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Letti da una sezione didattica

«di periferia»

di

dino renato nardelli

inter

storici e studiosi di letteratura si sono avvicendati in incontri laboratorio con studenti e docenti delle superiori

ria dell’Umbria contemporanea (ISUc) fin dal febbraio 2005 ha cercato di attin-gere alla buona storiografia, mettendo in rete nel proprio sito (http://isuc.crum-bria.it/index2.html) una silloge di documenti trattabili dagli studenti con meto-do laboratoriale (G. Cometo-dovini – D.R. Nardelli, Le foibe. Una storia dai confini

mobili. Laboratorio sui documenti per la scuola secondaria di secondo grado, 2005).

Buona storiografia è la storiografia che serve agli insegnanti. Quella che pone presto domande agli accadimenti rispetto al loro accadere; che mantiene nella sua narrazione il nesso tempo-spazio e le sue rappresentazioni; che non si perde nell’autocompiacimento delle specificità del locale ma raggiunge la consapevo-lezza di appartenere ad un quadro generale dove trovare motivazioni e contesti; che mantenendo una relazione trasparente e scientificamente corretta con le fon-ti vicine, sa giungere a sintesi (non si dimenfon-tichi che la storiografia, come la di-dattica, si fa sulle fonti); che confronta e condivide modelli interpretativi consen-tendo di espandere le tematizzazioni là dove stanno le articolazioni dei problemi; che esprima una produzione plurima che faccia dialogare gli Istituti storici affi-liati all’INSMLI con le università, l’associazionismo degli esodanti (per esempio, l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) e quello delle Associazio-ni dei rimasti, con gli Istituti che riaffermano una presenza cultuale e scientifica nelle terre dell’esodo (per esempio, la «Società di Studi Fiumani» di Roma); che continua il dialogo con gli storici di oltrefrontiera aperto proficuamente in occa-sione dei lavori della commisocca-sione italo-slovena, insediata nel mese di ottobre 1993, lavori terminati nel luglio 2000.

Da tali premesse si è mosso, negli anni dal 2006 al 2008, il Progetto dell’ISUc

Istria Fiume Dalmazia Laboratorio d’Europa. Storici e studiosi di letteratura si

so-no avvicendati in incontri laboratorio con studenti e docenti delle superiori. Lo spazio che ha definito la riflessione è rappresentato da una regione, quella istria-na fiumaistria-na e dalmata, ad alta densità di problemi. La storia di queste terre è sta-ta caratterizzasta-ta per almeno due secoli da straordinarie convivenze tra popoli ed altrettanti drammatici conflitti, in una stagione in cui si andava definendo in Europa l’idea stessa di nazione. Un primo modulo del Progetto, dal titolo Parole

chiave per la cittadinanza, ha attraversato tali problemi affidando ai relatori e

se-lezionando i materiali tramite un alfabeto essenziale di cittadinanza costituito da concetti come popolo, nazione, Stato, con le idee di consenso/dissenso/conflitto, identità, inclusione/esclusione, cittadinanza. Gli uomini e le donne esprimono nel tempo suggestioni, visioni della vita, sentimenti, progetti; da qui il senso del secondo modulo, Letteratura di frontiera: popoli identità nazioni stati memorie, durante il quale, tenendo la barra sulle parole chiave del modulo precedente, so-no state attraversate vicende di scrittori e filosofi che quelle terre hanso-no espresso, esperienze di vita il più delle volte criptate dai manuali scolastici oltre che dalla cultura corrente. Domande ricorrenti: esiste una sensibilità di confine? Quanto vi pesa il clima culturale mitteleuropeo? Scrittura di confine è una categoria at-tendibile? Identità autarchiche, bastarde o polifoniche? Gli Atti sono pubblicati

inter

perché la memoria sia decodificabile, occorre contestualizzarla attraverso la narrazione storiografica che informa, problematizza, restituisce uno sguardo più distante e complesso delle vicende specifiche in D.R. Nardelli – G. Stelli, Istria Fiume Dalmazia laboratorio d’Europa.

Pa-role chiave per la cittadinanza, Editoriale Umbra, Foligno, 2009.

L’evento dell’esodo che gli istriani, i fiumani e i dalmati affrontarono, a partire dal 1945, quando le loro terre furono occupate dalle truppe jugoslave, ha lascia-to forti tracce anche nei terrilascia-tori italiani di accoglienza. A Roma un centinaio di loro, nella primavera del 1947, trovarono accoglienza precaria nei sotterranei della Stazione Termini, per aumentare di numero nell’inverno fino a giungere a circa un migliaio. cominciò allora lo spostamento spontaneo verso quello che sarà poi il Villaggio Giuliano Dalmata. Il sito era occupato dal così detto Villag-gio Operaio, collocato alla periferia della capitale tra i possedimenti del princi-pe Torlonia e dei marchesi del Gallo di Roccagiovine; era sorto negli anni Tren-ta per alloggiare gli operai preposti alla costruzione degli edifici dell’Esposizione Universale Romana del 1942, ed avviare il completamento dei lavori del nucleo originario del futuro quartiere romano dell’EUR. I lavori erano stati interrotti a causa degli eventi bellici e le due ali di edifici ad un piano che lo costituivano furono occupate dagli esuli. Questa situazione di fatto fu riconosciuta ufficial-mente dalle Autorità il 7 novembre 1948.

Il luogo attualmente conserva tracce evidenti di tali vicende, nella struttura ur-banistica, nella distribuzione dei servizi e dei luoghi di culto, tracce che se lette consentono alle studentesse ed agli studenti di ripercorrere la storia dell’esodo. Mostra inoltre segni forti di allestimenti di memoria progettati e realizzati negli anni per conservare identità, cultura, simboli, tradizioni, la cui interpretazione permette di percepire l’espressione non certo di una particolare inclinazione a ripercorrere piste nazionalistiche, ma la riaffermazione di una cittadinanza di ti-po culturale nelle terre di provenienza. contiene infine, all’interno di una delle case popolari, l’Archivio Museo storico di Fiume, straordinaria raccolta di pub-blicazioni, documenti, manifesti, oggettistica utile per approfondire le vicende di quei popoli.

Perché la memoria lì condensata sia decodificabile, occorre una sua contestua-lizzazione attraverso la narrazione storiografica che informa, problematizza, re-stituisce uno sguardo più distante e complesso delle vicende specifiche. Incro-ciando storia e memoria, anche il luogo ne riceve una sua ridondanza di senso, coinvolgendo la soggettività delle ragazze e dei ragazzi che lo frequentano. Dal 2009 l’ISUc, in collaborazione con l’Archivio Museo storico di Fiume, gesti-sce Laboratori sul luogo. L’attività didattica di ascolto dell’informazione stori-ca avviene in classe, organizzata nella prassi curricolare dai docenti; un secondo momento viene svolto a Roma, all’interno del Villaggio. Il percorso didattico di D.R. Nardelli, Il villaggio Giuliano-dalmata di Roma un esempio di

integrazio-ne, sta in Appendice al quaderno di F. Papetti – G. Stelli, Le terre adriatiche perdute dall’Italia dopo il secondo conflitto mondiale e l’esodo dei giuliano-dalmati,

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La città e la provincia di Trieste sono state direttamente coinvolte dalle vicende che hanno seguito la fine del secondo conflitto mondiale e che le hanno private di gran parte del loro retroterra, ossia di quella regione che storicamente in Trie-ste aveva il suo naturale punto di riferimento. Infatti la stragrande maggioranza degli oltre 300.000 profughi istriani, fiumani e dalmati, esodati dall’Adriatico orientale a causa dell’occupazione jugoslava, è passata per questa città e si calco-la che più di sessantamicalco-la vi si siano stabiliti, accrescendone di un buon terzo calco-la popolazione e rivitalizzandola.

Se per decenni la diplomazia nazionale e internazionale avevano consigliato la sordina sulla divulgazione e sulla ricerca storica sul secondo dopoguerra nei territori orientali della penisola – e pertanto nel resto d’Italia nulla o ben po-co si diceva, perché il Paese non sapeva – a Trieste, viceversa, quelle vicende hanno continuato a rimanere tanto vive da non lasciare sedimentare la memo-ria. Anche per questo e per la sofferenza e la relativa rimozione che le accom-pagnavano (e in parte le accompagnano), nessuno ne parlava dentro la scuo-la, ma quelle vicende erano relegate al focolare domestico, all’ambito politico cittadino, o a gruppi di storici appassionati. Diversi, tra questi ultimi, erano stati incaricati, nel tempo, di compiere ricerche e studi, spesso commissiona-ti da quelle associazioni degli esuli che avevano fini culturali più e/o oltre che sociali e ricreativi (in primis l’Istituto Regionale per la Cultura Istriana – poi Istriano-fiumano-dalmata – IRCI) e che in larga parte si autofinanziavano e reperivano fondi per le ricerche che riguardavano la storia dei luoghi da cui i loro membri avevano dovuto esodare. Ma pubblicazioni e conferenze non ri-uscivano a far breccia negli istituti educativi.

Tuttavia il mondo degli profughi istriani, fiumani e dalmati aveva ben presente la necessità di rivolgersi ai docenti delle scuole affinché la cultura e le tradizio-ni delle genti giuliane non andassero perdute, ma vetradizio-nissero trasmesse alle nuove generazioni. Basti a dimostrarlo il fatto che il Comitato di coordinamento fra le Associazioni degli istriani, fiumani e dalmati (predecessore dell’attuale Federa-zione delle Associazioni istriane, fiumane e dalmate) aveva chiuso la sua attività

La didattica