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di Bergamo ricorda

di

maria elena depetroni

inter

in occasione della «giornata del ricordo» 2010, la regione Lombardia ha bandito un concorso per tutte le scuole medie di primo e secondo grado dal titolo: «L’accoglienza degli esuli della venezia giulia e dalmazia in Lombardia»

to indivisibile…» (da una lettera di Alessandra Fusco ad una profuga polesana)

L’esemplarità di questa testimonianza è che si tratta di una storia vera, femmi-nile, familiare e bergamasca e ciò ha consentito ai ragazzi che hanno letto il ro-manzo di avvicinarsi alle vicende del confine orientale tra il primo e il secondo dopoguerra con un preciso riscontro anche sul territorio del loro quartiere, della loro città e della loro provincia, attraverso il punto di vista della donna, che, ri-cordiamolo, fu quella a pagare più duramente il prezzo dell’esodo. «Nella piccola

sala d’aspetto della stazione di Treviglio un gruppo di persone infreddolite aspettava da un paio d’ore il convoglio proveniente da Venezia, che doveva portare i profughi polesani […] Nella penombra Bruna guardava i suoi compagni. Si era accorta che erano le donne, per la gran parte dei casi, ad avere la responsabilità delle famiglie. I mariti non c’erano: deportati, infoibati, morti in guerra, dispersi o ancora in prigio-nia. Donne con i loro vecchi e i loro bambini. Donne dalle facce dure, senza più la-crime, che si sentivano condannate ad essere forti a tutti i costi, perché se avessero ce-duto, per le loro famiglie non ci sarebbe stato più un punto di riferimento.

Nel corso del corrente anno scolastico anche una classe terza della scuola media di Villa di Serio, in provincia di Bergamo, si è avvicinata alle pagine di questo romanzo. I ragazzi hanno avuto la possibilità di ricostruire, con pannelli, cartel-loni, presentazioni in PowerPoint, un quadro storico-politico-geografico la cui complessità difficilmente viene loro chiarita sui libri di testo e di incontrare «dal vivo» i parenti di quei personaggi della storia raccontata e così riconosciuta co-me autentica e reale.

In occasione della «Giornata del Ricordo» 2010, la Regione Lombardia ha ban-dito un concorso per tutte le scuole medie di primo e secondo grado dal titolo: «L’accoglienza degli esuli della Venezia Giulia e Dalmazia in Lombardia». Que-sta ulteriore opportunità ha suscitato nei ragazzi dei due licei scientifici cittadini (classificatisi poi primi sia come lavoro di gruppo sia come lavoro individuale) l’interesse e la curiosità di capire dove e come gli esuli si siano inseriti nel tessu-to sociale bergamasco. Ecco l’introduzione scritta dai partecipanti: Dopo un

pe-riodo di preparazione, per così dire, «scolastica» sui libri, sulla documentazione for-nitaci dalle biblioteche, pubbliche e private, sul materiale d’archivio e sui rari fil-mati d’epoca, abbiamo cercato di vivere lo svolgimento del lavoro in maniera perso-nale, diretta, partecipata recandoci dai testimoni protagonisti di questa parte di sto-ria o dai loro discendenti e intervistandoli sulla loro esperienza. Abbiamo così avuto la possibilità di «scoprire» un pezzo della storia di Bergamo, dei suoi quartieri, del-la sua fisionomia architettonica, deldel-la sua gente, delle sue leggende assolutamente a noi sconosciuto e proprio per questo interessante, coinvolgente, anche se derivante da eventi senza dubbio drammatici.

L’intervista «sul campo» si è rivelato uno strumento didattico effettivamente mol-to efficace, perché rende gli studenti protagonisti e perché riesce a coinvolgere i testimoni anche più anziani che, stimolati dai giovani, sentono il desiderio, la vo-lontà, a volte il dovere morale di raccontare e passare così il testimone. I

profu-inter

ghi dalmati e giuliani vennero raccolti a Bergamo nella Clementina, un centro di accoglienza per soldati feriti nei pressi dell’ospedale psichiatrico. I profughi furo-no sistemati in grandi dormitori. Così hanfuro-no raccontato i ragazzi l’inizio del loro incontro con… Quelli della Clementina: «Ci aspettano per raccontarci il loro

eso-do, in una decina, di prima mattina, in una giornata fredda e livida, proprio come dev’essere stato quel triste febbraio del 1947. Solo che allora fioccava anche la neve e, ad accoglierli, non c’era il tepore di una casa o di una famiglia ma un gelido ricove-ro militare in cui l’intimità era divisa da una coperta e il rancio era servito nella ga-mella. Nel quartiere della Clementina, occupato ora da condomini e abitazioni pri-vate, si trovava un ricovero militare che, finita la II Guerra Mondiale, fu utilizzato come punto di smistamento e campo profughi dagli esuli dalmati e istriani. La parte del ricovero, utilizzata come ospedale militare, divenne il centro di raccolta dei pro-fughi, i quali, successivamente venivano separati e ospitati in paesi fuori città, capaci di offrire un lavoro anche a persone non del luogo. Questa struttura, costruita in ori-gine come ospedale e caserma, da allora è molto cambiata: adesso nel luogo dove sor-gevano i grandi stanzoni vi si trova un centro commerciale ed alcuni condomini. Di fronte alla chiesa sorgeva un giardino ben curato, rimpiazzato dai cortili dei palaz-zi. La chiesa è ancora accessibile ed utilizzata: infatti viene celebrata regolarmente la messa. Anche la scuola frequentata dai giovani profughi di allora è ancora operativa».

E ancora una sorpresa: proprio in questa scuola elementare, la scuola primaria «Valli», le classi quarte e quinte hanno svolto un bel lavoro di ricerca, accompa-gnati dalle maestre e da esuli che avevano frequentato allora l’Istituto, sul tema del ricordo, dell’esodo, delle foibe.

Per concludere io credo che vadano sottolineati due aspetti importanti che sa-rebbe riduttivo tacere: innanzitutto nel mondo della scuola, fino a poco tempo fa, c’era una sostanziale diffidenza sull’argomento; non sempre in cattiva fede, nel senso che forse per taluni si è trattato di pregiudizio ideologico, ma per i più invece ha influito la non conoscenza, il timore di parlare di un qualche cosa che non si domina e che quindi ingenera insicurezza. E ciò è comprensibile. La dif-fidenza si affronta solo in un modo: presentando degli studi autorevoli da fonti competenti e in questo senso la collaborazione con gli istituti di storia, della sto-ria della ricerca e con tutti quegli organismi che lavorano con metodo da tantis-simi anni deve essere una priorità.

Secondariamente è stato senza dubbio un errore «tagliare fuori» i protagonisti di questi eventi. Solo ora, ed in un certo senso è tardi, vengono invitati esuli o loro discendenti a parlare e a raccontare la «loro» storia, le loro memorie. Tale strada è invece la maestra: i miei ragazzi si sono lasciati accompagnare tra i quartieri, nelle case da persone che hanno riaperto per loro cassetti chiusi da anni e con-tenenti «tesori» incredibili, utili per la conoscenza della verità storica ma anche della realtà del territorio in cui gli esuli si sono inseriti.

L’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che è diffusa su tutto il ter-ritorio nazionale, già da tempo si è resa disponibile a favorire contatti, materiale,

inter

indicazioni, pubblicazioni per lo studio dei giovani e per la preparazione dei do-centi. Moltissimi soci, esimi professori e studiosi collaborano tutto l’anno e non solo per il 10 febbraio con le scuole, con l’università, con le istituzioni, desiosi di dare il loro contributo per costruire una pagina di storia condivisa ma che non può più mancare nella storia della Repubblica italiana.

Un altro punto per me determinante è stato incontrare la sensibilità delle Isti-tuzioni: la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Bergamo hanno sa-puto appoggiare, con consapevolezza ed attenzione, il lavoro delle scuole e fa-vorirne la diffusione.

inter

Prima di raccontare la mia esperienza in qualità di docente è opportuno che io spieghi quali sono i fini dell’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) di cui sono Consigliere nazionale ed in particolare del Comitato Pro-vinciale di Roma, di cui da ottobre 2009 sono presidente.

L’ANVGD ha avuto sin dalla sua costituzione negli anni ormai lontani dell’im-mediato dopoguerra e soprattutto del dopo esodo per i giuliano-dalmati, lo scopo primario di assistere, sostenere ed aiutare in ogni modo queste genti sparpagliate un po’ovunque in Italia, oltre che, come ben noto, anche in tutto il mondo, nel ricostruirsi prima di tutto un’esistenza degna di essere definita tale, nel riunire fa-miglie allontanate e disperse, nel trovare nuovamente attività lavorative qualun-que esse fossero e indipendentemente, molto spesso, da qualun-quelle praticate nei pro-pri luoghi di origine, dopo i lunghi, tristissimi anni, trascorsi nei campi profughi. L’Associazione ha cercato anche di rappresentare e difendere dal punto di vi-sta giuridico quei diritti completamente calpevi-stati e non riconosciuti agli esuli, ad esempio, persino quelli anagrafici, cercando e riuscendo in varie occasioni a far emanare leggi che li tutelassero almeno in determinati ambiti della vita civi-le. Segue poi, da sempre, la questione relativa ai «Beni abbandonati» degli esu-li, non ancora chiusa e che forse mai potrà davvero giungere a compimento, se-condo quello che dovrebbe essere il giusto criterio di corrispondenza a quanto forzatamente perduto.

Da diversi anni, però, gli interessi dell’ANVGD, per ovvii motivi si sono incen-trati anche sulla questione culturale che certamente costituisce il nostro futuro. Inesorabilmente i più anziani se ne sono già andati da tempo e molti altri man mano che si va avanti, ci stanno lasciando tra gli esuli.

Si sta assottigliando, dunque, la rappresentanza di quanti, lasciate le terre d’ori-gine, hanno intrapreso con immenso dolore la strada dell’esilio. Molti di essi, però, hanno compreso che solo la nostra cultura italiana potrà rappresentare la chiave di volta per far sì che, nel momento in cui saranno scomparsi tutti i testimoni diretti di questo dramma, la seconda generazione, rappresentata dai loro figli e nipoti, che in molti casi, come nel mio ad esempio, sono fortissi-mamente ed intifortissi-mamente legati alla loro origine e «sentono» di appartenere alle terre oggi in Croazia (per la maggior parte) oltre che ai luoghi in cui sono nati e vivono, si mantenga viva e anzi forse si ripresenti in maniera più

eviden-Le associazioni