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giorno deL ricordo»

di giuliano albarani, marzia Luppi, paolo davoli

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nell’italia del 1946 e dei decenni successivi, anche attraverso la presenza capillare, nella società e nello stato, dei partiti di massa, si è realizzata una straordinaria seppur incompleta pedagogia della vita repubblicana

La prospettiva del nostro istituto è quella di poter contare sul supporto istituzio-nale ed organizzativo, dell’amministrazione scolastica – ed in particolare dell’Uf-ficio scolastico provinciale di Modena – per poter realizzare, in futuro, a partire dagli interessi aggregati nel corso della corrente annualità scolastica e potendo contare sulla consulenza scientifica delle istituzioni culturali che si occupano di storia del Novecento nel nostro territorio, momenti di formazione e di alta di-vulgazione in direzione del mondo della scuola collegati allo spettro di vicende evocato dalla legge istitutiva del «Giorno del Ricordo».

L’istituto può contare anche sulla collaborazione dell’amministrazione comunale di Carpi, a maggior ragione in seguito alla recente deliberazione assunta all’una-nimità dal locale Consiglio comunale, che ha deciso di ricordare la vicenda dei profughi giuliani ed istriani riparati nel nostro territorio nel corso degli anni Cin-quanta mediante l’apposizione di una targa presso l’ex campo di concentramen-to di Fossoli e con interventi di valorizzazione della sconcentramen-toria dell’esodo rivolti alla cittadinanza e alle scuole.

Questo gesto, evidentemente, non rappresenta solo un importante tappa nella ricomposizione della complessa memoria locale del Novecento: in questo pas-saggio, come in tanti altri, analoghi, che si vanno consumando altrove (valga per tutte, a titolo esemplificativo, la recente intitolazione, a Modena, di una via in ricordo dei «martiri delle foibe»), è ravvisabile il segno di una graduale ma rile-vante modificazione del senso attribuito alle tante memorie marginali, laterali, di gruppo, che hanno avuto circolazione carsica nel difficile dopoguerra italiano e fino a tempi relativamente recenti.

La Repubblica uscita dalle macerie della Seconda guerra mondiale e frutto della stagione dell’unità antifascista e della Costituente è nata infatti anche attraverso il doloroso sacrificio di quelle narrazioni (fra le quali il ricordo delle foibe e del-lo svuotamento delle comunità itadel-lofone d’oltre-adriatico) non funzionali alla costruzione di una cittadinanza democratica in forte discontinuità sia con i pa-radigmi dello Stato liberale sia, ovviamente, con i modelli di partecipazione pas-siva promossi dal fascismo.

Nell’Italia del 1946 e dei decenni successivi, anche attraverso la presenza capil-lare, nella società e nello Stato, dei partiti di massa, si è realizzata una straordina-ria seppur incompleta pedagogia della vita repubblicana, che ha trasformato in soggetti attivi e militanti milioni di uomini e donne abituati, per disagiate con-dizioni socio-economiche, per deprivazioni culturali o semplicemente per una collocazione geografica periferica, ad essere «sudditi» o, alla meglio, spettatori della vita politica. Per rafforzare la cultura della partecipazione e della responsa-bilità non si poteva non trascegliere, dall’esperienza del grande conflitto da poco alle spalle, i modelli che incarnavano la scelta, la dedizione del singolo al collet-tivo, la consapevolezza politica, l’impegno civile, cioè, in sostanza, gli straordi-nari modelli offerti dagli antifascisti «storici» e dai partigiani. Viceversa, nessun peso e nessuna valenza civica hanno avuto i riferimenti a vicende, pure tragiche

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crediamo che sia maturo il tempo per una riconsiderazione laica e solidale di tutte le memorie e spesso impressionanti per dimensioni, che parlavano di sofferenze, di

resisten-ze passive, di umile e dolente abnegazione di fronte alla forza degli eventi bellici. Per questo motivo, a nostro parere, il ricordo degli infoibamenti del 1943 e del 1945, nonché delle migrazioni forzate a cavallo della metà del secolo, non ha avuto ospitalità nel discorso pubblico del nostro Paese: come il racconto delle vittime dei bombardamenti anglo-americani al Sud, come la memoria delle po-polazioni rastrellate e spesso brutalizzate dai nazisti lungo la dorsale appennini-ca, come la testimonianza della desistenza, rispetto ad ogni guerra e soprattutto rispetto all’alleanza italo-tedesca, messa in campo dagli internati militari italiani. Ad un Paese che voleva sentirsi vincitore e percepirsi diffusamente antifascista – e doveva sentirsi vincitore e percepirsi diffusamente antifascista se voleva da-re sostanza e alimento alla altrimenti estrinseca forma della costituzione da- repub-blicana e alla nuova stagione democratica – gli infoibati, i profughi dell’Istria e della Venezia Giulia, nonché, per dirla con il testo istitutivo del «Giorno del Ri-cordo», tutta la «complessa vicenda del confine orientale» (quello italo-jugosla-vo, almeno a partire dal primo dopoguerra), rammentavano cose spiacevoli: che l’antifascismo poteva essere anche violento, revanscista e nazionalista, come nel caso del movimento di liberazione jugoslavo e della sua politica di occupazione sconfinante nella pulizia etnica; che l’Italia la guerra l’aveva fondamentalmen-te persa; che gli italiani, presunta «brava genfondamentalmen-te», si erano diffusamenfondamentalmen-te resi com-plici, nel ventennio mussoliniano di eradicazione dell’identità slava e nel qua-driennio di occupazione fascista-nazista delle terre della Slovenia e della Croa-zia, di politiche aggressive e di veri e propri crimini di guerra. Questo dicevano, e dicono ancora oggi, le storie identificate con la data del 10 febbraio, e i ricor-di da esse promananti.

Rispetto alla lunga stagione del dopoguerra, crediamo che sia maturo, soprat-tutto al cospetto delle nuove generazioni e nella concreta pratica didattica, il tempo per una riconsiderazione laica e solidale di tutte le memorie, anche quel-le non eroiche ed esemplari, ma profondamente umane, che il secolo dei to-talitarismi e delle distruzioni di massa ci ha lasciato in eredità. Nella speranza di consegnare alle generazioni emergenti una lettura della storia sfaccettata ed inclusiva, nella quale tutti possano riconoscersi, e non l’insopportabile zavor-ra di un passato che non passa.

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[…] quel dolore che S. Quasimodo ha sintetizzato nell’immagine dell’urlo nero della madre che si vede strappare i figli e rimane agghiacciata mentre lei stessa comincia a non esistere più!

Il lavoro degli storici, ma soprattutto quello dei docenti che, con i propri alunni, decidono di affrontare una indagine conoscitiva di eventi drammatici, diventa fondamentale affinché le giovani generazioni restituiscano la dignità della giusta memoria a migliaia di individui.

La Legge n. 92 del 30 marzo 2004, che istituisce il 10 febbraio come «Giorno del Ricordo» delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, è già di per sé indice di un mutato atteggiamento da parte della comunità nazionale nei con-fronti di una popolazione violentata dalla storia.

Per tale occasione le istituzioni richiedono alle scuole di preparare un adeguato intervento che valorizzi la giornata e proponga la conoscenza degli eventi. A questo punto il primo grosso problema da affrontare riguarda il tentativo di leggere in modo realistico e critico gli eventi accaduti, quando ancora oggi essi possono presentare chiavi di interpretazione diverse. Di certo nel 1941, nel qua-dro di tensione tra italiani e slavi, si intensificarono gli atti di violenza contro Sloveni e Croati in Istria: infatti la politica di bonifica etnica del confine, così definita nei documenti fascisti, avviata nel decennio precedente, si affiancò alla repressione dell’antifascismo partigiano, con casi di rappresaglie, incendi di vil-laggi e internamenti della popolazione civile. Nel 1943 la Prefettura del luogo evidenziava un diffuso senso di paura di vendetta che avrebbe potuto spingere successivamente le popolazioni slave ad infierire contro gli Italiani dell’Istria e