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II. IL GIARDINO DEL PRINCIPE NUOVE IPOTESI INTERPRETATIVE SULLA PARTE

2.3 ESERCIZI SUL CRONOTOPO

I saggi di Ulla Musarra-Schroeder, che sono rimasti tra l’altro senza seguito, pur offrendo un contributo essenziale alla rilettura dell’episodio del soldato non esauriscono l’investigazione di un segmento narrativo di grande rilievo e, soprattutto, lasciano irresoluti alcuni quesiti importanti73. È possibile, invece, inquadrare l’episodio in una nuova prospettiva di ricerca, che renda conto sia del ruolo preponderante che esso assume nell’economia dell’opera, che della reale funzione che è chiamato ad assolvervi.

Lampedusa ha voluto creare, col giardino del principe un referente topologico paradigmatico essenziale nel Gattopardo: esso non è un semplice

71 Il Gattopardo, cit., pp. 32-33.

72 «Nel cronotopo si allacciano e si sciolgono i nodi dell’intreccio. […] nel cronotopo gli eventi d’intreccio si concretizzano, si rivestono di carne, si riempiono di sangue»: M. Bachtin, Le forme del cronotopo, cit., p. 397. A. Pioletti scrive: «Cogliere il cronotopo di un testo significa, in ultima istanza andare al cuore del suo statuto, che si definisce certo anche per altre componenti – stilistiche, retoriche, metriche, tematiche – ma da quello trae “il terreno essenziale per la raffigurazione degli eventi”, come suggerisce Bachtin», Id., Esercizi sul cronotopo. «Come una lucertola sotto una pietra» in «Le forme e la storia», II, 2009, 2, pp.191-202, a p. 191.

73 In anni successivi N. La Fauci ha soffermato la sua attenzione non tanto sul segmento cronotopico quanto sul personaggio-soldato che ne è il protagonista e in cui rileva la natura di «vittima sacrificale»: Id., Lo spettro di Lampedusa, cit., pp. 66-67. Sulle figure di cui si compone il bestiario gattopardiano e su ruoli e funzioni che sono chiamate a rivestire, si rimanda al cap. Morfologia del solidarismo di questa tesi.

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«spazio-ambiente» quanto piuttosto uno «spazio-struttura», un luogo significante del

textus74 .

Al suo interno, ogni dettaglio è stato concepito per esaltare la lugubre epifania del ritrovamento e ogni singolo particolare è stato pensato in relazione a un’idea oppositiva vita/morte, nella duplice e complessa accezione che questo autore, impregnato di psicanalisi, le attribuisce. Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che nella sua visione si alternano sia l’immagine della morte concepita come disfacimento, rovina e distruzione, che quella della morte intesa come una plaga di serenità a cui gli uomini anelano dopo le immani fatiche del vivere.

Nel labirinto-giardino rivisitato dalla memoria, don Fabrizio viene raggiunto dal Tempo e dalla certezza della precarietà della condizione umana. Nello stesso istante, il «pupazzo» sventrato dinnanzi a cui si arresta d’improvviso la serena passeggiata del nobiluomo e del cane rappresenta, nel romanzo, la brutale irruzione delle vicende storiche all’interno di quello spazio sacro che è la dimora palermitana del principe di Salina. Sino ad allora sospesa in una sua bolla di atemporalità, la villa aveva assicurato la sua protezione alla casata dei Gattopardi. Era stato uno di quegli inviolabili templi nei quali l’aristocrazia aveva potuto –anacronisticamente– continuare a celebrare se stessa.

Separato dal mondo di fuori dalle possenti mura perimetrali di questo maestoso palazzo gentilizio, lo scettico e disincantato don Fabrizio si era quasi potuto illudere che la situazione politica fosse meno «tesa di quanto non apparisse nella calma distaccata di villa Salina» e aveva potuto ridurre lo scontro sempre più incalzante tra gli oppositori delle varie fazioni ad una semplice «zuffa» necessaria per il controllo del territorio75.

Si era persino potuto ripetere che durante l’avvicendamento di nuove e vecchie dinastie regnanti, sebbene «molte cose sarebbero avvenute, […] tutto sarebbe stato una commedia, una rumorosa, romantica commedia con qualche

74 Per queste conclusioni cfr. G. Rubino, Per giungere alla dimora, in Dimore narrate, cit., p.16; e A. Carta, Letteratura e spazio, cit., p. 24. In un caso come questo, possiamo però anche prendere in prestito formula gremasiana e affermare che il giardino rivesta una «funzione attanziale».

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macchia di sangue sulla veste buffonesca»76. Alla fine, tutte quelle vicende, osservate a distanza di tempo e col dovuto distacco si sarebbero rivelate null’altro che delle «carnevalate […] sciocche e sciape» 77.

Invece ciò che accade nel giardino della sua villa, il significato di questa esperienza, è destinato a mutare ogni equilibrio preesistente e a spazzare via le illusioni del principe. Villa Salina perde il suo valore cronotopico di fortezza inespugnabile. Lo perde nell’istante in cui smarrisce la sua primigenia innocenza e si apre ad accogliere docilmente dentro di sé quel morto sconosciuto, lasciandosi così contaminare dal Tempo lineare degli uomini e dalla loro Storia.

Da questo momento in poi, l’acronìa temporale costituita dal ritrovamento del morto, diventa l’asse narrativo attorno a cui ruota l’intera Parte prima. Nei fatti, «l’irruzione di questo muto corpo estraneo è l’incidente che […] innesca l’azione» del Gattopardo78.

Nel romanzo troviamo scritto che :

L’immagine di quel corpo sbudellato riappariva però spesso nei ricordi come per chiedere che gli si desse pace nel solo modo possibile al Principe: superando e giustificando il suo estremo patire in una necessità generale79.

Ma la funzione di quella «cosa spezzata» e dello «spettacolo di sangue e di terrore» che reca con sé, non è semplicemente quella di tormentare l’animo irrequieto del gigante80.

76 Ivi, p. 53. 77 Ivi, p. 68.

78 A. Cedola, Il più crudele dei mesi. Don Fabrizio, Garibaldi e la malinconia, in Il racconto del

Risorgimento nell’Italia nuova tra memorialismo, narrativa e drammaturgia, a cura di T. Iermano e P. Sabatino, Napoli-Roma, Edizioni Scientifiche italiane, 2012, pp. 311-323, a p. 312. A sua volta, N. Zago rileva che l’episodio del soldato che «in un romanzo dell’Ottocento sarebbe stato, probabilmente, un catalizzatore d’intreccio, qui allude, certo, al contesto storico-politico, ai disordini palermitani di «un mese fa» [...], ma poi serve, soprattutto, a introdurre il tema della morte da cui l’intero libro è intimamente percorso», Id., Tomasi di Lampedusa, cit., p. 64

79 Il Gattopardo, p. 32. In questa, come nelle altre due successive citazioni dei brani sul soldato, il corsivo è della sottoscritta.

80 Ivi, p. 60. La frase è riferita ai carnaggi che vengono offerti al principe da suoi affittuari e la cui vista lo porta a ripensare al soldato morto. Come dimostra questa cruda sequenza narrativa, dunque,

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E il suo ruolo non è quello di uno snodo strutturale essenziale del racconto, ma autosufficiente, conchiuso in sé stesso, come possono esserlo l’incontro tra il principe e Pietro Russo o la sua visita a Marianna. Il segmento cronotopico del soldato è molto di più, giacché entra «esso stesso a costituire il mondo dell’opera»81.

Come ci accingiamo a dimostrare, tocca a questo episodio mettere in moto l’intreccio della fabula. L’analessi, difatti, lungi dal rallentare il procedere della narrazione, le imprime una brusca accelerazione. Servendosi di vari segmenti iterativi e di diverse connessioni testuali, l’autore crea, inoltre, una stretta correlazione sintagmatica tra la lugubre epifania del ritrovamento e altri momenti centrali di questa parte iniziale del testo.

Si rilegga la VIII microsequenza, snodo cruciale dell’intero romanzo, visto che accoglie la celebre affermazione di Tancredi sulla necessità di assicurarsi che tutto cambi, se si vuole che nulla, realmente, muti.

Il ragazzo ha appena annunciato allo zio il suo proposito di volere raggiungere i rivoltosi per unirsi a loro nel «grande duello […] Contro Franceschiello Dio guardi»82. È mattino; il principe si è appena sbarbato. Ma il nipote ha il fare febbricitante di chi non può indugiare oltre e si è già vestito per l’occasione: ha addosso una tenuta da caccia che ostenta come fosse una divisa militare. Don Fabrizio quasi lo prende in giro per quel suo abbigliamento del tutto fuori luogo, da «ballo in maschera» (torna spesso, in questo autore l’accostamento, guerra/carnevale. È evidente che si serva del contrasto tra i due termini per ottenere nel lettore un tangibile effetto di straniamento).

L’eco del rimprovero non si è ancora spento nell’aria che subito nella mente del principe, che ha avocato a sé il ruolo di padre putativo nei confronti del giovane Falconieri, balena l’immagine di

Lampedusa non ha mai sospeso il suo giudizio sulla storia e contrariamente a quanto si è indotti a pensare ad una lettura superficiale dell’opera, condanna con vigore la cieca violenza degli uomini. 81 A. Manganaro, La fiaba del figlio del re di corona e le partenze senza ritorno dei Malavoglia, in «Le forme e la storia», III, 2010, 2, pp. 145-160, a p. 150.

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Una cruda scena di guerriglia, schioppettate nei boschi, ed il suo Tancredi per terra, sbudellato come quel disgraziato soldato 83.

Più avanti, nella XII microsequenza leggiamo che nel momento in cui don Fabrizio va a guardare i “carnaggi” che gli hanno portato due suoi affittuari, trova tra essi anche

sei agnellini, gli ultimi dell’annata, con le teste pateticamente abbandonate al di sopra della larga piaga dalla quale la loro vita era uscita poche ore prima; anche i loro ventri erano stati squartati e gli intestini iridati pendevano fuori. “Il Signore abbia l’anima sua” pensò ricordando lo sbudellato di un mese fa84.

Il ricordo del cadavere stende, dunque, la sua lunga ombra anche sino all’innocuo atto di sudditanza dei famigli che si recano al Palazzo per assicurare provviste alle dispense di casa Salina.

Non è un caso che nel Gattopardo il senso di morte investa anche la sfera del cibo oltre a quella del sesso85. Sia l’uno che l’altro sono delle presenze costanti e strutturanti del romanzo. L’imminenza della fine che domina sin dalle prime pagine di questo capolavoro, è ottenuta dallo scrittore anche attraverso una solida e imprevedibile rete di rispondenze tra questi «antichi vicinati»86.

Nel romanzo, il sensuale gigante, così suscettibile alle voglie del suo grande corpo, così pronto ad ascoltare i richiami del desiderio e a concedersi al piacere, in realtà non vive un rapporto sereno né col cibo87, né tantomeno con le donne. Stella,

83 Ivi, p. 47. La microsequenza occupa le pp. 46-48. 84 Ivi, pp. 61-62.

85 In un altro punto del Gattopardo si legge: «Lasciamo […] che il coltellaccio del cuoco trituri la carne di innocenti bestioline», ivi, a p. 59.

86 Per questo concetto e, in genere, per un ulteriore approfondimento sui “vicinati”, cfr. M. Bacthin,

Estetica e romanzo, cit., pp. 231-405.

87 Sul letto di morte, don Fabrizio paragona il desiderio di sonno che lo invade a un desiderio «altrettanto assurdo quanto mangiare una fetta di torta subito prima di un desiderato banchetto», Il Gattopardo, cit., p. 237.

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la moglie e la contadina Marianna, l’ultima delle sue amanti in ordine di tempo, rappresentano i poli opposti di una sessualità inibita remissiva, specie se paragonata a quella sfacciata del nipote88. Il quadro si complica ulteriormente con l’irruzione in scena di Angelica. Don Fabrizio si macchia di un peccato ancora più grave quando si sorprende a desiderare la giovane e bellissima promessa sposa del “figlio” Tancredi 89.

Al di là di queste relazioni sentimentali dalle geometrie imperfette e cariche di sottesi sensi di colpa, nel disegno complessivo dell’opera il piacere fisico del sesso e le pulsioni di morte mettono sempre in evidenza una radice comune. Basti pensare al rilievo che assume in Lampedusa, in limine mortis, la presenza femminile. La tenerezza della femmina-madre si ribalta in un’immagine opposta: pure in questo autore come accade in Leopardi, il custode messo a guardia dell’Ade è una figura di donna.

Ma dicevano del cibo. La medesima “vicinanza” con il sonno eterno contamina nel romanzo anche il nutrimento di cui deve alimentarsi l’uomo e i suoi raffinati rituali. L’arte del cucinare, dell’imbandire una tavola, del mangiare non sono mai nell’opera dei momenti fine a se stessi.

Ad esempio, lo spunto per un primo, impietoso ritratto di un mondo morente qual è quello aristocratico è offerto allo scrittore dalla scena di un pasto serale a villa Salina. Lo sfarzo, ancora pretenzioso ma apparente con cui ci si appresta alla cena, riflette appieno il «fasto sbrecciato che era lo stile del Regno della Due Sicilie» in quel frangente storico e riporta, dunque, alla luce il contrasto impietoso con la «munificenza regale» di un tempo90. Né può sfuggire che l’ombra lunga della morte si estende persino sulla ricca tavola dei Ponteleone, imbandita con delizie di ogni sorta. Difatti, «la sofferenza delle aragoste lessate vive o delle beccacce sventrate

88 Lungo la strada che lo conduce da Marianna, il fulvo gigante riflette su uno «stimolo sensuale che lo induceva a rivoltarsi contro le costrizioni che i conventi incarnavano». Si riconosce, inoltre «un peccatore […], doppiamente peccatore, dinanzi alla legge divina e dinanzi all’affetto umano di Stella», Il Gattopardo, cit., p. 42.

89 Nel Gattopardo le fantasie incestuose del principe trovano spazio sia a pp. 104-105; che a p. 132. 90 Ivi, p. 37. Non dimentichiamo che in questa IV microsequenza (pp. 37-39), il rituale della cena si conclude con la decisione del principe di recarsi dall’amante. Ancora una volta, dunque, cibo e sesso sono strettamente correlati .

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anima come un rimorso la descrizione delle «crudeli, colorate delizie» del banchetto di questa dimora91.

In un contesto di tal genere, non può essere considerato un elemento privo di implicazioni l’associazione carnaggi/corpo sbudellato. Né tantomeno il fatto che un’eco del medesimo disgusto –quasi un anticipazione di esso– si avverta anche in precedenza, nella X microsequenza, negli attimi in cui, ancora una volta a ridosso di una cena, il «silenzio luminoso» di villa Salina viene all’improvviso incrinato o meglio «disturbato[…] dal battere ritmico, sordo del coltellaccio di un cuoco che sul tagliere laggiù in cucina triturava della carne per il pranzo non lontano»92.

La triangolazione sesso-cibo-sonno eterno, così evidente nel segmento cronotopico del soldatino morto, dimostra senza ombra di dubbio che nel

Gattopardo, il tempo individuale esiste solo come uno spazio orizzontale, non

metafisico-verticale. E che la linea della vita e quella della morte si saldano, per il nostro autore, in un continuum inscindibile.

Vi è però un altro livello di lettura di cui bisogna dare conto. Nel testo, la tragica epifania della morte di cui è testimone l’eroe, oltre a rappresentare la violenza della Historia maior, a rendere riconoscibile la sua traccia insanguinata, prefigura anche, per il principe-astronomo, l’esperienza carnale con la morte, da lui, di volta in volta, agognata o temuta.

Se i paradigmi del racconto, nel segmento cronotopico del ritrovamento del cadavere si dispongono lungo l’asse semantico giardino-ricordi-donne-lutto, nel rappresentare il luogo, invece, l’ekphrasis lampedusiana si è avvalsa di numerose immagini analogiche-metaforiche che lo hanno trasformato in uno «spazio [che] si

91 F. Orlando, Ricordo, cit. p. 64. In realtà, nel romanzo affiora spesso quello che Nunzio La Fauci, ha definito una «sanguinaria funzionalità dell’uccidere per alimentarsi», in Id., Lo spettro di Lampedusa, cit., p. 70. Val la pena ricordare anche un’osservazione di G. Barthoiul presente nel saggio in cui ricostruisce la presenza nella cultura e nella scrittura tomasiana di Leopardi, lo studioso annota che nei due autori, «L’homme partecipe à la «strage» univeselle», Id., Leopardi e Lampedusa, cit., p. 397. 92 Ivi, p. 57. Il segmento cronotopico va da p. 55 a 59. Non si può non ricordare il modo in cui Lampedusa chiude infine il cerchio tra l’eroe e il personaggio soldato. L’ultima volta in cui ritroveremo l’immagine del giovane militare sarà, non a caso, nella Parte VII, negli istanti in cui si sta consumando la sua agonia, il vecchio gattopardo si sorprenderà, difatti, a pensare ancora a «quel soldato col viso imbrattato», ivi, p. 236.

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riempie di un senso vitale reale e assume un rapporto essenziale verso il protagonista e il suo destino » futuro93.

Il giardino-cimitero, dove viene scoperto e dove infine troverà una sbrigativa sepoltura il cadavere dello sconosciuto, infatti rimanda già, in maniera inequivocabile, alla scomparsa del personaggio assiale e al tracollo di un’intera epoca storica monopolizzata dalla classe al quale appartiene. Infatti, nell’insistere sul suo lugubre aspetto, Lampedusa ci fa anche notare che al suo interno «i canaletti di irrigazione […] sembravano tumuli di smilzi giganti», mentre l’odore intenso che sprigionavano i suoi fiori era assai simile ai «liquami aromatici distillate dalle reliquie di certe sante» 94.

Racchiusa in questa duplice immagine vi è già tutto il Gattopardo.

Essa suggerisce che quanto accadrà nel corso dell’opera, è imminente sin dal suo inizio.

La morte del suo imponente e fragile titano, è già prefigurata dalla presenza in questo luogo dei canaletti /tumuli per giganti. Mentre il tragico epilogo a cui va incontro l’ aristocrazia isolana, viene prefigurato da quei liquami nauseabondi di sante incartapecorite, che anticipano in maniera significativa temi e motivi contenuti nel penultimo segmento cronotopico della Parte VIII del romanzo e su cui diventa adesso necessario soffermarsi.

Siamo ormai arrivati alle scene finali del libro, a ridosso di quell’immagine di straordinaria icasticità che è la «danza della polvere». L’episodio ruota attorno ad un cardinale «straniero» che nella primavera del 1910 varca le porte di palazzo Salina95. Tocca a lui decretare la falsità dei frammenti religiosi che lì sono gelosamente custoditi.

93 M. Bachtin, Estetica e romanzo, cit., p. 268. 94 Il Gattopardo, cit., pp.-30-31.

95 «Il Cardinale di Palermo […] non era siciliano, non era neppure meridionale o romano…» Ivi, p. 261. Il segmento reca il titolo di Il Cardinale: fine delle reliquie, pp. 261-264.Non deve naturalmente sfuggire, l’indicazione temporale fornitaci dall’autore, che colloca l’episodio nel maggio del 1910. In un caso come questo, la rappresentazione letteraria, esplicita forse meglio di un corposo trattato gli equilibri socio-economico portati dai tempi nuovi.