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CAPITOLO IV IL CONTESTO COΜUNALE

4.4 Contesto antropologico

Come sottolineato, la Terraferma presenta un tasso di stranieri più elevato rispetto a gran parte delle altre città italiane. Questa particolarità non fa che complicare, dal punto di vista sociale e culturale, una situazione tradizionalmente frammentata. L’entroterra presenta infatti un’identità che Casarin definisce «’leggera’», anzi, una somma addirittura di più identità ‘leggere’ assieme, in contrapposizione all’identità «forte» e miticizzata delle altre due zone geografiche. Questo a causa del modo piuttosto frettoloso attraverso il quale la città si è sviluppata nel corso degli ultimi due secoli: la costante crescita demografica fu causata solo in parte minoritaria dal saldo positivo delle nascite rispetto alle morti; gran parte dell’incremento e dell’attuale stabilizzazione erano, e sono tutt’ora, dovuti all’immigrazione.

Il fenomeno migratorio è composto da diverse fasi durante le quali gli apporti di popolazione avevano come punti di partenza alcune particolari zone. Una prima fase corrisponde a quella che riguarda tutto il XIX secolo e, almeno, fino agli anni ’30 del XX, in quanto gran parte degli immigrati proveniva dai comuni limitrofi e della provincia di Venezia.

La seconda fase dell’accrescimento – a partire dagli anni ’30 - è caratterizzato dall’apporto maggioritario di abitanti provenienti dalla laguna. Se in un primo momento molti di questi furono costretti ad andarsene, successivamente (soprattutto nel primo dopoguerra e almeno fino agli anni ’60), il movimento in direzione della Terraferma fu sospinto «dalla retorica del vivere moderno». Nello stesso periodo Il tradizionale bacino di importazione di manodopera si ampliò fino a comprendere il resto del Veneto; dalla seconda metà degli anni ’50 si ampliò al resto d’Italia e, dagli anni ’80, ai paesi stranieri.

Lungo il corso del tempo si venne a creare così una situazione in cui gli autoctoni della Terraferma si mescolarono via via con genti provenienti da zone diverse della campagna

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circostante, persone che provenivano da una cultura legata sostanzialmente alla terra e alla sua coltivazione, ma che dovettero adattarsi progressivamente e velocemente alle regole e ai tempi dell’economia industriale. A questi si aggiunsero, a partire dal periodo del regime fascista, i primi migranti veneziani provenienti dalle classi popolari54. Gli

abitanti della laguna portarono con sé il loro retroterra culturale, il quale era molto diverso da quello degli autoctoni poiché legato ad un’economia differente e da dinamiche a sé stanti. A volte queste diversità si sublimavano in una specie di sentimento di superiorità degli veneziani nei confronti degli altri concittadini (famoso è il termine con accezione negativa campagnoli tutt’ora utilizzato) - un po’ sul solco con quello tipico delle classi dirigenti veneziane nei confronti dei sudditi dei domini tipico dell’epoca della Serenissima, e persistente anche quando Venezia perdette il ruolo di capitale di uno stato:

è indubbio che dall’operaio della Giudecca al nobile di San Polo la percezione di Μestre, con tutte le sfumature possibili, era accomunata dall’opposizione dialettica città-campagna, in cui oltretutto la città era dominante e la campagna suddita. E, ulteriore aggravante, città d’acqua, città di mare per la quale il contatto con la terra è sempre stato percepito quasi come qualcosa di impuro, comunque delegato ad altri. [Casarin, 2009 b, p. 76-77]55

In questo complesso incrociarsi di culture e di sub-culture diverse (di classe, di provenienza, di genere e anche di età), vi furono però dei sentimenti esperienziali condivisi - frequenti in tutte le aree di nuovo sviluppo urbano - come l’estraniamento, rispetto ai nuovi ritmi e luoghi, e lo sradicamento, rispetto alle vecchie residenze e ai punti di riferimento, da cui scaturivano spesso sentimenti di dolore per la perdita della propria casa e del proprio mondo, di nostalgia e di fuga. Queste problematiche, paradossalmente, funsero anche da volani per i processi di aggregazione e di costruzione identitaria, in linea con quelle dinamiche tipiche della società solido-moderna vista in apertura. Claudio Pasqual scrive al riguardo:

penso che un potente catalizzatore per molti nuovi mestrini del senso di appartenenza alla città e per l’integrazione siano state le lotte, la mobilitazione sociale, le battaglie collettive intraprese a partire da situazioni concrete per rivendicare diritti e vedere soddisfatti bisogni comuni. In questo

54 La prima migrazione di veneziani ebbe come soggetti attivi membri delle classi più agiate che investivano capitali nei settori produttivi della Terraferma. La seconda, decisamente più massiccia, vide protagonisti passivi persone delle classi popolari e fu dovuta – riporta Casarin – alla necessità di rendere più abitabile un centro storico sovraffollato le cui condizioni igienico-sanitarie erano da tempo precarie, tanto che molte persone vivevano in baracche senza alcun servizio, e ulteriormente peggiorate a causa della crisi economica del ‘29. A questo si sommò la necessità, da parte delle autorità, di isolare e controllare nuclei famigliari anti-fascisti. Tutto ciò fu agevolato dall’accorpamento di Μestre, Chirignago, Zelarino, Μarghera ecc. in un unico comune nel 1926. 55 Un disprezzo che, in alcune aree, era ricambiato dagli abitanti delle campagne [Casarin, 2009 b, p.79].

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senso, e non solo in termini di direzione e di efficacia della protesta, un contributo significativo hanno dato forme organizzate di partecipazione dei cittadini. I partiti, e in particolare, in due rioni popolari e operai, il PCI, sono stati importanti non soltanto come centri di formazione politica ma anche per la crescita dello spirito civico.56

Ad oggi, gli abitanti dell’epoca post-industriale, liquido-moderna, postmoderna o come si voglia chiamare, non sembrano più avere gli appigli aggregativi e identitari socio-politici dell’epoca precedente. Piuttosto, gli abitanti di Terraferma sembrano dividersi tra un senso di appartenenza a Venezia – vista come la propria città - e un binomio di appartenenza interno alla Terraferma che vede una polarizzazione tra mestrini e

mestrinità. I primi comprendono tutti gli abitanti, italiani e non, mentre i secondi

specificatamente gli autoctoni mestrini il cui legame risale almeno al secolo XIX [Casarin, 2009 b, p. 82-83]. Tra i mestrini, inoltre, si ricordi che esistono tradizionalmente vaste porzioni di persone che hanno usato la città come dormitorio nei momenti in cui questa raggiunse la massima espansione economica. Oggi, piuttosto, è florido il fenomeno dei pendolari, di cui fanno parte studenti (giornalieri e domiciliati), lavoratori e turisti che transitano con destinazione Venezia o che vivono Mestre solo per porzioni della giornata.

L’area in questione è stata per secoli soggiogata alla Dominante come centro in cui i nobili costruivano le proprie residenze di campagna e come punto di passaggio tra Venezia e il resto del continente; allora, quantomeno, esisteva però un piccolo centro storico circondato da una cinta muraria ben distinto dalla campagna circostante. Oggi, invece, la Terraferma è la parte maggioritaria (in termini demografici e di servizi) dell’intero comune, ma con una memoria di sé piuttosto carente: la fisionomia dell’antico abitato venne modificata già a partire dalla seconda metà dell’800. Ciò che resta di esso, Piazza Ferretto e qualche altra via, è priva delle antiche mura e senza parte degli edifici più antichi, sostituiti in nome del progresso da edifici moderni o dal mutare dei bisogni

56 Estrapolato dall’articolo Come si diventa mestrini? Discorso di antropologia urbana presso la pagina web https://storiamestre.it/2015/06/come-si-diventa-mestrini/ consultato in data 11/04/2019. L’intervento di Pasqual rientra nell’incontro Uno sguardo psicoanalitico. La città di

Mestre negli anni ’50 e ’60, avvenuto l’8/05/2015. A queste modalità di aggregazione si aggiungono

i riti tradizionali provenienti dalla campagna e dal mondo contadino, come Brusar la vecia portati con sé dai migranti veneti, e i riti civico-politici di impronta moderna, come le feste dell’Unità. Da notare la pressoché totale scomparsa delle cerimonie tradizionali, e l’involuzione partecipativa a quelle politiche. Ultimo aspetto: Pasqual parla del sobborgo operaio di San Μarco, dunque non è detto che in tutte le zone si presentassero le stesse dinamiche.

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economici57. Proprio a causa della celerità nello sviluppo, sembra che Mestre sia

condannata a restare parte maggioritaria, ma dall’identità debole e instabile.

Di fronte questo luogo non-luogo, che assume spesso e volentieri la fisionomia di zona di transito per mete ben più invitanti e dove un’identità condivisa sembra così difficile da scovare, Sergio Barizza tira delle conclusioni abbastanza amareggianti:

E se i mestrini, come più di qualcuno si ostina a pensarli, non esistessero? Se fossero dei semplici cittadini del mondo, portati a vivere e lavorare sui bordi della laguna un po’ da ogni dove, attratti forse più dalle merci di Panorama, Auchan o Valecenter che da un museo per mirarvi Tiepolo, Tiziano e persino Andy Warhol? Se solo volessero vivere, conoscersi, integrarsi all’interno dei solchi e dei segni della memoria di quella «città del Novecento» in cui si trovano ad abitare? [Barizza, 2002, p.2350]

L’affermazione di Barizza è probabilmente esagerata o, al limite, si può ritenere una provocazione. Recentemente, infatti, da parte dell’amministrazione vi sono segni di una certa attenzione nei confronti della riqualificazione urbana, nel tentativo di dare una svolta al benessere dei suoi cittadini e di dare loro una città che non funga solamente da appendice di Venezia: ne sono degli esempi l’edificazione del parco San Giuliano, ultimo di una serie di interventi atti a rinverdire una città che sembra avesse il tasso di verde per abitante tra i più bassi d’Europa; altro esempio sono proprio le recenti iniziative in campo culturale come l’apertura della VEZ presso Villa Erizzo, il Museo ‘900 presso un ex convento cinquecentesco, il recupero del complesso di fortificazioni della Terraferma.

Se il senso di appartenenza ad un insieme di persone non dovesse essere sufficientemente implementato attraverso questi canali, quantomeno non si può non pensare che esiste una zona in cui abitano delle persone e che ognuna di queste abbia in comune con le altre il fatto di condividere determinati spazi e determinate regole.