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La metafisica del bene, il bene fisico e il bene morale

2. Dal bonum naturae al bonum consuetudinis: causa materiale e cause formali di atti moralmente buon

2.1 Il bonum naturae

Alberto procede con il metodo della divisione e investiga varie tipologie di bene nella seconda quaestio di questo primo trattato. Il bene può essere di due tipi: naturale o morale. Alberto vuole «contemplare prima di tutto la ricchezza metafisica del bene, attraverso lo studio concreto delle creature, per poi vedere nel loro agire le creature razionali, cioè quelle che sono le sole capaci di atti morali, in quanto attuino razionalmente e volontariamente i fini della loro natura»57.

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Il bonum naturae è il bene fisico che si manifesta in vari modi nel creato. Alberto si imbatte in vari generi di divisione del bene fisico. Nel Libro

della sapienza 11,21 si legge che Dio ha «regolato tutto in numero, peso e

misura»58; Agostino parla invece di «modo, specie e ordine»59; a Bernardo

di Chiaravalle è erroneamente attribuita la divisione in uno, vero e bene. Anche stavolta, come in altre occasioni, Alberto presenta varie posizioni per poi accordarle tutte. Queste affermazioni sono, almeno parzialmente, tutte vere, in quanto «le divisioni del bene sono parti di una divisione del tutto potestativo o virtuale»60, da cui risulta una gerarchia di perfezioni in cui

l’ultimo grado è quello più perfetto e contiene in sé virtualmente tutti i gradi precedenti.

Il termine potestativum è usato di rado, ancor meno se ci troviamo in un ambito non giuridico, in cui è oggi quasi esclusivamente impiegato nella lingua italiana. Tuttavia è possibile rintracciare un’ombra di significato dalla radice potestas: potere, forza, efficacia. Dunque qui Alberto intende sottolineare la forza del dinamismo del bene. Cunningham compie a proposito di questo termine una breve digressione tra le pagine 106 e 108: il termine potestativum viene infatti impiegato da Alberto in numerose occasioni (verrà applicato, ad esempio, all’anima in un commento al De

divisione di Boezio e alle parti delle varie virtù rispetto alla virtù di cui sono

parte). Per chiarire il termine Cunningham si serve del De IV coaequaevis e della parte finale del trattato II De fortitudine (q. II, art. 10) nel De Bono.

La perfezione di un tutto potestativo è presente in ognuna delle sue parti in vari gradi; ma dell’ultimo costituente del tutto la predicazione di perfezione deve essere fatta in modo assoluto [...]. In questo modo, puntualizza Alberto, il tutto potestativo si differenzia sia dal tutto universale che dal tutto integrale61.

58 Sapienza, 11, 21.

59 Agostino, De civitate dei, cit., XI, 21.

60 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. II, art. 1, p. 23, solutio, ll. 56-58: «Divisio boni […] est divisio totius potestativi sive virtualis».

61 «The perfection of a potestative whole is present in each of its parts in varying degrees; but of the ultimate constituent of the whole, predication of perfection may be made absolutely […]. In this way, Albert points out, the potestative whole differs from both the universal whole (totum universale) and the integral whole (totum integrale)». Cunningham, Reclaiming Moral Agency, cit, p. 107.

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Alberto distingue tre diverse accezioni di totalità. Il tutto universale è portatore di una caratteristica che tutti i soggetti componenti il tutto condividono allo stesso modo e allo stesso livello62. L’umanità è ad esempio

un tutto universale: non ci sono soggetti più o meno portatori di umanità, essa è predicata di tutti noi allo stesso livello. Il tutto integrale è composto di parti, ma la predicazione di “tutto” e la perfezione che ne consegue non può essere applicata ad alcuna delle parti prese singolarmente o in gruppo63:

il tutto si predica soltanto della completa totalità, come di un puzzle non posso dire che sia completo se ho soltanto due o tre tessere.

Al contrario il tutto potestativo è un concetto simile a quello di un programma per computer: ogni programma ha una versione base che viene periodicamente aggiornata. Nella versione successiva avremo tutte le funzioni della precedente, con dei miglioramenti, e così via. Il tutto potestativo funziona allo stesso modo: la predicazione di “tutto” può essere fatta di ogni singola parte (versione) ma con gradi differenti. L’ultima parte sarà la più perfetta e comprenderà al suo interno tutte le funzioni delle versioni o gradi precedenti. Possiamo anche pensare ad un altro esempio: l’insieme dei numeri naturali è infinito, ma l’insieme dei numeri reali lo contiene ed è un infinito più grande. Ci sono diversi gradi di infinito in matematica, tutti sono “infinito”, ma alcuni infiniti sono più grandi di altri. Difatti Alberto afferma che «la divisione del bene […] è la divisione del tutto potestativo o virtuale, le cui parti si trovano nella divisione cosicché ciò che è diviso non è salvato secondo la sua perfezione se non nell’ultima [parte]»

64.

62 Ibidem. Cfr. anche Alberto Magno, De bono, cit., tr. II, q. II, art. 10, p. 112, ll. 21-22: «Totum universale non habet esse nisi in suis partibus subiectivis». Nell’articolo 10 Alberto discute il rapporto tra le parti della fortezza ed afferma che «le virtù morali sono delle facoltà e le loro parti sono parti potestative. […] Quelle parti ricevono una qualche predicazione del tutto» («Virtutes morales sunt potestates quaedam et suae partes sunt partes potestativae. […] Partes autem illae recipiunt quidem praedicationem totius»), ibidem, ll. 37-40.

63 Ibidem, ll. 33-34: «Si propter hoc dicatur, quod sunt partes integrales, contra: totum non predicatur de parte integrali». Cfr. Cunningham, Reclaiming Moral Agency, cit, p. 107. 64 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. II, art. 1, p. 23, ll. 56-60.

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Alberto aveva già parlato del bonum naturae nel De natura boni, dove aveva caratterizzato gli esseri umani come possessori di un habitus che li inclina ad agire in conformità con la propria natura, attraverso la giusta misura, che consiste nell’agire in conformità con la ragione. Aveva quindi dato una connotazione morale al bonum naturae, del tutto assente dal De

bono.

Nell’articolo 2 di questa seconda quaestio Alberto spiega dove è possibile trovare la divisione del bene naturale ed elenca nove terne, le cui fonti spaziano da Agostino a Boezio, dai testi sacri a Bernardo. Le terne sono organizzate in gruppi di tre, tali che il terzo comprenda le prime due terne, e così a seguire. L’ultimo gruppo di terne (la settima, ottava e nona) considera la natura ordinata all’intelletto e alla volontà umana. I precedenti ordini sono diretti a quest’ultimo: la perfezione della natura umana connette e comprende quella naturale. La settima terna, agostiniana, è composta da «ciò che è noto, ciò che concorda e ciò che è distinto»65 ed inizia

a mettere in relazione le cose con l’intelletto e la volontà umana. L’ottava triade, pure agostiniana, «vero, bene e bello»66, descrive il modo in cui gli

oggetti sono concepiti nella conoscenza e nella volontà: il vero è il fine della conoscenza speculativa, il bene mette in relazione le conoscenze con la volontà ed il bello confronta il vero ed il bene con la bellezza. Infine l’ultimo gruppo, lumen, pulchrum, bonum67, descrive gli effetti conseguenti

all’intelletto e alla volontà. Le triadi riferite all’uomo sono dunque legate e dipendenti dalla costituzione della realtà concreta, di cui l’uomo è perfezione.

La natura può essere vista come una gerarchia di sostanze, ognuna delle quali è sia una parte fondamentale ed essenziale per il tutto che, al tempo stesso, un tutto, completo e perfetto. Tuttavia l’ultima parte della

65 Ivi, tr. I, q. II, art. 2, p. 27, ll. 33-34: «Quod constat, quod congruit, quod discernitur», traduzione mia. Cfr. Agostino, De diversis quaestionibus 83, cit., q. 18: «Omne quod est, aliud est quo constat, aliud quo discernitur, aliud quo congruit. Universa igitur creatura […] causam quoque eius trinam esse oportet».

66 Ivi, tr. I, q. II, art. 2, p. 27, ll. 47-49. Cfr. Agostino, Soliloquiorum libri duo, De inmortalitate animae, De quantitate animae, ed. W. Hörmann, Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1986, I, 14.

67 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. II, art. 2, p. 27, l. 54. Cfr. Dionigi, De divinis nominibus, 4, 4.

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creazione naturale, ovvero l’uomo, è quella più perfetta e che comprende al suo interno, concettualmente e praticamente (grazie alla sua modificazione del reale), tutto ciò che la precede. Così in natura si manifesta il tutto potestativo, che troveremo impiegato anche nelle singole virtù. Alberto conclude questa parte sul bonum naturae affermando che ogni triade è traccia e immagine della trinità increata: il mondo riflette il suo creatore68.

2.2 Il bonum in genere e l’atto volontario; possibilità di atti