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L’emarginazione e la sicurezza

CAPITOLO VII RIELABORAZIONE DEI RISULTATI E CONCLUSION

7.3 L’emarginazione e la sicurezza

Dalle interviste e dall’osservazione è emerso che l’area di Μestre in questione vede manifestarsi un fenomeno che potrebbe essere classificato come di emarginazione. La (scarsa) narrazione che si è riusciti a ricavare della zona, consiste di un corpo negativo: lo studente liceale mestrino intervistato, ad esempio, sosteneva «questa piazza qua, Piazza Sicilia – adesso Piazza Donatori del Sangue – è sempre stata una zona abbastanza brutta, dove c’era un bel po’ di casino». La bibliotecaria FTE, poi, sostiene che l’area in questione ha vissuto una rivalorizzazione all’interno di un progetto di riqualificazione urbana: è implicito si trattasse di una zona come minimo poco curata, altrimenti un progetto di riqualificazione non avrebbe avuto senso.

Sempre grazie alle interviste, è emerso che si possa quasi parlare di un ‘prima’ e di un ‘dopo’ il cui punto di rottura è rappresentato dall’installazione dei tornelli e dall’inserimento della guardia, avvenuti entrambi nel 201689. Lo scopo si deduce sia

ascrivibile a motivi legati alla ‘sicurezza’ in un’ottica che ben poco ha a che fare con il rischio di farsi del male a causa dell’incuria degli ambienti. E’ assimilabile piuttosto al teorico danno e al teorico disturbo che delle persone in particolare potrebbero arrecare agli utenti e, su scala più ampia, agli abitanti della zona. Dopodiché, a rendere il luogo ancora più sicuro si è pensato di installare quasi una telecamera per locale e una sorprendente quantità di avvisi scritti e divieti. Questi consistono spesso in inviti a non consumare bevande e cibarie nelle aule studio; a riporre i libri sui carrelli dopo il loro utilizzo; a usare i bagni in maniera appropriata; a non studiare nei posti in cui si legge il giornale; si tratta dunque di ‘promemoria’ più che a dei veri e propri divieti. Ciononostante, restano dei simboli di quanto sia necessario ricordare le regole all’interno dell’edificio e di quanto sia necessario - usando le parole di un’utente - «mettere ordine».

89 Si vedano gli articoli http://www.veneziatoday.it/cronaca/inaugurazioni-tornelli-biblioteca- vez.html e https://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2016/02/10/news/tornelli-anti- degrado-alla-biblioteca-vez-pronti-tra-due-mesi-1.12939051 consultati in data 03/06/2019.

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Le politiche messe in atto dall’amministrazione in questo senso sono quelle dell’allontanamento del ‘pericolo’, escludendolo dall’accesso al luogo e, sembra, dall’area. E con efficacia. Le persone in questione non sembrano avere più accesso alla biblioteca, tanto che il ‘dopo’ emerge come un periodo in cui i senza fissa dimora non sono più entrati ai fini di creare «disguidi»90 - a volte disturbanti, come dormire sui tavoli,

schiamazzare - e tanto da far ammettere a una bibliotecaria che «gran parte dell’utenza con cui ho avuto un colloquio ha apprezzato la politica della dirigenza e di chi ha organizzato questo tipo di filtro. Ha permesso effettivamente di evitare che persone entrassero a disturbare oppure a comportamenti molesti».

Se l’utente medio sembra aver apprezzato il tipo di politica varato dall’amministrazione – tranne il caso di una sola utente tra quelle intervistate - per quanto riguarda il bibliotecario e l’agenzia si aprono due ordini di problemi: il primo è di natura etica, mentre il secondo è stato anticipato proprio dalla studentessa ed è di natura più ampiamente sociale.

Tra i valori che dovrebbero regolare la professione, vi è quello del fornire la possibilità di accesso alle informazioni a tutti [Ridi, 2011, p.77]. L’accesso, al giorno d’oggi, si attua mediante la predisposizione di due vie: quella fisica – ovvero attraverso l’edificio e le collezioni in esso contenute e attraverso l’accesso elettronico che permette il reperimento di risorse digitali il quale, a sua volta, necessita spesso dell’accesso fisico. Esso è negato a determinate categorie di persone, marginali numericamente, socialmente marginalizzate e ulteriormente escluse da politiche in tal senso91. Dal punto di vista della

deontologia professionale, dunque, si assiste alla possibile violazione di un principio e del diritto delle vittime ad usufruire dello spazio in questione.

Dal punto di vista sociale, escludere persone già di per sé veicolanti numerose problematiche psicologiche, non sembra possa essere una soluzione al loro reintegro nel tessuto sociale – per quanto questo possa risultare difficile. Si cerca invece di ‘spostare’ il problema a pochi isolati di distanza. A questo punto ci si dovrebbe chiedere perché una biblioteca dovrebbe sobbarcarsi tale compito, visto l’esistenza di agenzie ad esso dedicate e vista la cronica mancanza di fondi. L’insufficienza della copertura finanziaria, in

90 Parola espressa da una utente intervistata.

91 La studentessa di scienze sociali, a tal proposito, parlava di «vittimizzazione secondaria». Si tratta di un concetto che concerne la vittimologia, ma di cui non si è approfondito l’uso nella fattispecie presente.

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particolare, implica l’erogazione di servizi di base già di per sé carenti e, dunque, ben lungi dal poter fornire servizi di altro genere [Ridi, 2014]. La risposta che si vuole dare necessita di un paio di premesse: la biblioteca eroga servizi tradizionalmente ascrivibili al welfare nella misura in cui l’accesso all’informazione è riconducibile alle politiche orientate a mitigare le differenze sociali (economiche, culturali, di opportunità ecc.). La seconda premessa è più un dato di fatto: l’amministrazione comunale veneziana, a causa - si suppone - di una serie di orientamenti politici, destina parte delle risorse economiche verso l’implementazione degli apparati di sicurezza (telecamere, guardie ecc.) nell’ottica di «protezione di esso [il proprio fisico] da possibili aggressioni» [Battistelli, Paci, 2008, p.6]. Non si potrebbe dunque destinare i finanziamenti utilizzati in questa politica in modo diverso? Sarebbe decisamente più costruttivo se le risorse – evidentemente esistenti – venissero usate per avviare attività che, come suggeriva la studentessa di scienze sociali, invece di escludere strati di popolazione estremamente vulnerabile, venissero inclusi e incoraggiati all’uso della biblioteca, magari in collaborazione con i servizi sociali e aventi come fine l’integrazione delle stesse per mezzo di attività che prevedano l’uso dei documenti. In questa prospettiva non è necessario dover trasformare Villa Erizzo in una costola di altri organi comunali, bensì renderla parte integrante – secondo le proprie possibilità – di un sistema più ampio che comprenda anche un servizio per quelle persone.

Per farlo sarebbero necessari, tra le altre cose, spazi adeguati.