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impegno – istoreto

di riccardo marchis

1. Per conoscere i dettagli delle iniziative condotte e delle produzioni realizzate si veda il sito

Istoreto alla pagina http://www.istoreto.it/didattica/1002_home.htm ove sono enumerate per i diversi anni, sino all’a.s. 2003/2004.

Le scuole hanno saputo sottrarre un’opportunità preziosa di formazione ai rischi di un’adesione solo esteriore e hanno voluto dotarsi di chiavi interpretative che uniscano le singole tessere in un mosaico costituito dalla storia del secolo passato

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dall’insieme delle memorie emerge il racconto collettivo di una tragedia troppo presto dimenticata e un rimando essenziale allo studio del suo significato nella storia del nostro paese

gli eventi, ma anche dal silenzio che si stese, al sorgere della guerra fred-da, sulle tragiche vicende che li avevano visti incolpevoli protagonisti. Un silenzio animato da diverse e tuttavia convergenti motivazioni, sostenute dalle forze di governo e di opposizione, e rotto solamente dalle strumen-tali profferte provenienti dalla destra estrema, attardata in una visione di nazionalismo esasperato che riportava indietro nel tempo. Solo con la ca-duta del Muro la situazione venne a modificarsi e la memoria dell’esodo, gelosamente custodita dagli istriani e dalle loro associazioni, ha conosciu-to una rinnovata attenzione.

Dunque un ricorso doveroso alle testimonianze dei protagonisti, attraverso il con-corso prezioso dell’ANVGD del Piemonte, generoso tramite tra le comunità de-gli esuli e le scuole. Dall’insieme delle memorie emerge il racconto collettivo di una tragedia troppo presto dimenticata e un rimando essenziale allo studio del suo significato nella storia del nostro Paese, lungo le linee tracciate da una con-solidata storiografia, che ne rileva il carattere inequivocabile di conseguenza del-la sconfitta patita dall’Italia in una guerra disastrosa.

• L’analisi dell’esodo istriano in relazione ai giganteschi fenomeni di spostamen-ti di popolazione che caratterizzarono l’Europa al termine del secondo con-flitto mondiale, dal Mare del Nord all’Adriatico, in particolare ai danni del-le popolazioni del-legate – per loro storia – ai Paesi sconfitti. Un tema anch’esso poco studiato e volutamente ignorato a livello d’opinione sia nei Paesi che ne furono attori, sia in quelli che ricevettero i flussi di esodanti. Un atteggia-mento comune che rivelava un rapporto irrisolto con quel passato, che risulta oggi necessario conoscere nella prospettiva europea, per la densità di lezioni che contiene sul presente e per le chiavi di lettura che offre sui conflitti che – alle soglie del nuovo millennio – hanno fatto tristemente riparlare di esodi e persecuzioni contro i civili come strumento feroce della guerra.

• L’attenzione dedicata ai due termini «esodo» e «arrivo», congiuntamente con-siderati, con l’intenzione di analizzare non solo le forme dell’esodare ma an-che quelle dell’inserimento nelle nuove realtà di approdo, sparse per ciò an-che riguarda l’Italia in più di cento località, da Nord a Sud.

Questo versante di studi ha consentito, ad esempio nel caso di Torino e del Pie-monte, di analizzare l’itinerario compiuto dalla comunità istriana dai momenti spaesanti dell’arrivo nel campo profughi sino alla laboriosa partecipazione alla sta-gione della «grande trasformazione» e del «boom» economico, momento cruciale di costruzione di un rinnovato profilo delle nostre regioni e città, a cui altri mas-sicci arrivi venivano contribuendo in modo determinante, sospinti questa volta non dalla coercizione dell’esilio senza ritorno, ma dalle dure necessità del bisogno. Il ricostruire le vicende di questa presenza offre dunque motivi di studio legati

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studiare gli effetti delle politiche di opposte snazionalizzazioni e di negazione dell’altro e collegarli al presente ha consentito il realizzarsi di legami e risultati che si spera possano essere rinnovati in nuove occasioni di lavoro comune ai decenni dell’Italia repubblicana e alle pagine della sua modernizzazione,

sol-cata da fenomeni complessi e da laboriosi itinerari di integrazione come il caso torinese sta a mostrare.

• Un ulteriore motivo che ha percorso alcune significative esperienze è il tema del confronto sui temi dell’esodo tra le scuole delle due sponde dell’Adriati-co, nella prospettiva di una comune cittadinanza europea. Le attività condot-te per un triennio tra il 2003 e il 2006 da un gruppo di istituti superiori della provincia di Torino, in unione alle scuole italiane di Pola e Rovigno e al liceo sloveno di Trieste 2 hanno trovato nel corso del loro sviluppo complementari ragioni a sostegno nella concomitante iniziativa del Consiglio d’Europa che proclamò il 2005 anno europeo della cittadinanza attraverso l’educazione. Il filo conduttore e la trama sottesa alle varie tappe del progetto sono state iden-tificate nella genesi e nella fenomenologia dei pregiudizi identitari, nelle dina-miche dell’esclusione-inclusione, considerate una chiave di lettura antropologi-ca utile per affrontare gli eventi drammatici che contraddistinguono e accomu-nano spesso le vicende delle regioni confinarie. Le iniziative di studio adottate di conseguenza e i due seminari di contatto effettuati a Torino e in Istria hanno consentito l’articolazione del lavoro in numerosi ambiti di ricerca didattica im-pegnando nella loro esecuzione, in particolare, la ricca «letteratura di confine» e le complesse identità che vi si rivelano, attraverso le opere di autori come To-mizza, Pahor, Madieri, Milani, Mori, Bettiza; inoltre i rapporti storia/memoria e storia locale/storia generale, e ancora, con gli strumenti messi a disposizione dalle scienze sociali, l’indagine delle antinomie amico/nemico, inclusione/esclusione e l’analisi del particolare «confine mobile» che si pone tra sé e gli altri.

Studiare gli effetti delle politiche di opposte snazionalizzazioni e di negazione dell’altro, e collegarli al presente, ha rappresentato ben più di un richiamo ai me-ditati documenti europei che manifestavano il condivisibile bisogno di «rinfor-zare la comprensione reciproca e la fiducia tra i popoli, in particolare attraverso un programma d’insegnamento della storia mirato a eliminare il pregiudizio e a evidenziare le mutue influenze positive tra differenti Paesi, religioni e idee, nello sviluppo storico dell’Europa» 3. Ma ha consentito il realizzarsi di legami e risul-tati che si spera possano essere rinnovati in nuove occasioni di lavoro comune.

2. Il gruppo di scuole partecipanti comprendeva: Istituti d’istruzione superiore «Roccati» di

Carmagnola, Liceo scientifico «Gobetti» di Torino, Liceo scientifico «Segré», di Torino, Liceo scientifico «Juvarra» di Venaria, Scuola media superiore italiana di Rovigno, Scuola media su-periore italiana «Dante Alighieri» di Pola, Liceo «Prešeren» di Trieste. Soggetto esterno: Istoreto.

3. Cfr. Conseil de l’Europe, Comité des Ministres, Recommandation Rec (2001) 15 relative à l’enseignement de l’histoire en Europe au XXIe siècle.

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«L’esodo cominciò quindi sin da allora [si fa riferimento al 1945, NdA], aggra-vandosi col passare dei mesi: qualcuno ovviamente rimase, ma è certo che la maggioranza degli italiani dell’Istria e della Dalmazia – con l’eccezione, fino al 1947, di Pola, che era stata occupata dalle truppe anglo-americane – se ne andò da quelle terre per una serie di valide motivazioni. Innanzitutto, fondamentale, il motivo nazionale: era chiaro che gli jugoslavi avrebbero mirato a snazionalizzare città etnicamente italiane in maggioranza (come Fiume, Pola, Zara). Basti pen-sare che avevano avanzato pretese su Trieste e Gorizia sin dal 1919, alla Confe-renza della Pace […]. Esistevano poi motivazioni di carattere socio-politico, dal momento che non solo la borghesia, ma gli operai stessi non desideravano, nella loro maggioranza, vivere sotto un regime comunista di tipo staliniano, con una economia completamente statizzata e nella totale assenza di libertà, quale esiste-va nel 1945 in Jugoslavia» 1.

È bene chiarire che la popolazione di lingua e cultura italiane dell’Istria, del-la regione del Quarnero con Fiume, e di Zara, era autoctona, ovvero di anti-co insediamento storianti-co, non dunque «importata» dall’Italia nei primi decen-ni del Novecento, dopo la Prima guerra mondiale e durante il regime fasci-sta, come una determinata versione ha tentato di accreditare presso l’opinione pubblica contemporanea.

Il lungo, secolare processo di identificazione con la cultura e la lingua della Pe-nisola si alimentò degli stretti legami con Venezia e delle intense relazioni con la sponda occidentale dell’Adriatico, dalle Marche sino alla Puglia, in ogni setto-re e disciplina: dal commercio all’arte, dalle setto-reciproche feconde interfesetto-renze

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