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CAPITOLO II BIBLIOTECONOΜIE E ΜETODOLOGIA QUALITATIVA

2.2 Biblioteconomia sociale

Di fronte alla varietà delle ipotesi teoretiche, si è scelto di procedere verso la proposta di Chiara Faggiolani, Anna Galluzzi e Giovanni Solimine. Essa si allontana dall’assioma documentale, bibliografico o conoscitivo/informazionale, per avvicinarsi maggiormente all’interazione diretta del ricercatore con l’utenza, cosa che è già stata avviata attraverso la messa in pratica del paradigma gestionale.

Il paradigma soggiacente alla biblioteconomia gestionale si basa ampiamente, però, ai fini conoscitivi, sull’indagine statistica. I dati raccolti possono essere tra i più diversi: dalla quantificazione della soddisfazione dell’utenza per mezzo di questionari32, al rilevamento

della capacità reale della biblioteca di raggiungere il pubblico per mezzo del numero di prestiti, accessi, iscritti ecc. Questo implica in qualche modo che la biblioteca sia giudicata in virtù della sua capacità nell’aumentare o meno gli indici statistici.

Tale approccio è stato più e più volte, almeno nelle scienze sociali, messo in dubbio in quanto i numeri non riescono fino in fondo ad esprimere quale possa essere la vera percezione della biblioteca, il senso del recarvisi, il valore della stessa da parte di chi la usa. Infatti, nonostante il calo degli indici, non è detto che il servizio sia per forza peggiorato, così come il contrario. Inoltre si è anche fatta esperienza diretta della potenziale fallacia delle statistiche, in quanto la fiducia nella serietà di chi è chiamato a rispondere ai questionari non sempre è ben riposta.

La biblioteconomia sociale, così come intesa dalla Faggiolani, adotterebbe un approccio decisamente diverso: si tratterebbe, in virtù dei contesti descritti al capitolo I, alla complessità della società e dei limiti degli strumenti fino ad ora adottati dalla biblioteconomia, di applicare un approccio qualitativo alla ricerca in biblioteca. Questo approccio dovrebbe rispondere ai campi scoperti rispetto alle indagini svolte: vissuto degli utenti; aspettative che si ripongono nell’esperienza di servizio; identità percepita.

32 Solitamente tale quantificazione è ottenuta attraverso l’istituzione di una scala numerica in virtù della quale ad una cifra corrisponde il grado di soddisfazione dell’utente.

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E’ in questo contesto di complessità, in cui si richiede alle indagini in biblioteca un obiettivo conoscitivo più profondo, come è quello di indagare il senso che assume la frequentazione della biblioteca per l’individuo, senza scindere tale fenomeno dal contesto di riferimento, che la ricerca qualitativa si profila come uno strumento coerente e valido. [Faggiolani, 2012, p. 18]

Si tratta di un metodo ampiamente usato nelle scienze sociali, soprattutto quelle antropologiche, grazie al quale sarebbe possibile indagare in profondità il senso che assume la frequentazione della biblioteca per gli individui «senza scindere tale fenomeno dal contesto di riferimento» [Ibidem]. Questo, ad ogni modo, non escluderebbe l’ausilio pur sempre utile della raccolta di dati normalmente effettuata. La ricercatrice romana, infatti, parla dei «cinque sensi della biblioteca» per quanto riguarda le indagini classiche, cui aggiungere però un «sesto senso», ossia le indagini qualitative.

Nel lavoro presente di fondamentale importanza è stato il manuale di Alison Jane Pickard,

La ricerca in biblioteca, e La ricerca qualitativa per le biblioteche di Chiara Faggiolani,

grazie ai quali si son trovati i presupposti teorici e le indicazioni pratiche per la ricerca. L’indagine qualitativa, alla pari di altri tipi di ricerca (quantitativa ecc.), si pone su un processo epistemologico che prevede diversi livelli concettuali gerarchicamente subordinati tra loro. Si tratta di astrarre e schematizzare le fasi che, tradizionalmente, sono chiamate ‘presupposti teorici’, ‘metodologia’ o ‘metodo’; sono, in realtà, un susseguirsi di decisioni rispetto alle diverse possibilità teoriche e pratiche da usare ai fini della coerenza e della validità scientifica della ricerca. Pickard individua 5 livelli entro cui codificare i passaggi necessari affinché lo studio possa prendere corpo e dipanarsi: il paradigma, la metodologia, il metodo, la tecnica e lo strumento.

I paradigmi sono il positivismo, il postpositivismo e l’interpretativismo le cui visioni del mondo (o punto di vista ontologico) sono, rispettivamente, il realismo, il realismo critico e il relativismo. La scelta di un paradigma, normalmente, comporta anche la scelta delle fasi successive: il paradigma positivista prevede la metodologia quantitativa, il metodo sperimentale e determinate tecniche e strumenti per la raccolta dei dati, ad esempio. Tralasciando le prime due e concentrando l’attenzione su quella prescelta (l’interpretativismo e il relativismo), si tratta della consapevolezza che possono esistere realtà multiple «e costruite, che non possono esistere fuori dai contesti sociali che le creano» [Pickard, 2010, p. 55]. A questo si aggiunga che, nel lavoro presente, si escludono derive nichiliste o relativiste tali secondo le quali la realtà materiale stessa è messa in discussione.

Epistemologicamente parlando, la conoscenza (i risultati della ricerca, ossia i dati e la loro elaborazione) viene prodotta dall’interazione tra il ricercatore e l’oggetto della ricerca,

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mentre il mezzo adoperato affinché questa interazione possa compiersi (la metodologia) è quello dell’interazione empatica. La finalità, in ultima, è la comprensione/ricostruzione dei dati raccolti.

La metodologia

è la prospettiva teorica della ricerca, ovvero la natura complessiva dell’attività di ricerca, anche se il termine viene applicato a molti aspetti del processo di ricerca nelle diverse discipline […] La metodologia è la prospettiva, il punto di vista che il ricercatore vuole adottare sull’oggetto dell’indagine. [Pickard, p. 44, 2010]

In questo caso si è scelta la metodologia qualitativa, ossia un punto di vista che deriva dall’ammissione dell’esistenza di percezioni diverse rispetto allo stesso oggetto e che predilige determinati metodi e tecniche affinché quelle percezioni vengano portate alla luce. Essa necessita di adattarsi all’impossibilità di delineare con precisione le ipotesi di partenza, ma è costretta ad elaborare i risultati induttivamente cambiando, se necessario, le domande cui si vuole dare una risposta mano a mano che i dati sono raccolti, infatti «Il disegno emergente della ricerca qualitativa non consente di predisporre una pianificazione dettagliata prima che la ricerca abbia avuto inizio» ed è dunque necessario essere muniti di flessibilità ed apertura agli imprevisti che si possono incontrare.

Il metodo di ricerca, invece, «è un sistema definito, creato dal ricercatore per intraprendere una ricerca empirica di tipo investigativo» [Ivi, p. 45]. In questo caso, il metodo scelto è lo studio di caso.

Le tecniche di ricerca sono le modalità entro cui vengono raccolti i dati e possono essere le più svariate: questionari, interviste, osservazioni ecc.

In ultima, gli strumenti sono i mezzi fisici attraverso cui le tecniche vengono messe in pratica. Si tratterà dunque di scegliere se, in un’intervista ad esempio, è meglio usare carta e penna o è più conveniente usare un registratore; se è meglio far compilare dei questionari su carta o su dei file digitali.