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In realtà, proprio questo controcanto struggente delle umili cose preziose di gozzaniana memoria può essere considerata, come asserisce Samonà «una delle

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forze trainanti del bradisismo poetico di Lampedusa»41. E spiega perché Orlando abbia potuto definire il romanzo del suo maestro come una variante memoriale del romanzo storico.

Nella fase conclusiva della vita del principe la scrittura opera più sortilegi. Al pari di un buon libro, si oppone a quell’inquietudine che da sempre invade i territori del suo animo. La pratica scrittoria gli serve per integrare il piacere della lettura col gioco combinatorio dei possibili narrativi, di una menzogna –nel senso di artifizio letterario– che può anche servire a ricucire la trama smagliata di ricordi personali.

Non credo si possa pienamente comprendere l’universo poetico di questo autore, se non si fanno i conti con la sua vocazione memorialistica. Con il fatto che da un certo momento in poi operi in Lampedusa il bisogno impellente di dare consistenza, anche attraverso il filtro di un’opera narrativa, a un proprio privato museo d’ombre o di opporsi all’atrofia, altrimenti irreversibile, della memoria42.

Basta rileggere i Ricordi (che condivide col romanzo molto di più di una semplice contiguità di tempi di scrittura) per rendersene conto. Il Gattopardo, difatti, nasce da quella stessa tensione che troviamo ben delineata ad inizio del frammento autobiografico:

Quando ci si trova sul declino della vita è imperativo cercar di raccogliere il più possibile delle sensazioni che hanno attraversato questo nostro organismo. A pochi riuscirà di fare così un capolavoro […], ma a tutti dovrebbe esser possibile di preservare in tal modo qualcosa che senza questo lieve sforzo andrebbe perduto per sempre. Quello di tenere un diario o di scrivere a una certa età le proprie memorie dovrebbe essere un dovere “imposto dallo stato”: il materiale che si sarebbe accumulato dopo tre o quattro generazioni avrebbe un valore inestimabile....43

41 G. P. Samonà, Il Gattopardo, I Racconti. Lampedusa, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 49. 42 Di «atrofia della memoria» parla N. Zago, in Tomasi di Lampedusa, cit., p.121.

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Ma, naturalmente è possibile ritrovare il germe di questa predisposizione all’elegia memorialistica nelle Lezioni. Esso appare in un Intermezzo sotto forma di un insegnamento irrinunciabile che il maestro impartisce a Orlando: quello di non disdegnare mai gli scritti dei minori. Svalutabili da un punto meramente di vista estetico, le opere dei modesti scribacchini vengono recuperate dal principe per il loro valore documentario, in quanto testimonianze umane utili a serbare la memoria del tempo trascorso: la «visione e l’odore del secolo nel quale esse nacquero»44.

In una ininterrotta linea di continuità che percorre trasversalmente il macrotesto tomasiano, lo scrittore si conferma, dunque, un laudator temporis acti. Lampedusa nutre una sensibilità che potremmo definire morbosa e decadente nei riguardi del tempo che passa. Prova orrore verso l’oscurità inevitabile in cui precipita il passato e si inabissa la vicenda d’ogni essere umano. E crede che, se privato della memoria, l’animale-uomo possa smarrire irrimediabilmente l’essenza stessa del proprio essere.

Anche per il principe, esattamente come accade in Montale, un poeta che egli conosce ed apprezza, il Tempo che passa recide senza pietà l’esile tessuto dei giorni umani e rende evanescenti ed impalpabili persino le presenze di cui il nostro animo credette di non potere mai fare a meno. Questo spiega perché la cartografia dell’immaginario tomasiano riposi su un fittissimo reticolato di ricordi personali45.

La fabula gattopardiana ricrea il tempo storico, pubblico e collettivo, della (falsa) epopea risorgimentale, e lo fa offrendoci la rappresentazione romanzesca della parabola rovinosa di una famiglia isolana d’antica nobiltà.

Nel romanzo vengono messe in scena le ultime manifestazioni di vitalità dei Salina e del microcosmo a cui appartengono. Lo scrittore ci introduce dentro gli

44 Letteratura inglese, cit., pp. 867-869.

45 La centralità della memoria come radice essenziale della narrativa di Lampedusa, è confermata anche dal fatto che più lo scrittore si allontana dai ricordi personali e dal loro fertile humus, tanto più la scrittura diviene scialba e l’impianto narrativo mediocre: è il caso del racconto La gioia e la Legge, in Opere, cit. pp. 486-491. Proprio sulla centralità della memoria nel processo letterario, non dimentichiamo le osservazioni di un grande romanziere e critico contemporaneo: «Per quasi tutti gli scrittori la memoria è il punto di partenza della fantasia, il trampolino che proietta l’immaginazione nel suo volo imprevedibile verso la finzione»: M. Vargas Llosa, in La verità delle menzogne, cit. p.18.

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spazi sociali dove un tempo si celebravano i complicati cerimoniali d’un privilegio di classe: le immense ville padronali; le sale da pranzo; i saloni da ballo; l’osservatorio astronomico. Ci conduce laddove l’antica casta esercitava il proprio potere. Ce li fa osservare, (ma sempre attraverso lo sguardo smagato, doloroso o ironico del suo protagonista, mai in una rappresentazione impersonale) mentre, assolutamente ignari di quanto sta accadendo attorno a loro, si sentono ancora i padroni del mondo.

Tuttavia, i principi di Salina sono, per sua stessa ammissione, la proiezione dei principi di Lampedusa, di cui lo scrittore, tra l’altro, sa bene di essere “l’ultima possanza”.

Così, anche nel romanzo, esattamente come nei Ricordi, la memoria, ovvero il ricordo di ciò che fummo, è vita, identità e meridiana di senso. Però, al contrario di quanto accade nel testo autobiografico, viene chiamata ad assolvere una duplice funzione.

L’elegia memoriale non serve soltanto al singolo individuo per recuperare,

in limine vitae, ciò che vivendo è andato perduto; ma anche per ricreare un mondo

nobiliare sconfitto irrimediabilmente dalla Storia e per questo destinato, più di altri, a essere spazzato via dalla frana del Tempo; o sommerso dai suoi detriti.

I ricordi, dunque, in Lampedusa, oltre ad offrire consolazione e tenerezza nella quotidiana ansia del vivere, sono una stele di Rosetta che ridona significato alla lingua altrimenti perduta d’un antica classe e riporta in vita i suoi raffinati riti e la sua impareggiabile cultura.