deLLa madre
di donatella Bracali La storia della «Liberazione» ha anche il volto nascosto e sofferente di chi con la «fine» della guerra ha vissuto la «fine» di tutto: la perdita della propria casa, della terra, degli affetti, perfino dei propri morti!inter
L’allora ministro della pubblica istruzione Berlinguer, con notevole sensibilità e coraggio, invitò insegnanti ed autori di manuali scolastici a colmare la grave lacuna riguardante le vicende storiche delle terre giuliano-dalmateItalia rivolti a docenti ed allievi della scuola superiore, negli anni in cui l’allora ministro della Pubblica istruzione Berlinguer, con notevole sensibilità e corag-gio, invitò insegnanti ed autori di manuali scolastici a colmare la grave lacuna riguardante le vicende storiche delle terre giuliano-dalmate. Qui a Pescara la ri-sposta fu immediata ed entusiastica, grazie anche al clima di collaborazione e di simpatia che mia madre ha saputo creare nell’ambiente cittadino in qualunque settore, culturale e politico.
Per l’occasione si formò un affiatato «gruppo di lavoro» con studiosi di alto pro-filo, alcuni celebri come Aldo Duro, direttore del Vocabolario della Lingua Ita-liana per l’enciclopedia Treccani, altri, di origine locale abruzzese, che avrebbe-ro conquistato fama successiva grazie alla pavrebbe-rofonda conoscenza della questione adriatica (penso agli amici Fares, Di Cintio, Centorame…).
La fine degli anni Novanta, dunque, coincise con lo sdoganamento di quel-la «storia strappata», non senza strascichi di polemiche e di astiosità, addirittu-ra con lo spettro del «negazionismo» agitato da storici di parte (lo ha ricordato Pao lo Mieli nell’articolo che citerò più avanti). Eppure in seguito, ancora una volta, una barriera di indifferenza e di ignoranza ha rinchiuso la scuola nel suo spazio angusto di «non luogo», in cui spesso si muovono giovani ed adulti alla ricerca della propria identità.
«Allora scrivete […] scrivete la vostra storia! Dovete scriverla per farcela conoscere!». Ho nelle orecchie ancora le parole del prof. Sabbatucci, intervenuto ad un in-contro presso il Liceo classico di Pescara per presentare il suo ultimo manuale scolastico. Con lui proprio mia madre ebbe un vivace scambio di idee in meri-to all’assenza – più volte da noi rimarcata – dell’argomenmeri-to «foibe» sulle pagine dei testi di storia. Ma ancora oggi, a circa 10 anni di distanza da quel dibattito, la storia «strappata» è più o meno la stessa. Eppure, con la Legge del 30 marzo 2004 n. 92, si è istituito il «Giorno del Ricordo» per «conservare e rinnovare la
memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo […] nel secondo dopoguerra» (art. 1), con particolare riferimento proprio ai «giovani delle scuole di ogni ordine e grado» (art 2). Eppure è ricchissima l’editoria
sull’ar-gomento, perché un’attività instancabile, dal dopoguerra ad oggi, ha prodotto libri, articoli, saggi, opuscoli scritti con rigore storico dagli stessi testimoni di quelle terribili vicende (Toth, Talpo, De Vergottini); quindi molto prima che il prof. Sabbatucci ci esortasse a «scrivere»!
Bruno Vespa, in una delle puntate di «Porta a Porta» di qualche anno fa, dedi-cata proprio al «Giorno del Ricordo», si meravigliò della ricchezza della pubbli-cistica proveniente dagli ambienti degli esuli. A ciò aggiungo che i nostri «veci» (io appartengo alla seconda generazione), si sono rapidamente adeguati ai tem-pi, per cui tutto questo immenso e prezioso materiale è oramai disponibile
onli-ne attraverso una pluralità di siti in continuo aggiornamento. Fortunatamente,
però, storici e studiosi di fama, insieme a giornalisti accreditati, si occupano sem-pre più spesso della storia «strappata»: tra gli ultimi, Polo Mieli ha dedicato un
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perché sugli stessi testi, quando si parla di «crimini contro l’umanità» o di «migrazioni forzate», di «sfollati» e di «rifugiati», nulla si dice degli italiani dell’istria e della dalmazia che hanno subito una sorte simile? articolo dettagliato ed illuminante ad una questione dolorosa: la medaglia d’oronegata a Zara (Il martirio di Zara italiana e la medaglia che non c’è, in «Corriere della Sera», 23 marzo 2010).
E la scuola? La scuola, purtroppo, sembra ancora in affanno. Ce lo rammenta il linguaggio spietato dei numeri: nel corso dell’interessantissimo primo Seminario Nazionale sul tema organizzato dal MIUR il 23 febbraio scorso, è stato stilato un elenco dei manuali di Storia contemporanea per le scuole superiori, contando le «righe» dedicate alle foibe e/o alle vicende dell’Adriatico orientale: dalle 10 del testo a cura di Giardina e Sabbatucci alle 15 di quello di Della Peruta! Che dire poi, osservo io, dei manuali di geografia per i bienni delle superiori? Stimolanti nella veste tipografica (e digitale), nonché nei contenuti, ma alla voce «Balcani» ricordano Tito come «liberatore del Paese dai nazifascismi» e citano poi gli ecci-di obbrobriosi della «pulizia etnica» degli anni Novanta, ma senza spendere una sola parola per gli infoibati, per i deportati nei campi di prigionia titini, per gli annegati con la pietra al collo nel mare di Zara. Perché sugli stessi testi, quando si parla di «crimini contro l’umanità» o di «migrazioni forzate», di «sfollati» e di «rifugiati», nulla si dice degli italiani dell’Istria e della Dalmazia che hanno su-bito una sorte simile? Eppure ben 350.000 fuggirono da quelle terre illudendosi di essere accolti da una «Madre Patria» che presto si sarebbe rivelata «matrigna». Basterebbe sfogliare l’interessantissimo manuale di ausilio per la scuola La
que-stione del confine orientale (edito nel 2007 a cura dell’Associazione per la
Cultu-ra Fiumana, Istriana e Dalmata del Lazio) per capire quanto entusiasmo e quan-ta professionalità abbiano animato delle docenti, come la professoressa Botte-ri, impegnata da sempre «sul campo» a diffondere (ed a difendere) i valori della storia giuliano-dalmata.
E che dire, poi, della toponomastica? Solo da pochi anni, finalmente, sugli at-lanti e sulle carte geografiche, è stato «recuperato» l’antico nome italiano, alme-no tra parentesi, perché è proprio quello tradizionalmente più diffuso da secoli nell’area adriatica (Zadar=Zara; Split=Spalato; Dubrovnik=Ragusa; pensare che le carte nautiche hanno sempre indicato i soli nomi italiani!).
No, professor Sabbatucci, non manca dunque il materiale per scrivere! Forse man-ca ancora quella «memoria condivisa» su fatti tragici e complessi, ma comunque appartenenti alla nostra identità di italiani, che proprio il 25 aprile dovrebbe a tutti ricordare. C’è bisogno di un miracolo culturale fatto di cuore, ragione, co-scienza! Perché non riprenderci, con coraggio, il nostro ruolo educativo di inse-gnanti quando ci proponiamo di «formare» l’uomo e il cittadino? Perché teme-re di pronunciateme-re parole come «appartenenza», «identità», privandole del velo di ambiguità che le accompagna? Mi piace concludere invocando proprio il «pueri-le ottimismo» di mia madre, che nel 1999 così scriveva: «Non si può morire per sempre! Se dalla penna di Bettizza sono uscite – dopo anni di indifferente silen-zio – le parole che ha riservato alla mia Zara nel suo Esilio (pur colpevolmente tacendo altrove), forse battendo e ribattendo, dicendo e ridicendo, evocando e
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rievocando, anche altre porte ed altre finestre si apriranno sull’assassinio di Zara (così dice Bettizza) e (dico io) di tutta la gente italiana giuliano-dalmata. Provia-moci noi! E voi, aiutateci!» (Myriam Paparella Bracali, Introduzione a «Sto-ria, Cultura e Attualità dell’Adriatico Orientale – 2° corso di aggiornamento in Storia» – Pescara 1999).
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La Storia non è un patrimonio sociale condiviso. La Storia non è considerata la materia per eccellenza nel comune sentire e, tanto meno, nella scuola. Le diffi-coltà da superare per rendere protagonista questa disciplina nella formazione dei giovani sono sempre molte. Con questa consapevolezza ci si è avventurati alla ri-cerca di consensi per elaborare una mappa del tempo costruita sulle date più si-gnificative per la storia italiana ed europea.
Nell’ottobre 2004, durante la seconda riunione collegiale del nuovo anno sco-lastico, i docenti dell’Istituto approvarono all’unanimità un ‘calendario laico’ da inserire nel Piano dell’Offerta Formativa: ogni scadenza avrebbe fissato momen-ti della ritualità civile finalizzamomen-ti a recuperare la memoria di evenmomen-ti passamomen-ti e, con-temporaneamente, a stimolare la consapevolezza del presente attraverso la co-struzione di un sapere storico non appiattito sui luoghi comuni.
Lo stimolo giunse dalla emanazione della Legge 92 del marzo dello stesso anno con cui veniva istituito il «Giorno del Ricordo» per conservare e rinnovare la me-moria di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.
Il 10 febbraio si aggiungeva alle altre date individuate dal Parlamento, dal Con-siglio Regionale, dallo stesso Istituto come momenti carichi di alto valore sim-bolico: 27 gennaio («Giorno della Memoria» in ricordo delle vittime della Shoah), 17 marzo (proclamazione dell’Unità d’Italia), 25 aprile (simbolo della Resistenza al nazifascismo), 30 novembre (Festa della Toscana in ricordo dell’abo-lizione della pena di morte), 10 dicembre (anniversario della Dichiarazione dei diritti umani). Negli anni avrebbero fatto parte dell’elenco il 21 marzo (in ri-cordo delle vittime della mafia), il 9 maggio (in riri-cordo delle vittime del terro-rismo, festa dell’Europa), il 9 novembre (Giorno della Libertà, in ricordo della caduta del muro di Berlino).
Si tratta di eventi distanti dal sentire e dal pensare dei giovani, avvolti dalla cultura quotidiana dello stordimento, abituati a vivere il tempo della frenesia e non della storia. In questi giorni dell’anno sono invece costretti a fermarsi, a pensare, ad ascoltare, a confrontarsi con fatti, testimoni, luoghi della storia. È il tentativo di uscire da una linea del tempo confusa, centrata su un