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Cause efficienti e finali della virtù

2. Cause efficienti prossime e remote della virtù

2.3 Scelta e deliberazione

L’articolo 6 è dedicato alla eligentia, cioè alla aristotelica προαίρεσις, e infatti si apre con una citazione dall’Etica Nicomachea, data secondo la traduzione latina grossatestiana: «eligentia est consiliabile desiderium eorum quae in nobis sunt»45. Nel contesto originale del terzo libro dell’Etica nicomachea si tratta di una conclusione che arriva dopo alcune pagine in

cui lo Stagirita si era chiesto in cosa consistessero scelta e deliberazione. In III.2 si precisa che la scelta (προαίρεσις) è sì un atto volontario, ma non coincide con la semplice volontà o col desiderio che hanno anche gli animali, bensì è un atto volontario operato dal pensiero. Quanto alla deliberazione (βούλευσις) in III.3 Aristotele aveva sostenuto che non si delibera sul fine ma sui mezzi che portano al fine e che dipendono da noi, che sono in nostro potere: βουλευόμεθα δὲ περὶ τῶν ἐφ᾽ ἡμῖν καὶ πρακτῶν («deliberiamo sulle cose che dipendono da noi e che possono essere compiute», 1126 a 30). La scelta consiste per Aristotele in ciò che è già stato deliberato, unito a ragionamento e pensiero46. Alberto sostanzialmente ripropone la linea argomentativa

dello Stagirita.

Contro questa definizione che Alberto propone all’inizio dell’articolo dedicato alla προαίρεσις si scagliano gli oppositori, anzitutto per il termine usato per definire la scelta: desiderio (nel sintagma consiliabile desiderium,

44 Ivi, p. 76.

45 Aristotele, Etica Nicomachea, III, 1, 1113 a 9-10: ἡ προαίρεσις ἂν εἴη βουλευτικὴ ὄρεξις τῶν ἐφ᾽ ἡμῖν: «scelta è il desiderio deliberato di ciò che dipende da noi» trad. it. di C. Natali, p. 93.

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calco del greco βουλευτικὴ ὄρεξις). Se la scelta è un’operazione razionale del pensiero, con cui optiamo per una tra due alternative, che ha a che vedere questo col desiderio, che è irrazionale per definizione47? Inoltre il campo

degli oggetti di scelta sembra essere più ampio delle cose «quae in nobis sunt». Infatti «scegliamo beni eterni anteponendoli a quelli temporali, per quanto i beni eterni non dipendano da noi»48. Inoltre la scelta sembra

materia di opinione, «perché non scegliamo se non ciò che riteniamo (opinamur) che sia un bene»49.

Nella sua solutio Alberto osserva che la definizione aristotelica di

προαίρεσις abbraccia tre aspetti:

La prima definizione data da Aristotele mostra i tre aspetti dell’essenza della προαίρεσις o eligentia. Il primo, relativo all’oggetto, è indicato dal termine “consiliabile” [oggetto di deliberazione], perché la deliberazione (consilium) non riguarda mai il fine, ma i mezzi che portano al fine; e non riguarda nemmeno tutte le cose che portano al fine, ma solo di quelle indeterminate (dubia) e tra queste nemmeno tutte, ma solo quelle che la riflessione razionale mostra essere utili per conseguire quel fine. […] Il secondo, relativo alla facoltà, è indicato col termine ‘desiderio’ che, in senso lato (elargato nomine) indica un tipo di volontà, cioè quella che in ragione dell’utilità sceglie uno dei due mezzi possibili per conseguire quel fine. Il terzo è l’atto, indicato col dire “delle cose che sono in noi”, perché dipendono da noi gli atti che operiamo come agenti, ovvero “dei quali siamo padroni” [Eth. Nic. 3, 8, 1114 b 31-32] (trad. mia)50.

47 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. IV, art. 6, p. 59, ll. 31-47.

48 Ibidem, ll. 48-50: «Eligentia non videtur esse eorum quae in nobis sunt. Eligimus enim aeterna praeponentes ea temporalibus, cum tamen aeterna non in nobis sunt».

49 Ivi, tr. I, q. IV, art. 6, p. 60, ll. 51-53: «Ulterius etiam quaeritur, quomodo se habeat eligentia ad opinionem. Et videtur, quod sit opinio, quia non eligimus, nisi quod opinamur esse bonum». Alberto però si affretta a precisare che questa idea contrasta con Aristotele, che sostiene chiaramente che «l’opinione […]si divide con il criterio del vero e falso, non con il criterio del bene e male, mentre la scelta si divide soprattutto in base a questi» (Etica Nicomachea, III, 2, 1111 b 32-36, tr. it. di C. Natali, p. 87), demarcando così nettamente il campo speculativo, in cui l’opinione può intervenire, da quello morale.

50 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. IV, art. 6, p. 61, ll. 15-31: «Prima diffinitio data ab Aristotele dicit tria quae sunt de essentia prohaeresis sive eligentiae. Quorum primum est ex parte obiecti, et hoc innuitur per hoc quod dicit “consiliabile”. Consilium enim numquam est finis, sed eorum quae sunt ad finem. Nec omnium eorum quae sunt ad finem, sed dubiorum. Nec iterum ominium dubiorum, sed eorum quae per inquisitionem rationis utilia esse probata sunt ad ipsius finis consecutionem. […] Secundum est ex parte potentiae. Et hoc innuitur per desiderium ita quod desiderium elartato nomine sumatur pro quadam voluntate, scilicet quae ex ratione utilis praeoptat alterum propositorum ad consecutionem finis. Tertium est actus, et hoc innuitur per hoc quod dicitur “eorum quae in nobis sunt”. In nobis enim dicuntur esse operabilia per nos, idest “actus, quorum nos domini sumus”».

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Inoltre Alberto nella risposta ad 3um e ad 5um aggiunge qualcosa di molto interessante: la scelta è mossa o dalla fantasia o dall’intelletto.

Il volontario in relazione all’oggetto è un campo più ampio rispetto alla sfera della scelta (prohaereticum), poiché con volontario si intende l’appetito che muove o con l’intelletto o [solo] con la fantasia, come è nei bambini e nei bruti [che non hanno intelletto]. A coloro che obiettano che la volontà è nella sola ragione, rispondo che si riferiscono alla volontà in senso stretto, che è tutta nella ragione (trad. mia)51.

Qui Alberto, ricalcando Aristotele, traccia un discrimine tra la volontà come razionalità, ragion pratica, che stabilisce i fini per raggiungere i quali intervengono scelta e deliberazione con razionalità, e quella volontà che non è oggetto di προαίρεσις e consilium, ma è mossa dalla fantasia.

Per quanto riguarda la deliberazione, tema dell’articolo 7 (De consilio

et consiliabili), il discorso si sviluppa in modo simile e complementare

rispetto alla scelta. Anche qui sarà utile un preambolo su quel che scrive Aristotele a proposito della βούλευσις o, in latino, consilium. Aristotele inizia a trattare della deliberazione escludendo da essa quattro ambiti:

Non bisogna chiamare “oggetto di deliberazione ciò su cui delibererebbe qualche pazzo o insensato, ma ciò su cui delibererebbe la persona ragionevole. Sulle cose eterne nessuno delibera […]. Ma non si delibera nemmeno sulle cose in divenire e che avvengono sempre allo stesso modo, sia per necessità, sia per natura […] né sulle cose che derivano dal caso […] e nemmeno su tutta la sfera delle cose umane52.

Dunque la prima caratteristica della deliberazione è che essa è razionale. Ancora una volta la deliberazione, come la scelta, è connessa alla volontà, ma solo a quella parte di volontà che è razionale, dunque non condivisa da chi, per una ragione o per l’altra, è irrazionale (pazzi, bambini,

51 Ivi, tr. I, q. IV, art. 6, p. 61, ad 3um, ll. 41-47: «Voluntarium ex parte subiecti est in plus quam prohaereticum, secundum quod voluntarium sumitur pro appetitu movente sive cum phantasia sive cum intellectu. Sic enim est in pueris et brutis. Quod autem alibi dicit, quod voluntas est in solis ratione utentibus, dicendum, quod intelligitur de voluntate sumpra stricte, quae omnis in ratione est».

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bruti…). Inoltre non è possibile deliberare, scegliere i mezzi con ragione, su fatti immutabili, come le regole matematiche o le leggi fisiche, né su ciò che è in divenire e che nel mondo naturale dipende da leggi di necessità o dal caso. Dunque abbiamo ridotto già il campo a cose umane, razionali, che possono accadere per lo più; infine il quadro si completa ricordando che, come per la scelta, anche la deliberazione ha come oggetto le cose che dipendono da noi. Non è certo possibile deliberare su fatti storici accaduti, o su scelte politiche, sociali, di qualsiasi tipo ma dipendenti da altri. Non si delibera sul fine, che è stabilito dalla volontà, ma sui mezzi che portano ad esso.

Alberto intreccia qui spunti aristotelici alla teologia morale del De

fide orthodoxa di Giovanni Damasceno. Il grande Padre della Chiesa

siriano, vissuto tra il VII e l’VIII secolo e latinizzato da Burgundione Pisano nel 1153 ca., scrive che il consilium è un «appetitus inquisitivus»53. Si deve

capire di che tipo di appetito si tratti, di quale indagine si tratti e di come queste due connotazioni si colleghino al processo electio-consilium, tracciato da Aristotele. Alberto precisa che l’inquisitio ha sempre come oggetto ciò che è indeterminato, ciò che è dubium, ma che può essere qualificata come deliberazione/consilium. Solo quella dubii inquisitio che riguardi il campo della praxis (circa agenda vel non agenda). Come abbiamo già detto la scelta investe ciò che è già stato deliberato razionalmente54: «electio […] est de determinati ex consilio»55. È utile a

questo punto uno schematico confronto tra le caratteristiche della volontà e quelle di scelta e deliberazione, che possiamo definire come sottoinsiemi della prima.

53 Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, II, 22, inJohn Damascene, De fide orthodoxa. Versions of Burgundio and Cerbanus, ed. by Eligius M. Buytaert, o.f.m, The Franciscan Institute, St. Bonaventure NY / E. Nauwelaerts, Louvain / F. Schöningh, Paderborn 1955. 54 Ivi, III, 2, 1111 b 4-1112 a 18.

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Volontà Scelta e deliberazione Di cose possibili o non, dipendenti da noi

o non Di cose che dipendono da noi

Fantasia o ragione Ragione

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