappresentative.

Anche la fabula gattopardiana partecipa a questa rivoluzione, sebbene si presenti come un’opera attraverso la quale la «destrutturazione e cancellazione del genere [venga] attuata silenziosamente»87. Anche Lampedusa offre, sulle soglie dell’età moderna, una sua originale declinazione della narrazione che abbia per oggetto il passato e, con il Gattopardo, vi introduce in maniera assolutamente consapevole, numerosi elementi di novità.

La mimesi narrativa non può più offrire il resoconto oggettivo dei fatti; dare ampio rilievo ai grandi eventi. Al contrario essa poggia su accadimenti marginali; e si concentra sui pensieri segreti nutriti dai personaggi, sulle pulsioni profonde che squassano i loro cuori. Uno dopo l’altro cadono i requisiti fondamentali dell’antico genere: la Storia viene sistematicamente ridotta a poca cosa e soggettivizzata; i personaggi pubblici demitizzati; non esiste più l’avventurosità dell’intreccio.

In realtà, il nostro autore è uno di quei pochi scrittori capace di muoversi a proprio agio tra gli avamposti della modernità dell’Ottocento e i presidi dell’avanguardismo e del modernismo del Novecento letterario.

Trae dai classici dell’Ottocento europeo un modello di scrittura limpida ma sapiente nelle sue strutture prosastiche; minuziosa nella resa scenica di cose e uomini; fedele al principio dell’attualizzazione dell’istanza narrativa storica. Tuttavia è egualmente attento alla cantabilità della parola, all’intrinseca poeticità dei suoi suoni. Porta sulla pagina l’intensità dei versi di un Eliot, di un Montale; e l’insegnamento di quel grande lirico che era il cugino Lucio Piccolo. Inoltre, il racconto non procede inseguendo la consequenzialità degli eventi, ma come gli hanno insegnato maestri quali Woolf, Svevo, Proust, Joyce, lo fa attraverso frammenti di immagini; ritagliando nel flusso indistinto del vivere dei singoli momenti significativi .

87 E. Paccagnini, La fortuna del romanzo storico, in I tempi del rinnovamento, cit., vol. I, pp. 79-133, a p. 94. Molti degli spunti presenti in questo paragrafo mi sono stati suggeriti oltre che dai saggi raccolti nei due volumi de I tempi del rinnovamento, cit, anche da quelli presenti nel numero monografico di «Moderna», intitolato Il romanzo e la storia, cit.

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E assolutamente moderni sono l’umoralità dei personaggi; la filosofia della storia e le categorie gnoseologiche sui quali poggia la composita struttura del romanzo; il sentimento del tempo che circola nelle pagine di questo libro88 e la sua complessa configurazione spaziale. Particolare attenzione dovrebbe poi essere riservata all’estrema permeabilità del codex storico utilizzato da Lampedusa, permeabilità che ne consente il riassorbimento entro una pluralità d’altri codici di riferimento e che lo fa essere, in maniera inequivocabilmente moderna, fabula mista di storia ed invenzione, opera politica ed ideologica, ma anche romanzo autobiografico, lirico, esistenziale.

Il principe siciliano è uno scrittore «tanto decadente e ottocentesco, quanto esistenzialista e novecentesco»89. Così, se si volesse continuare ancora nel gioco delle rispondenze letterarie, bisognerebbe spostarsi in avanti nel tempo e accostare Il

Gattopardo anche a taluni grandi classici d’argomento storico del ’900 letterario: dai Buddenbrook di Thomas Mann alla Marcia di Radetzky di Joseph Roth -tra gli

esponenti di punta della cultura mitteleuropea e sicuramente il più grande cantore della finis Austriae-90.

Oppure, bisognerebbe recuperare la lezione che Lampedusa ha ricavato da I

vecchi e i giovani, uno dei romanzi più bistrattati ma di certo non meno significativi

di Pirandello91. Il richiamo al geniale conterraneo esula da un semplicistico accostamento tra i loro romanzi antirisorgimentali. Il pirandellismo del principe si riscontra ad un livello testuale superiore e trova, secondo me, uno dei suoi apporti

88 Sempre in bilico tra la vorticosa la fuga delle stagioni e l’immobilità rasserenante (o semplicemente glaciale, leopardianamente indifferente) degli immensi spazi siderali.

89 N. Tedesco, Le due nascite, in «Nuove Effemeridi», cit. p. 96-98, p. 97.

90 L’accostamento allo scrittore austriaco si deve a Magris, in Lontano da dove. J. Roth e la

tradizione ebraico-orientale, Torino, Einaudi, 1977, cap. III. Di un comune retroterra ideologico tra i due autori, si occupa anche N. Zago, ne I Gattopardi e le Iene, cit., pp. 39 e segg.

91 A proposito di quest’opera, Enzo Siciliano, con pertinenza di critico e sensibilità di scrittore scrive che «I vecchi e i giovani è anche il romanzo più autobiografico di Pirandello, quello dove possibile leggere in trasparenza quali furono i problemi che lo coinvolsero nell’affrontare la realtà siciliana e il mondo di fuori, l’Europa che egli conobbe da studente in Germania. Proprio nella rappresentazione di una crisi sociale e politica tanto grave è possibile rintracciare i germi, le motivazioni esistenziali del relativismo che definisce poi lo scrittore nel complesso della sua opera», Id., Pirandello, i romanzi, il fascismo, in Luigi Pirandello. I Romanzi, Milano, Edizioni Mondolibri, vol. I. 2001, pp. IX-XXI, a p. XX. Ma su Pirandello, cfr. l’Introduzione di G. Macchia, A Pirandello narratore, in Luigi Pirandello. Opere, Milano, Mondadori («I Meridiani»), 1975, voll. I-II, pp. XIII-LII.

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più alti nel tema dell’inautenticità delle relazioni sociali, su cui poggia l’intero sistema dei rapporti umani nel romanzo del principe.

Quasi tutti i legami del Gattopardo sono intaccati da questo vizio di fondo. La maggior parte dei suoi personaggi mentono, dissimulano, si nascondono. Le eccezioni sono poche ed investono, di certo non casualmente, dei popolani: Nofrio Rotolo, don Ciccio Tumeo, padre Pirrone, figure a cui lo scrittore regala un abbacinante candore. Al contrario, nel microcosmo nobiliare, o comunque tra coloro che occupano i vertici della piramide sociale, l’arte della dissimulazione sembra una virtù irrinunciabile.

Tancredi stesso si assume il compito di educare la sua promessa sposa a questo valore, di modo che possa perdere presto la sua aura di «provincialotta». Alla fine, ci viene confermato che «le lunghe visite al palazzo di Donnafugata avevano insegnato molto ad Angelica»92. Non è un caso, inoltre, che l’ideologema pirandelliano di “maschera” venga associato alla figura del re borbonico. Durante il breve colloquio tra lui e don Fabrizio, il principe sa bene che ad un certo momento vi sarà un repentino cambio di scena: «Dopo, però, la maschera dell’amico veniva posta da parte e si assumeva quella del Sovrano Severo»93.

Altri esempi ci vengono forniti dai rappresentati di quei nuovi ceti destinati a soppiantare la moribonda aristocrazia isolana: da Russo, il soprastante furbo e rapace; dall’insospettabile Ferrara, il contabile di casa Salina; e, naturalmente, da Sedàra, il vero antagonista del principe di Salina, il cui sguardo soppesa ogni cosa e ogni persona, ne valuta subito il prezzo d’acquisto.

Ciascuno di costoro mente per necessità, per tornaconto, per consuetudine; per educazione. Oppure, come nel caso dell’uomo-gattopardo, per sopravvivere.

Con don Fabrizio, Lampedusa ci regala uno dei personaggi più intensi della letteratura novecentesca. Una creatura complessa e condannata, dal proprio spirito eletto, a una solitudine immedicabile. Sua somma cura è quella di celare agli altri la propria inquietudine; o di dissimulare la superiore coscienzialità del suo animo e le

92 Il Gattopardo, cit., pp. 213-214. 93 Ivi, p. 35.

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motivazioni autentiche del proprio agire. Come accade per tanti personaggi pirandelliani, anche il principe di Salina è costretto a schermare i propri pensieri dietro l’abile esercizio di un illusorio gioco d’apparenze.

Egualmente significativo è il fatto che il Gattopardo sia un romanzo poco parlato. All’ingombrate presenza fisica dell’uomo-felino, fanno da contraltare i silenzi a cui egli spesso ricorre. Don Fabrizio rifugge il dialogo con i suoi pari. Rigetta i lemmi stanchi e falsi di una lingua destinata a morire assieme alla componente sociale che ad essa si è affidata. Al contempo, malgrado assicuri sempre la propria presenza nelle occasioni mondane più importanti (il ballo a palazzo) o politiche (le udienze a corte), rimane isolato nei propri pensieri, immerso nei suoi malumori. Chiuso in un proprio bozzolo inaccessibile, si sottrae al tempo collettivo, rituale, della sua casta94.

Alla fine, ciò che il mondo conosce di lui, sono soltanto i suoi proverbiali scatti d’ira, l’eccentricità del carattere, la prepotenza inoffensiva ma ottusa dei suoi capricci improvvisi; la sua passione per le belle donne o la caccia. Il principe di Salina recita davanti al pubblico che gli si accalca attorno un rosario di cose consuete: parole, gesti, atteggiamenti riconducibili a uno schema prevedibile, che rimanda, in maniera inequivocabile al privilegio di classe; all’alterigia bizzosa del nobile. E nessuno, neppure Tancredi ha accesso allo spazio interiore di questo personaggio, uno spazio oscuro quanto la più buia tra le segrete, e dentro il quale convivono in lotta perpetua, la fragilità e l’umor nero e la pepita d’oro di un’intelligenza inconsueta.

Il ricchissimo elenco di ipotesti storici riscontrabili nel Gattopardo è facilmente comprensibile col fatto che il romanzo veda la luce nell’ultima stagione di un’esistenza interamente dedicata al piacere insaziabile della lettura. Ciò giustifica la molteplicità d’echi intertestuali, ma non li spiega se non ci si rapporta il tutto all’ineffabile magistero dell’arte.

94 M. Bachtin asserisce che «l’uomo pubblico vive e agisce sempre nella collettività», Id., Le forme

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L’indagine comparativa ha un senso se non si sofferma sui debiti che Lampedusa avrebbe contratto nei confronti dei modelli-fonte, ma se giova a rimarcare gli elementi di originalità del textus gattopardiano. L’autore ritrova la propria grandezza nello scarto che attua rispetto all’ipotesto di riferimento e nell’atto liberatorio in cui, attraverso la pratica scrittoria, realizza freudianamente la soppressione della figura paterna.

Uno spoglio comparativistico può lasciare affiorare i tratti in comune tra le opere in oggetto e ricostruire, almeno in parte, il puzzle di analogie e rispondenze di cui lo scrittore si è servito per costruire la sua opera. Ma non potrà mai rendere conto al lettore dello spazio di seduzione che esercita per lui quel preciso romanzo . Alla fine ci si accorgerà che anche nel Gattopardo lo scrittore si colloca sempre al di là o al di qua della fonte che gli ha offerto ispirazione e che i confini entro cui un’opera viene costruita, si allargano a dismisura oltre ai modelli d’appartenenza. Come in un gioco di specchi, l’arte, la grande arte, si risemantizza e moltiplica all’infinito se stessa.

2.9RI-SCRITTURE

Con la cronaca racconto della Storia della colonna infame e il saggio di teoria narrativa Del romanzo storico consegnato alle stampe un decennio dopo, nel 1850, Manzoni portava a compimento la sua personale palinodia nei confronti dei componimenti misti95. Il grande scrittore lombardo era ormai approdato alla consapevolezza che fosse impossibile proporre una declinazione congiunta di vero storico e invenzione.

Eppure, la storia letteraria, seguendo il solco da lui stesso tracciato con la «Quarantana», lo avrebbe in parte smentito. Forse, ai nostri giorni «il romanzo non sembra più in grado di imporsi come modello di scrittura all’attenzione degli storici.

95 Come scrive C. Riccardi, la forma narrativa nuova della Colonna infame «sfugge a una sicura catalogazione nei generi letterari, romanzo, saggio storiografico-giuridico, racconto-inchiesta», Id., Introduzione a Storia della colonna infame, Milano, Mondadori, 1984, p. V. Per ulteriori approfondimenti cfr. A. Manzoni. I Promessi sposi (1827 e 1840); Storia della Colonna infame, a cura e Introduzione di S.S. Nigro; collaborazione di E. Paccagnini per Storia della Colonna infame, Mondadori, («I Meridiani»), 2006, voll. I-II.

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Ma contrariamente alle previsioni di Manzoni, contribuisce ancora a formare e a conservare la memoria storica, perché ha mantenuto i caratteri originari di storiografia di seconda istanza e perché, in quanto romanzo, continua ad avere un pubblico più vasto»96.

La vitalità del genere, nelle sue varie metamorfosi, non ha mai conosciuto eclissi totali lungo il meridiano della cultura occidentale, né tanto meno in Italia. Di sicuro il grande successo di pubblico del romanzo lampedusiano non ha avuto un ruolo marginale all’interno delle strategie di vendita decise dal mercato librario .

Chi è venuto dopo il Gattopardo ha dovuto fare i conti con un’opera ingombrante che si poteva amare o detestare in egual misura, ma mai essere ignorata. Sulla soglia dell’età moderna, il principe scrittore offriva una sua geniale declinazione dell’antico genere : proponeva un modo diverso di leggere la Storia e di rappresentarla attraverso il plot romanzesco. Contribuiva a cambiare lo statuto