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Il diritto e la legge naturale

Capitolo quarto La virtù

5. Il diritto e la legge naturale

L’ultimo trattato è forse tra quelli dedicati alle virtù il più controverso ed interessante. Infatti Alberto divide la sua trattazione in quattro grandi

quaestiones: la prima è dedicata alla giustizia ed al diritto naturale, la

seconda alla lex, la terza alla iustitia e la quarta si intitola iustitia addita, riferendosi alla giustizia come virtù. Nell’affrontare il tema della giustizia Alberto non può far a meno di parlare anche del diritto naturale, tema ampiamente discusso nel XIII secolo ed in generale in tutto il Medioevo, come già abbiamo visto nel primo capitolo di questa tesi.

Per prima cosa bisogna capire che cosa sia tale diritto naturale e se esista. Alberto adotta la definizione del De inventione di Cicerone: «Naturae ius est quod non opinio genuit sed vis quaedam innata inseruit»205. Cicerone

aveva dato questa definizione soprattutto per distinguere il diritto naturale dal diritto positivo o consuetudinario, che al contrario del primo deriva dall’opinione, dalle condizioni di vita e dalle credenze dell’uomo206.

Alberto usa le parole di Cicerone per sostenere che esistano dei principi naturali del diritto, che si trovano in noi proprio in quanto esseri razionali e che sono dalla ragione scoperti e sostenuti207. Questi principi ci

guidano nell’agire in modo che il discernimento naturale o synderesis non abbia dubbi su cosa fare o non fare208. Essi devono essere tanto più generali

e universali possibile, per potersi concretizzare in successivi principi particolari209. L’argomentazione della ragion pratica procede dunque da un

205 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 1, p. 259, ll. 14-16. Cfr. Cicerone, De inventione, II, 53.

206 Cicerone, De inventione, II, 53.

207 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 1, p. 263, solutio, ll. 39-41: «Omnia enim haec universaliter accepta sunt de iure naturali et scripta in homine per hoc quod accipit rationem».

208 Ibidem, ll. 22-26: «Et vocantur universalia iuris illa dirigentia nos in opere, in quibus non est error neque dubium, in quibus naturale iudicatorium rationis vel synderesis informatum accipit, quid faciendum sit vel non faciendum».

209 Ivi, tr. V, q. I, art. 1, p. 267, ad 22um, ll. 45-53: «Instinctus conscientiae est quidem secundum universalia iuris, sed assumitur ratio considerans particularia, antequam de sententiam de faciendo vel non faciendo, et cum illa assumptio varietur secundum statum loci et temporis, negotii et personarum et etiam quandoque secundum errorem, qui fit in particularibus, et haec non sunt eadem apud omnes, consequitur, ut non unus modus vivendi sit apud omnes».

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principio generale (come “non fare del male agli altri”), si specchia in una situazione o azione particolare (“uccidere è fare del male agli altri”) per poi concretizzarsi in un principio particolare (“non uccidere”) che può andare a far parte del diritto positivo: ed ecco il sillogismo pratico. In questo modo il diritto civile deriva da quello naturale, ma non è lo stesso per tutti: dagli stessi principi possono derivare conclusioni diverse210.

Ma il diritto naturale, pur essendo una disposizione inscritta nel cuore dell’uomo, non è sufficiente per agire: perché? Alberto presenta a questo proposito una distinzione interessante: egli sostiene infatti che come l’intelletto speculativo, anche quello pratico possieda due stati di potenzialità, l’uno riguardante gli strumenti, l’altro riguardante la scienza vera e propria. Si tratta più o meno, per usare la metafora di Alberto, della stessa cosa che accade a chi impara a scrivere: prima si impara a conoscere il calamaio, la penna, il foglio, e a questo punto si è in potentia per la conoscenza della scrittura; poi si impara a scrivere. Lo stesso accade nell’intelletto pratico, dove la conoscenza degli strumenti corrisponde a quella dei termini (sapere cosa significa “uccidere”, ad esempio); una volta acquisita tale conoscenza si è ancora in potenza per la conoscenza di ciò che è bene o male fare211.

Da qui si capisce perché la semplice disposizione innata al diritto naturale non sia sufficiente all’esercizio della giustizia che ne deriva: infatti, come scrive Alberto: «natura dat quosdam habitus et complet eos, quosdam autem dat et non complet, sed complentur per assuetudinem sequentem vel per gratiam»212.

210 Ibidem, ad 23um, ll. 60-64: «Diximus supra ius naturale esse principia communia, sub quibus quaeruntur propria a ratione considerante particularia, quae vocantur circumstantiae, et haec particularia non sunt eadem apud omnes».

211 Ivi, tr. V, q. I, art. 1, p. 263, solutio, ll. 41-55: «Unde sicut est in perfectione speculativi intellectus, quod est in duplici potentia, antequam accipiat actum scientiae […], scilicet in potentia cognoscendi instrumenta, quae sunt prima principia scientiae, sicut in scientia scribendi primo infans est in potentia ad cognoscendum pennam et incaustum et pergamentum, et cum haec cognoscit, tunc adhuc est in potentia ad cognitionem scribendi: ita dicimus quod est in habitu practici intellectus, qui dirigit in opere, sicut est scientia iuris, quod prima potentia est ad universalia iuris. In quibus non exigitur, nisi ut termini mandati cognoscantur, sicut quid sit furtum et quid moechia, et tunc sciet per seipsum, quod non est furandum vel moechandum».

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Per tornare alla definizione ciceroniana, Alberto spiega anche quale sia quell’innata vis che imprime nell’anima i principi del diritto naturale: si tratta dell’intelletto agente, forma delle forme intelligibili213. Alberto non si

riferisce ad altro che alla luce dell’intelletto divino, poiché altrove scriverà che «insertio iuris naturalis in corde humano est opus divinum»214. Alberto

trae l’idea di un intelletto agente dal più celebre campione di questa dottrina, Avicenna. Quest’ultimo ne parla nella sua Metafisica IX, III, dove si occupa delle sfere celesti e delle intelligenze motrici paragonandole proprio all’intelletto agente. Scrive:

Vi è, dunque, per ogni sfera celeste un’anima motrice che ha intellezione del bene e che, in ragione del corpo, ha un’immaginazione, cioè una rappresentazione dei particolari e una volontà dei particolari. Il principio del suo desiderio di muoversi sta in quel che essa intende del Primo e del principio che le è proprio e che è il suo principio prossimo, e per ogni sfera celeste vi è un’intelligenza separata il suo rapporto con la sua anima è il rapporto che l’intelligenza agente ha nei confronti delle nostre anime: essa è un modello universale intellettuale per le specie della sua azione ed è ciò cui l’anima si assimila215.

L’intelletto agente fornisce le forme intellettuali che vengono assorbite dalla nostra anima, ma non solo: per Alberto esso apporta anche all’anima quei principi morali, contenuti nello ius naturae, che saranno guida delle nostre azioni.

Per quanto riguarda un’ulteriore definizione, fornita dal Decretum

Gratiani, che recita «il diritto naturale è ciò che è contenuto nella Legge e

nel Vangelo»216, Alberto la accorda con quella di Cicerone sostenendo che il

diritto naturale può essere inteso in senso stretto, e in tal caso è ciò che è impresso in noi da una forza innata, o in senso largo, e in tal senso

213 Ivi, tr. V, q. I, art. 1, p. 265, ad 11um, ll. 58-70: «Si autem quaeritur quae sit illa vis naturae, dico quod absque dubio illa naturae vis est lumen intellectus agentis, cuius lumen est species specierum intelligibilium […]. Unde dictum Avicennae et Philosophi duo dicta sequentia intelliguntur de sermonibus iuris geniti, et hoc est ius positivum et scriptum, de quo dictum est».

214 Ivi, tr. V, q. I, art. 4, p. 276, ll. 69-70. Cfr. Alberto Magno, De homine, q. 55, art. 2. 215Avicenna, Metafisica, cit., IX, III, tr. it. di O. Lizzini, P. Porro, p. 808.

216 Ivi, tr. V, q. I, art. 1, p. 261, ll. 61-62: «Ius naturale est quod in lege et evangelio continetur». Cfr. Graziano, Decretum Gratiani, d. 1 princ.

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corrisponde ai precetti promulgati da Dio, impressi nella nostra natura: in questo secondo senso essi corrispondono ovviamente alla stessa Legge dettata da Dio ed alla regola aurea del Vangelo217.

Abbiamo visto che il diritto naturale si può intendere almeno in due sensi, ma Alberto non si ferma qui: secondo il nostro autore il diritto naturale si può intendere in ben cinque modi.

1. Nel primo senso il diritto naturale è ciò a cui siamo obbligati dalla forza della natura218. Questa definizione corrisponde al primo modo di

intendere la natura che è dato nel Decretum Gratiani, una vis insita in rebus che fa sì che da un soggetto naturale provenga qualcosa di simile219.

2. Il diritto naturale è però anche ciò a cui siamo inclini a causa della

concupiscentia connaturale ai nostri sensi220, ciò che ci spinge a riprodurci,

prenderci cura della prole e così via; questo secondo senso corrisponde alla seconda definizione di natura del Decretum, secondo cui la natura è lo stimolo naturale che ci porta a procreare, educare e desiderare ciò che ci serve per vivere221. Il diritto naturale riguarda quindi anche l’aspetto più

materiale della nostra vita, come vediamo in questi primi due sensi.

3. Il terzo, quarto e quinto modo in cui si può intendere il diritto naturale corrispondono alla terza definizione di natura di Graziano, quella per cui la natura è l’instinctus naturae ex ratione proveniens222. Nel terzo

217 Ivi, tr. V, q. I, art. 1, p. 266, ad 16um, ll. 39-48: «Unde ius naturale dicitur large et stricte. Stricte dicitur ius naturale, quod ‘innata vis inseruit’ […]. Dicitur autem quandoque ius naturale id quod non humano consilio vel ratione, sed a primo mandatore, qui naturam condidit, secundum semina iuris, quae humano cordi inseruit, promulgatum est, et sic lex et prophetiae et evangelium sunt de iure naturali».

218 Ivi, tr. V, q. I, art. 2, p. 268, ll. 33-35: «Et redit tunc ius naturale ad quinque modos, scilicet ut sit ius naturale, ad quod obligamur ex virtute naturae».

219 Ibidem, ll.15-16: «Dicitur enim natura quandoque vis insita rebus ex similibus similia procreans». Cfr. Graziano, Decretum Gratiani, d. 1, c. 7, v. “Ius naturale”.

220 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 2, p. 268, ll. 37-39: «Erit secundo ius naturale, in quod inclinamur secundum concupiscentiam connaturalem sensibus, et hoc erit ius naturale secundo modo dictum».

221 Ibidem, ll. 16-19: «Secundo modo dicitur natura quidam stimulus sive instinctus naturae ex sensualitate proveniens ad appetendum vel procreandum vel educandum». Cfr. Graziano, Decretum Gratiani, d. 1, c. 7, v. “Ius naturale”.

222 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 2, p. 268, ll. 19-21: «Tertio modo dicitur natura instinctus naturae ex ratione proveniens, et ius ex tali natura proveniens dicitur naturalis aequitas». Cfr. Graziano, Decretum Gratiani, d. 1, c. 7, v. “Ius naturale”.

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senso dunque il diritto naturale corrisponde a ciò cui ci porta la nostra stessa ragione naturalmente sviluppatasi223.

4. In questo senso il diritto naturale corrispone ai praecepta

naturalia, quei contenuti di cui Alberto ha parlato nel precedente articolo,

come il non fare del male agli altri224.

5. Nell’ultimo senso il diritto naturale è contenuto nei precetti divini225. Questi ultimi tre sensi dello ius naturae provengono tutti dalla

natura intesa nel suo senso più alto e razionale, sono tutti modi razionali di intendere il diritto naturale.

Molte obiezioni si oppongono a questa visione d’insieme.

In primo luogo si potrebbe dire che nel primo senso di intendere la natura della Glossa ordinaria Decreti Gratiani il diritto naturale che ne deriva è condivisibile da tutti gli esseri viventi, e questo è assurdo226. Inoltre

è problematico il secondo modo di intendere la natura: il diritto naturale che proviene da esso è l’istinto naturale alla sensualità, che è sempre negativa227.

Ai tre sensi di “natura” della Glossa si oppongono le quattro definizioni fornite da Boezio nel Contra Eutychen et Nestorium: «La natura è propria delle cose che possono essere comprese con l’intelligenza […]. La natura è ciò che può fare o può subire. […] La natura è principio di movimento per se e non per accidens. […] La natura è la differenza specifica che dà forma a qualsiasi realtà»228. Boezio sta parlando delle due nature di

223 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 2, p. 268, ll. 39-41: «Erit ius naturale quod est secundum instinctum rationis, et hoc est secundum tertium modum».

224 Ibidem, ll. 41-42: «Quarto modo praecepta naturalia». 225 Ibidem, l. 42: «Quinto modo ius divinum».

226 Ibidem, ll. 44-50: «Vis insita rebus ex similibus similia procreans est vis generativa. Hoc autem non dicit ius nisi ad actum, hic autem actus est corporum simplicium, scilicet elementorum, et compositorum, ut plantarum et animalium. Ergo ius naturale extendit se ad omnia illa, quod absurdum est».

227 Ibidem, ll. 70-74: «Instinctus enim naturae ex sensualitate proveniens semper est malus; secundum malum autem motum nullum ius determinatur; ergo secundum illum instinctum non est aliquod ius naturale».

228 Ivi, tr. V, q. I, art. 2, p. 269, ll. 19-27: «Ponit autem Boethius in libro De duabus naturis in una persona Christi quattuor naturae diffinitione, quarum prima est haec: ‘Natura est earum rerum quae cum sint, quoquo modo intellectu capi possunt’. Secunda est haec: ‘Natura est vel quod facere vel quod pati possit’. Tertia est haec: ‘Natura est principium motus per se et non per accidens’. Quarta est haec: ‘Natura est unamquamque rem informans specifica differentia’». Cfr. Boezio, Liber contra Eutychen et Nestorium, c. 1.

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Cristo in polemica con Nestorio. Per capire dunque quale sia la natura di Gesù cerca di dare delle definizioni di “natura” che si accordino con Lui. Nella prima definizione rientrano gli accidenti e le sostanze, nella seconda rientrano sia le cose corporee che le incorporee, mentre la terza definizione si applica soltanto alle sostanze229. Il problema fondamentale è che qui, per

le definizioni di Boezio, tutto rientra sostanzialmente nel diritto naturale, e questo è assurdo230.

Alberto inserisce nella discussione anche le distinzioni aristoteliche:

Così è detta natura la forma e la materia e la via nella natura, come è l’atto di generazione, ed è detto naturale ciò che accade per natura come composto, ed è detto secondo natura l’agire e l’operare che seguono una realtà secondo la sua natura e specie, come salire per il fuoco e scendere per la terra. […] Il diritto naturale è ciò che segue la specie dell’uomo in quanto uomo […] in quanto è razionale231.

Aristotele enfatizza qui, all’opposto di Boezio, l’aspetto razionale della natura, potendo concludere quindi che il diritto naturale è razionale perché deriva dalla natura umana razionale. In realtà, come vedremo fra poco, sia Boezio che Aristotele hanno ragione, ma sbagliano a considerare uno solo degli aspetti della natura.

Alberto risolve la questione proponendo tre modi di intendere la natura come ragione. Nel primo caso la natura è intesa ut natura, riguardante la salute dell’individuo e della specie. Anche qui interviene una minima parte di razionalità. Nel secondo senso, ratio ut ratio, la natura è ciò che è ordinato al bene dell’uomo in società, riguardante cose come religione, giustizia, onestà. Prevale la razionalità, ma è presente una parte di natura. Nel terzo modo la naturalis ratio è ugualmente intesa come ratio e come natura, ed è proprio in questo senso che dalla natura deriva il diritto

229 Ibidem.

230 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 2, p. 269, ll. 28-61.

231 Ibidem, ll. 64-79: «Sic natura dicitur forma et materia et via in naturam, ut est actus generationis, et naturale dicatur illud quod fit per naturam ut compositum, et secundum naturam dicatur actus et opus consequens rem secundum suam naturam et speciem, ut ascendere ignem et descendere terram. […] Et videtur, quod sic, quia naturale ius est, quod consequitur speciem hominis, inquantum homo est. […] Sed ius naturale consequitur eum, inquantum rationalis est», traduzione mia. Cfr. Aristotele, Fisica, II, 1, 192 b 32 ss.

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naturale232. I precetti morali dicono ciò che rientra nella natura intesa in

questo terzo modo233. Alberto ci fa dunque comprendere come anche

attività come procreare ed allevare i figli possano essere svolte in maniera animalesca, senza razionalità, oppure, in quanto partecipano della ragione e possono essere virtuose o viziose, possano rientrare a buon diritto nel diritto naturale234.

Abbiamo visto che cos’è in generale il diritto naturale, in quanti sensi si può intendere e come va intesa la natura da cui deriva il diritto naturale stesso. Ma in che cosa consiste, più precisamente? Che cosa vi rientra?

Alberto fornisce la spiegazione di Cicerone, Isidoro e Graziano. Per il primo rientrano nel diritto naturale le cose «quod natura vis inseruit: […] religio, pietas, gratia, vindicatio, observantia, veritas»235. Siamo ancora una

volta nel capitolo 53 del primo libro del De inventione, dove Cicerone spiega cosa rientri nell’onesto, composto dalle quattro virtù. Isidoro, ripreso da Graziano, amplia invece i termini della questione, facendo rientrare molte più cose nel diritto naturale.

Viri et feminae coniunctio, liberorum successio, puerorum educatio, communis omnium possessio et omnium una libertas, acquisitio eorum

232 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 2, p. 270, solutio, ll. 26-78: «Cum autem dico: ‘Natura est ratio’, ratio potest intelligi magis ut natura vel magis ut ratio vel aeque ut natura et ratio. Si autem accipiatur ut natura, tunc ipsa erit principium operum pertinentium ad consistantiam et salutem eius in quo est, et ratiocinabitur de illis, sicut sunt pertinentia saluti individui, ut cibus, vestitus, domus et lectus et dilectio sanitatis et procuratio medicinae et alia huiusmodi […]. Cum enim dicam rationem esse ut naturam et magis naturam quam rationem, non excludo rationem, et quia ius non ponit iniuriam, semper pono rationem rectam del illis. […] Si autem intelligatur magis ut ratio, tunc erit de hic quae pertinent ad religionem et iustitiam et honestatem hominis in se et ad alios, ita tamen quod habeat aliquid de natura et non tota sit ratio. […] Tertio modo est naturalis ratio aeque ratio et natura, et sic pertinet ad ius naturale, quod ex ratione recta ad commodum hominis et utilitatem est provisum, et semper est in genere secundum semina iuris universalia et non secundum casus vel consulta determinata».

233 Ivi, tr. V, q. I, art. 2, p. 271, ad 6um, ll. 37-40: «Ad aliud dicendum quod praecepta moralia non dicunt aliud quam id quod est de natura tertio modo, sed dicunt ipsum aliter, quia ut magis determinatum».

234 Ibidem, ad 4um, ll. 15-20: «Ad aliud dicendum quod licet educatio et nutritio sive comestio et procreatio sint animalis secundum se et non hominis, non tamen sic sunt de iure naturali, sed prout participant qualiter ratione et possunt esse actus virtutum vel vitiorum et tunc secundum prima semina referuntur ad ius naturale».

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quae caelo terra marique capiuntur, item depositae rei vel commendatae pecuniae restitutio, violentiae per vim repulsio236.

Graziano fa sue le affermazioni di Isidoro in un passo che ne rispecchia la sostanza237.

Alberto deve rispondere a molte obiezioni rispetto a queste definizioni presentate. Ad esempio, una delle principali è: come può la religione rientrare nel diritto naturale, dunque universale e comune a tutti gli uomini, se l’osservanza della religione non è affatto comune a tutti238?

Inoltre, come si concilia il restituire i possessi con il possesso comune a tutti239? Infine, se ammettiamo la libertà comune a tutti gli uomini, questa

contrasta ampiamente con la legge divina che ammette la schiavitù240.

Il diritto naturale si trova nei principi ultimi del diritto umano: si tratta di principi multipli, non di un solo principio, da cui si conosce tutto l’operabile. Inoltre i principi possono rientrare nel diritto naturale in tre modi: o in modo essenziale, e questi sono i principi comuni a tutti gli uomini; o in modo subordinato, come le conclusioni comuni cui si giunge a partire dai principi; o in modo particolare, come quelle norme che derivano in parte dal diritto naturale, in parte dalle condizioni degli uomini241. Il

236 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 3, p. 271 l. 75 – p. 272 l. 3. Cfr. Isidoro, Etymologiae, V, 4.

237 Graziano, Decretum, I, 7: «Ius naturale est commune omnium nationum, eo quod ubique instinctu naturae, non constitutione aliqua habetur, ut viri et feminae coniunctio, liberorum successio et educatio puerorum, communis omnium possessio et omnium una libertas, acquisitio eorum quae caelo, terra marique capiuntur; item depositae rei vel commendatae, pecuniae restitutio, violentiae per vim repulsio. Nam hoc, aut si quid hiuc simile est, numquam iniustum, sed naturale aequumque habetur».

238 Alberto Magno, De bono, tr. V, q. I, art. 3, p. 272, ll. 17-20: «Praeterea, supra habitum est ex verbis Isidori, quod naturalia sunt eadem apud omnes; sed observantia religionis non est eadem apud omnes; ergo non est de iure naturali».