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Cause efficienti e finali della virtù

1. Materia della virtù

La quaestio IV del primo trattato si apre con un articolo De materia

virtutibus1. A tutta prima verrebbe da chiedersi: perché parlarne di nuovo,

quando sappiamo già che la materia dell’atto virtuoso è il bonum in genere? Addentrandosi nell’articolo si incontra una riproposizione di temi aristotelici. Alberto fa riferimento in particolare ai primi tre capitoli del libro II dell’Etica Nicomachea. La virtù etica ha a che fare con piaceri e dolori, dato che molte azioni malvagie sono compiute per una ricerca del piacere e spesso la paura del dolore ci tiene lontani da azioni belle, ma difficili2.

Aristotele non esemplifica nel dettaglio azioni e casi particolari, tuttavia, come egli afferma, è proprio in essi che si colloca la concretezza dell’atto morale. Non a caso in Alberto, poco prima della definizione della materia della virtù, ritroveremo la dichiarazione d’intenti aristotelica, di voler

1 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. IV, art. 1, pp. 43-46. 2 Aristotele, Etica Nicomachea, II, 3, 1104 b 4-16.

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perseguire una trattazione morale della virtù non solo concettuale ma colta nelle dimensioni concrete del suo farsi praxis.

Siccome la presente trattazione non si propone la pura conoscenza, come le altre (infatti non stiamo indagando per sapere che cos’è la virtù ma per diventare buoni, perché altrimenti non vi sarebbe nulla di utile in questa trattazione), allora è necessario esaminare il campo delle azioni3.

La trattazione sommaria degli esempi in Aristotele è motivata dal fatto che la morale è situazionale: è impossibile prevedere tutte le situazioni ed i casi che la vita ci porrà davanti. Molto meglio sarà dunque trattare la materia come fanno i medici ed i navigatori4. Non è possibile prevedere il

percorso che dovrà fare la nostra barca o gli ostacoli che dovrà incontrare ma possiamo imparare a usare il timone e regolare le vele così da applicare diverse soluzioni alle diverse situazioni in cui ci troveremo.

È opportuno a questo punto sciogliere il dubbio sulla natura della

materia virtutis in rapporto alla materia trattata nel primo capitolo: si tratta

in entrambi i casi di una causa materiale, ma mentre il bonum in genere è materia dell’atto virtuoso, la materia virtutis è appunto materia della virtù e consiste nell’atto virtuoso concreto. Alberto intende con la formula

materia virtutis più di un concetto, in realtà. Innanzi tutto l’oggetto proprio

dell’atto, la debita materia, ciò su cui interveniamo volontariamente con l’azione; in secondo luogo egli intende l’intenzione dell’agente, il fine preposto all’azione concreta e che si tenta di raggiungere; infine, si riferisce alle potenzialità umane che desiderano insieme a piacere e dolore. Si può dire che questi tre elementi costituiscano l’azione concreta: l’oggetto, il desiderio, l’intenzione. Insieme, essi vanno a formare la materia da cui si modella la virtù stessa, fungono da specificazione morale5.

La debita materia della virtù consiste per Alberto, seguendo Aristotele, nei piaceri e nei dolori: è su questi che si esercita la virtù. Non siamo dunque buoni o cattivi per le dinamiche passionali che si agitano in

3 Ivi, II, 2, 1103 b 26-30, tr. it. di C. Natali. 4 Ivi, II, 2, 1104 a 1-9.

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noi, ma per il modo in cui ci comportiamo verso di esse. Tuttavia per Alberto la sensualità è una potenza appetitiva che porta verso il peccato prima ancora dell’intervento della ragione, responsabile di non aver prevenuto i primi movimenti6. Essa deve sottomettersi interamente alle direttive

razionali, e ciò avviene grazie alle virtù, il cui esercizio è indispensabile per il buon vivere comunitario.

È opportuno a questo punto riprendere il testo albertino per analizzare la solutio che egli fornisce.

Le volontà propriamente differiscono in relazione agli oggetti di volizione, così come il conoscere in relazione a ciò che è conosciuto e la scienza in relazione agli oggetti scientifici e, insomma, tutte le facoltà dell’anima differiscono secondo i loro oggetti. E questo accade perché l’oggetto è fine e motore della facoltà. C’è un duplice fine sia nella natura che nei costumi. C’è il fine naturale, a cui si tende con un unico atto unitario che è la forma, e c’è il fine a cui si tende con tutti gli atti molteplici, e questo è la perpetuazione della natura, per avvicinarsi ad un’esistenza divina. Similmente è nell’ambito morale. Il fine della potenza motrice in un atto particolare riguarda la materia, che muovendo specifica e distingue [tra vizi e virtù] la volontà nell’atto esistente. L’altro fine non si esaurisce in un solo atto o in una sola virtù […] ed è la beatitudine o felicità (trad. mia)7.

Alberto ci sta dicendo che la materia della virtù sono i piaceri e i dolori: agendo su di essi con le virtù l’uomo può raggiungere la vera e piena felicità terrena (anche se non assoluta, ovvero imperfecta, come direbbe Tommaso, perché mancante di quella beatitudo che deriva dalla grazia). Ma non basta: sta già preannunciando il duplice fine dell’azione, uno più prossimo o vicino, l’altro remoto. Si tratta dell’atto classificato come

6 Lottin, Psychologie et Morale aux XIIe et XIIe siècles, cit., Tome II Première partie, pp.

572-573. Cfr. Alberto Magno, De homine, cit., I, IV, q. 69, art. 3.

7 Alberto Magno, De bono, tr. I, q. IV, art 1, p. 44, l.73-p. 45 l.11: «Voluntates proprie differunt secondum volita, sicut intellectus secundum intellecta et scientiae secundum scita et breviter omnes potentiae animae secundum obiecta. Et hoc ideo contingit, quia obiectum est eis finis et movens. Est autem duplex finis in naturis et etiam in moribus. Est finis naturae, quem intendit in actu uno, et ille est forma. Et est finis, quem intendit in actibus omnibus, et ille est perpetuitas naturae, ut per hoc assumetur esse divino. Et sic est in moribus. Finis enim motivae potentiae in actu uno est circa materiam, quae movens est specificando et distinguendo voluntatem in actu existentem, et scundum hunc finem distinguuntur virtutes et vitia in suis speciebus. Alius autem est, qui non intenditur in actu uno nec in virtute una […]. Et ille est beatitudo sive felicitas».

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virtuoso e della felicità terrena. A tal proposito Alberto istituisce un parallelismo tra fini della scienza e fini morali. Di questa causa finale, cui tuttavia non corrisponde una sezione esclusiva del De bono, parlerò in modo specifico nel paragrafo 3.

Nel passo appena citato prima di riferirsi al fine Alberto traccia già un parallelismo: come i campi del sapere si differenziano a seconda del loro oggetto, così accade nell’ambito morale, dove le volontà differiscono a seconda del loro oggetto, motore delle varie facoltà distinte grazie ad esso. Dal momento che «le cose volute, che specificano le volontà in atto esistenti quanto a cose lodevoli o vituperabili, sono nelle passioni»8, la virtù riguarda

quindi passioni e dolori. Non si tratta però di passioni innate ma illatae, provocate dall’esterno.

Come vedremo, la virtù non si limita però ad atti di fortezza e temperanza (le virtù che riguardano specificatamente le passioni esterne, rispettivamente dolori e piaceri), ma comprende anche la prudenza e la giustizia: compiere un atto virtuoso è compiere un atto razionale e deliberato, e giustizia e prudenza sono appunto le virtù che portano a perfezione la ragion pratica.

Alberto è pienamente conscio della complessità del campo morale e del ruolo che in essa ha l’atto virtuoso concretizzato dalle circostanze: esso sarà come vedremo sia causa efficiente prossima che causa finale prossima della virtù. Ma la materia della virtù sono dolori e passioni, ciò che nella vita va superato grazie alle virtù. L’autore non sta proponendo facili ricette per la felicità, ci sta al contrario dicendo che essa è il culmine di un lungo percorso di auto-conoscenza, di conoscenza dei propri limiti, di ciò che ci rattrista o ci fa arrabbiare. La virtù, in cui consisterà, come vedremo, la felicità stessa, non è raggiungibile senza dolore e sofferenza. La felicità facilmente raggiungibile non esiste: o è un miraggio o è fasulla. Quella vera si realizza tra mille difficoltà, eppure è l’unica autentica.

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