Nella poetica tomasiana, accanto alla vocazione memorialistica vi è un altro elemento preponderante: la passione storica nutrita dal principe46. Dietro il registro
46 Nel tempo si sono moltiplicate le testimonianze sulla profonda conoscenza della storia da parte dello scrittore. Un contributo importante è venuto da D. Gilmour, lo storico inglese che per la stesura de L’ultimo Gattopardo ha ottenuto dalla vedova l’accesso all’archivio tomasiano e ha potuto visionare una larga messe di documenti inediti. Recentemente, G. Lanza Tomasi, ha messo a disposizione del bibliofilo palermitano S. Savoia lo schedario della biblioteca paterna, sino ad ora
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saggistico gattopardesco, che egli mostra di governare con estrema sapienza, è possibile riscontrare una inusuale capacità di intrecciare un fitto dialogo con l’historia rerum gestarum.
Lo scrittore, per ricreare nel suo romanzo l’epoca risorgimentale non ha fatto ricorso a materiali di risulta o a fonti prettamente letterarie, ma si è documentato. Si è servito di materiali eterogenei, sovrapponendo alle minute di una vicenda familiare che ruota attorno al bisnonno astronomo, un ampio patrimonio di letture di carattere storico, rielaborate in maniera incessante nel corso degli anni, all’interno di quella bolla di otium letterario entro cui si rifugiava per sfuggire alle proprie inquietudini.
La storiografia gli ha offerto temi e modelli di scritture.
Gli ha permesso di elaborare una propria ideologia che soltanto a un lettore disattento può apparire grettamente reazionaria; e infine, ha nutrito le sue incessanti meditazioni sul significato della Storia che gli appare, secondo una visione laica e materialistica, solo una pausa di sospensione brutalmente compresa tra l’attimo della nascita e quello della morte.
Insomma, benché Lampedusa si rifiuti di credere all’oggettività del processo storico e lo legga come un fluire inarrestabile verso il nulla eterno, al contrario di quanto ha asserito certa critica, egli conosce a fondo i meccanismi che governano la dinamica della Storia.
E amaro, ma estremamente lucido è lo sguardo con il quale osserva gli accadimenti di quella convulsa fase di transazione in cui –almeno così sembrava– stava finalmente per giungere a compimento il lungo processo di unificazione nazionale. I testi e i documenti storici gli hanno consegnato gli strumenti per «raccontare il paese degli accomodamenti», come fa dire a don Fabrizio e per
precluso agli estranei e gli ha dato l’autorizzazione per una catalogazione dei circa 6000 libri posseduti dal principe. Da sempre cultore di storia e di letteratura siciliana, Savoia ha scritto sul principe una biografia priva di guizzi, ma onesta: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Palermo, Flaccovio, 2010. Qui, nel cap. XIII, intitolato La biblioteca del principe, si parla anche dei libri storici posseduti dal principe, spesso disposti per macroaree tematiche e del «vasto settore dedicato alla storia d’Italia, estremamente ricco», ivi, p. 157. Visto lo stretto rapporto tra Lampedusa e i cugini materni, un contributo non indifferente potrebbe venire anche dalla catalogazione completa delle opere presenti nella biblioteca dei Piccolo, custodita a Ficarra.
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«istituire un processo» al Risorgimento47. Soprattutto, gli hanno permesso di avere una piena consapevolezza dell’avvicendamento sociale che si consuma in quegli anni.
La scelta di ridurre i fatti risorgimentali, che pure si susseguono senza sosta nel romanzo, a uno sfondo non può essere rapportata, come suggerisce Manacorda, ad una sostanziale incapacità dello scrittore «di creare il grande affresco storico con tutte le sue linee componenti e divergenti, finendo perciò per mutare il romanzo in una insistente enunciazione di una personale filosofia della storia»48. Né tantomeno, come ha creduto inizialmente Sciascia che la Sicilia del Gattopardo soffra di «un vizio di astrazione -come dire ?- geografico-climatica»49.
Invece, come ha giustamente più volte ribadito Orlando, il romanzo dell’antico maestro è l’unica opera letteraria del ’900 in cui la fine dell’aristocrazia viene vissuta dal di dentro, narrata da uno dei suoi stessi protagonisti. Eppure, nel ritrarre impietosamente gli ultimi sussulti che scuotono la classe cui appartiene, Lampedusa non perde mai di vista il quadro d’insieme: i nuovi problemi che il processo d’unificazione nazionale trascina con sé. Un pericoloso vulnus di tensioni e di squilibri irrisolti. Soprattutto, nel suo capolavoro, lo scrittore ricompone nei termini di un documento en artiste la «topografia sociale»50 che si è venuta a delineare nel passaggio di testimone dai gattopardi alle iene.
L’avanzata dei nuovi ceti è irrefrenabile e scomposta. Don Fabrizio, e l’estenuata genia a cui è legato per diritto di nascita, sono costretti a cedere il passo ai Sedàra di turno51. Tuttavia, sia il personaggio che il narratore, con estrema
47 La tesi del “processo risorgimentale” è di N. Zago, ed è stata ampiamente svolta nel suo saggio I
Gattopardi e le Iene, cit., pp. 17 e segg.
48 G. Manacorda, Il Gattopardo, in Storia della letteratura italiana contemporanea, Roma, Editori Riuniti, 1972. Il critico riconosce tuttavia a Lampedusa, la capacità di aver creato nel suo romanzo pagine che «sfiorano il livello del capolavoro», ivi, pp. 303-306, a p. 305.
49 L. Sciascia, Il Gattopardo, in Pirandello e la Sicilia, in Opere, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 1991, vol. III, pp.1160-1169, p. 1161. Come approfondiremo in seguito, lo scrittore di Racalmuto corresse successivamente il proprio giudizio su Tomasi e sulla sua visione storica. 50 G. M. Tosi, I buoni e i cattivi esempi, cit., p.179.
51 Sul finire dell’800, l’assedio dei tempi nuovi ai bastioni cadenti della nobiltà era ormai giunto in una fase finale. Lampedusa ne offre un ragguaglio significativo in vari punti del libro e non perde occasione di rivelare la dissoluzione inevitabile verso cui precipita un mondo fatto di stanchi e
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lungimiranza, non formulano mai un giudizio totalmente negativo contro i valori di cui è portatrice questa classe grossolana e rapace. Anzi, nell’opera del principe «trova finalmente luogo un’iconografia non tutta al negativo della borghesia siciliana nascente»52.
I personaggi di Lampedusa sono immuni dall’acrimonia e dal livore che avvelenano il sangue degli Uzeda e appannano le pupille di De Roberto; e possono riconoscere il ruolo centrale che la borghesia è destinata ad assolvere nei tempi nuovi. Non a caso, lo stesso principe di Salina benedice l’unione tra il nipote ed Angelica Sedàra.
Piuttosto, ad inquietare lo scrittore e l’uomo-gattopardo scaturito dalla sua fantasia, è la marcia rovinosa verso il centro della scena sociale, politica, economica, di gente come il soprastante Pietro Russo, il cafone dal pelo rosso che tesse nell’ombra, insieme ai suoi pari, la vischiosa telaragna dei suoi mille raggiri 53.
Recuperare l’inusuale capacità tomasiana di leggere il passato, nelle sue varie stratificazioni e nei suoi molteplici aspetti, ci aiuta a capire il peculiare rapporto che lo scrittore ha voluto delineare all’interno del suo testo, tra ricognizione storica e “visione” letteraria. Ciò ci permette di misurare la distanza che esiste tra il suo romanzo storico e le opere canoniche precedenti; e ci consente anche di rilevare la modernità dei congegni narrativi gattopardeschi.
Malgrado Lampedusa racconti anche di vicende realmente accadute e offra al lettore un riferimento costante al concreto contesto dell’epoca risorgimentale, per
incomprensibili rituali. Emblematica, a tal proposito, la sequenza della cena a villa Salina, segnata da un «fasto sbrecciato», Il Gattopardo, cit., pp. 36 e segg.
52 V. Spinazzola, Il romanzo antistorico, cit., p. 222.
53 Molto si è detto sul personaggio di don Pietro Russo e sul suo apparentamento al codice mafioso. Qui si vuole invece sottolineare come per delinearne la figura, Lampedusa abbia fatto ricorso, secondo un consolidato e tipico procedimento narrativo gattopardiano a una costruzione oppositiva di tipo antinomica. In questo caso, il suo alter ego, difatti, è l’”onesto famiglio” Nofrio Rotolo, proiezione di una persona reale -o forse di due- e alla cui “illibata memoria” lo scrittore rende onore già nei Ricordi. Un esempio che riguarda invece due dei più rilevanti personaggi femminili, ed egualmente costruiti come coppie antinomiche, sono quelle di Concetta Salina e di Angelica Sedàra. Antagoniste in amore, visto che entrambe vogliono Tancredi, rappresentano nel romanzo due diversi aspetti della femminilità. Tanto quanto la principessa è timida e inibita, persino bigotta a livello sentimentale (e ciò, nonostante la fierezza dei Gattopardi che scorre nel suo sangue), tanto l’altra sa fare perno su una sfacciata sensualità.
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scelta programmatica gli accadimenti di quel periodo così cruciale per l’Italia sono soltanto un fondale di scena, un “ambiente”, un fragile cielo di carta.
Questo spiega perché, nel libro, solo ciò che accade in interiore homini abbia peso, rilevanza, misura e le verità della Storia non sia mai la verità del romanzo. Essa è preclusa ai suoi più autentici protagonisti: sfugge a Garibaldi, il capo indiscusso dei diavoli rossi, come sfugge all’onesto e ottuso Chevalley che crede, col suo abile lavoro diplomatico, di potere costruire un nuovo mondo.
Lampedusa persegue nel Gattopardo un sistematico «deprezzamento dei fatti» che si realizza sia impedendo che si concretizzi nella vicenda romanzesca, una interazione di figure storiche tratte dalla vita reale, sia nella sua riluttanza «a fissare l’azione narrativa nei suoi momenti culminanti»54.
Esemplare il fatto che un evento cruciale qual è quello del plebiscito venga vissuto soltanto attraverso l’amaro novellare di don Fabrizio o il resoconto rabbioso che ne fornisce don Ciccio Tumeo. Per Lampedusa, la Storia attiene oramai a una dimensione esperienziale personale; si appiattisce sull’orizzonte percettivo dei singoli protagonisti. Estromessi dall’intreccio diegetico, i grandi fatti vengono vissuti soltanto attraverso un racconto secondo. L’ espediente strutturale è di grande efficacia. Servendosi di esso lo scrittore fa in modo che gli accadimenti esistano solo nella reinterpretazione, parziale ed estremamente soggettiva, dell’homo faber.
Accanto al racconto secondo, Lampedusa si serve di altre tecniche narrative specifiche –e specificatamente moderne– per miniaturizzare la Storia. Nel
Gattopardo, difatti, gli avvenimenti pubblici vengono privati del nome, o se ce
l’hanno, come accade per lo sbarco garibaldino, essi trovano spazio solo in quella terra di confine che è rappresentata dal paratesto (ovvero nell’Indice analitico).
Ma l’analisi delle modalità di rappresentazione lampedusiane riserva ulteriori sorprese. Si ponga attenzione al modo in cui vengono introdotti nel Gattopardo i grandi personaggi. L’analisi cronotopica mette in evidenza che la loro presentazione obbedisce a uno schema fisso.
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Non soltanto Lampedusa si diverte a dissolvere «l’attimo storico che le stampe popolari […] avevano esaltato»55. Ma soprattutto, re, condottieri temerari e generali, vengono sistematicamente estromessi dai luoghi topici entro i quali acquista significazione e lustro la loro dimensione pubblica. Nel rappresentarli, il narratore li allontana dalla magnificenza abbacinante d’una reggia; o dall’agone polveroso d’un campo di battaglia dove il coraggio –o la follia– esaltano gli audaci. Dietro di loro, invece, ha posto uno spazio vuoto, quotidiano e dimesso ed entro il quale, come un’anfora cava risuonano egualmente ridicole le voci di entrambi. Alla fine, la figura di questi grandi uomini risulta fortemente esautorata.
Si pensi al re borbonico o al colonnello Pallavicino.
Nella Parte I, Don Fabrizio viene introdotto all’udienza con il “suo” sovrano, la persona che dovrebbe essere il garante supremo dell’ordine costituito, dopo un percorso labirintico attraverso sale dall’architettura magnifica ma dagli arredi stomachevoli, scale mal tenute, anditi sudici. La disincantata veduta d’interni di una corte in disarmo preannunzia la breve sosta in un’anticamera riservata alla gente di corte, ma attigua a quella in cui è ammassata la «gentaglia». Solo dopo quest’ulteriore tappa, don Fabrizio potrà avere accesso ad uno «studio privato […] piccolo e artificiosamente semplice» entro il quale lo attende un piccolo re sciatto, che quasi scompare alla vista dietro «uno sbarramento di scartoffie»56 .
Lo stesso accade, nella Parte VI, all’eroe dei fatti d’Aspromonte. Già nel paratesto, l’uomo d’arme deve dividere la scena con Angelica la bella e il padre- rospo che la conduce nei santuari cadenti, anche se affascinati dell’antica aristocrazia; e difatti, nell’Indice analitico, si legge: Il ballo: ingresso di Pallavicino
e dei Sedàra 57. Sia l’uno che gli altri sono stati invitati al grande evento mondano che si terrà nella dimora dei Ponteleone.
Il colonnello fa il suo ingresso in scena nel Gattopardo da uomo di mondo, o meglio ancora, da militare in una parata, secondato dalle ambigue osservazioni del
55 Il Gattopardo, cit., p. 211 56 Ivi, pp. 33 e segg. 57 Ivi, p. 268.
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padrone di casa e soprattutto dal murmure compiaciuto delle donne che anelano i suoi baciamani o il solletico sulla pelle dei «mustacchi suoi odorosi». Persino la «sciabola ricurva» e il tintinnio delle decorazioni della sua divisa di consumato guerriero hanno perso qualsiasi attinenza con la cruenta arte della guerra58.
Qualcosa di simile accade anche a «quell’avventuriero tutto capelli e barba»59. Nominato più volte nel corso del romanzo, Garibaldi, viene infine rappresentato, non a caso, proprio mentre giace, ormai prigioniero dei piemontesi, «sotto un castagno del monte calabrese». Non più un guerriero invincibile, ma un povero uomo sconfitto, ferito nell’animo come nel corpo, e in balìa dei propri nemici– nel perfetto climax ascendente tomasiano60.
Di scarso impatto per lo sviluppo narrativo, ma egualmente rilevanti per la tecnica narrativa analizzata, sono poi gli accenni a quei pochi garibaldini che dopo aver terrorizzato l’aristocrazia siciliana «erano penetrati » negli immensi salotti della nobiltà palermitana, e «avevano fatto più l’effetto di spaventapasseri pittoreschi che di militari veri e propri»61.
Lo scrittore, dunque, marginalizza la funzione pubblica dei grandi personaggi. I giganti destinati a riempire con le loro imprese temerarie i libri di scuola o ad imporsi nell’immaginario collettivo, vengono estromessi a forza dai luoghi del potere. Demitizzati e, dunque, privati di una vita propria, sono solo figure di sfondo che si muovono in angoli male illuminati della scena madre.