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Canonisti, decretisti e teologi di età scolastica

Ma Alberto aveva sulla sua scrivania, per così dire, anche opere di autori bassomedievali (canonisti e teologi) che a vario titolo si erano occupati della legge naturale.

Graziano nel suo Decretum, opera del 1140 che per la prima volta sistematizza il diritto canonico e ne dirime le questioni che erano sorte nel corso dei secoli. Nell’opera di Graziano il diritto naturale è definito come ciò che è comune a tutti ed iscritto nella natura umana: consiste nel fare agli altri ciò che si vuole sia fatto e noi e non fare ciò che non si vuole sia fatto a noi. Ancora una volta il diritto naturale è superiore agli altri due, in quanto razionale, universale ed immutabile98.

Pietro Lombardo (1110-1160) seguì principalmente San Paolo nella sua definizione di legge naturale. Nelle Sententiae sostiene che il fondamento dell’etica sia derivato dal concetto di natura come norma morale generica. La legge naturale è stata scritta da Dio nel cuore dell’uomo, per conoscerla ed osservarla basta l’uso della ragione ed essa è comune ad ogni uomo in ogni tempo. Il contenuto di questa legge corrisponde alla legge di Mosè, scritta, data in aiuto alla debolezza della natura umana. Tuttavia non si spinge affatto ad affermare che tale conoscenza naturale abbia potuto salvare i pagani99.

Guglielmo d’Auxerre (XIII sec.) fu il primo ad integrare la legge naturale con la teologia. Egli sostenne che il diritto naturale fosse il fondamento per la norma delle virtù morali. Essa deriva dalla natura umana e consiste in ciò che detta la ragione, per cui gli enunciati pratici primi non

98 Ivi, pp. 293-299. Cfr. Graziano, Decretum Magistri Gratiani, ed. E. Friedberg, B. Tauchnitz, Leipzig 1879, I, dist. I: «Ius naturale est quod in Lege et Evangelium continetur: quo quisque iubetur alii facere qoud sibi vult fieri; et prohibetur alii inferre, quod sibi nolit fieri».

99 Pizzorni, Il diritto naturale dalle origini a San Tommaso D’Aquino, cit., pp. 354-357. L’idea della legge naturale come di semi, semina, insiti nella ragione umana sarà molto importante per Alberto, che tuttavia non avrà nella sua teoria sulla legge naturale gli sviluppi di Pietro il Lombardo.

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derivano dal ragionamento, così come i principi primi dell’intelletto speculativo. Quest’idea avrà ampio successo negli autori successivi ed in Alberto: il parallelismo tra le norme principali della legge naturale, validi in ambito pratico, ed i primi enunciati in ambito teoretico sarà molto usato100.

L’autore che, dopo Cicerone, più influenza l’impostazione e i temi del

De bono albertino è un teologo cronologicamente più vicino al nostro. Si

tratta di Filippo il Cancelliere, nato verso il 1160 e morto nel 1236. Protagonista di un’avventurosa carriera come Cancelliere del vescovo di Parigi durante le lotte e le dispute tra maestri e allievi dell’Università contro il capitolo, riesce a riportare l’insegnamento a Parigi dopo che, per una

querelle con il re di Francia, maestri ed allievi avevano lasciato la città. Fu

anche poeta, maestro in teologia e predicatore101. A noi interessa tuttavia

soprattutto per la sua Summa de bono (nota anche semplicemente come

Summa nel Medioevo). Essa appartiene ad un genere letterario che va da

Abelardo a Guglielmo di Auxerre con la sua Summa aurea (molto usata da Filippo). Ma il Cancelliere innova questa tradizione perché non si tratta di una summa di teologia dogmatica bensì di teologia morale e perché è il primo che porta al centro il concetto di “bene” come principio organizzatore, senza peraltro riunire sotto di esso ogni materia teologica, ma solo la teologia morale102. Egli in quest’opera fornisce un interessante quadro dello status della teoria sulla virtù morale immediatamente precedente ad

Alberto.

100 Lottin, Psychologie et Morale aux XIIe et XIIe siècles, cit., Tome II Première partie, pp.

75-76. Cfr. Guglielmo d’Auxerre, Summa aurea, ed J. Ribaillier, Editions du Centre National de la recherche scientifique, Paris 1980-87, f. 66ra.

101 Filippo il Cancelliere, Summa de Bono, ed. Nicolai Wicki, Editions A. Francke SA, Berne 1985, Introduction, pp. 16*-26*. Cfr. C. McCluskey, "Philip the Chancellor", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Winter 2014 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = https://plato.stanford.edu/archives/win2014/entries/philip-chancellor/.

102 Filippo il Cancelliere, Summa de Bono, Introduction, pp. 43*-44*. Cfr. C. McCluskey, "Philip the Chancellor", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Winter 2014 Edition),

Edward N. Zalta (ed.), URL =

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Fondamentale è la sua teoria dei trascendentali, debitrice della filosofia araba: sia Avicenna che Averroè distinguevano la nozione di essere e di uno soltanto concettualmente, ma non estensivamente. Filippo compie la stessa operazione con i trascendentali, principi convertibili tra loro e proprietà di tutte le categorie aristoteliche. Questi, l’essere, l’uno, il vero ed il bene, differiscono solo intensivamente, nel concetto, ma non nella realtà estensiva e concreta. Mentre l’essere non aggiunge alcuna proprietà, ma è il fondamentale presupposto degli altri trascendentali, il vero è il concetto di essere indiviso dalla causa formale ed il bene è il concetto di essere indiviso dalla causa finale. Si tratta di intendere il fine come (lo vedremo anche in Alberto) il perfezionamento, il fatto di esemplificare una certa proprietà ad un grado sempre maggiore103.

Cruciale per Alberto è la divisione del bene messa in campo dal Cancelliere. Egli definisce il bene come “indivisione di atto dalla potenza”, definizione che troveremo anche nel primo capitolo di questa tesi a proposito delle tre definizioni metafisiche di bene, e che sarà attribuita ad Avicenna. La definizione del Cancelliere è in effetti sia avicenniana che aristotelica: egli intende il bene con il perfezionamento di una potenzialità, come il pieno raggiungimento e attualizzazione di una certa facoltà pregressa. Filippo classifica in due modi i vari tipi di bene. Una prima classificazione, “formale” vede il bonum naturae, il bonum in genere ed il

bonum gratiae: la sequenza tradizionale. Qui i modi di bene sono

considerati per come si manifestano e per la graduale acquisizione che se ne ha, in una gerarchia di perfezionamenti. Troviamo poi una classificazione “materiale”, dove le diverse istanze di bene sono connesse alle quattro cause aristoteliche: il bene fisico corrisponde alla causa efficiente, il bonum in

genere a quella materiale, il bonum ex circumstantia alla causa formale e la

grazia alla causa finale, riferimento primario e fondamentale per il bene104.

103 C. McCluskey, "Philip the Chancellor", The Stanford Encyclopedia of Philosophy, cit. Cfr. Filippo il Cancelliere, Summa de Bono, q. I-III, pp. 5-20, A1rb-A3ra.

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Entrambe le classificazioni influenzano enormemente Alberto, che, pur aderendo alla prima, più tradizionale, userà ampiamente la seconda: tra i vari tipi di bene e le quattro cause aristoteliche è da Alberto stabilita una connessione fortissima. Vediamo adesso in parallelo l’uso che fanno rispettivamente Filippo ed Alberto delle quattro cause: mentre infatti il Cancelliere le connette alle tipologie di bene, il Dottore Universale le impiega nello spiegare le cause di atti moralmente buoni e di virtù (come vedremo nel dettaglio nei prossimi due capitoli).

Filippo il Cancelliere: istanze di bene assimilate alle quattro cause

Alberto Magno: cause di virtù assimilate alle quattro cause Causa materiale Bonum in genere Bonum in genere

Causa formale Bonum ex circumstantia Bonum ex circumstantia Causa efficiente Bonum naturae 1 Atto volontario (prossima)

2 Volontà (remota) Causa finale Bonum gratiae Felicità terrena

Come possiamo vedere, le differenze fondamentali si trovano negli ultimi due tipi di causa: per il Cancelliere è il bene fisico a causare il bene in senso efficiente, per Alberto invece l’atto volontario è causa efficiente prossima della virtù. Inoltre nel De bono di Alberto non troviamo affatto il bene della grazia, tanto importante per Filippo: già da ora possiamo introdurre un leitmotiv fondamentale nella filosofia albertina, quello cioè secondo cui il Dottore Universale sta cercando di stabilire una moralità ed un sistema di virtù tutto naturale e umano, per il quale la grazia non solo non è indispensabile, ma non è affatto necessaria. Egli stabilisce un discrimine netto tra le virtù derivanti dalla grazia e quelle naturali, per restituire all’uomo medievale uno spazio naturale di azione, nel contesto del naturalismo aristotelico.

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Come si configura l’azione umana in Filippo e qual è la sua influenza sulla visione di Alberto? Nel Cancelliere vediamo distinti tre livelli di bontà nell’atto umano: bonum in genere, bonum moris, bonum gratiae. La bontà in genere è intrinseca all’atto e relativamente indeterminata. Troviamo delle definizioni che vedremo anche in Alberto: il bonum in genere è congiunzione dell’atto con il suo oggetto, pura materia, prima potenzialità. È un bene non ancora determinato, dallo status ambiguo, che appartiene all’ordine morale solo materialmente. Il bene morale è derivato dalle circostanze e dall’intenzione, che, come in Alberto, danno la forma all’atto. Il bene della grazia è lo scopo, ciò che dà direzionalità all’atto umano105.

Questo tipo di bontà non si ritrova in Alberto, che conclude la sua classificazione con il bonum virtutis: ancora una volta emerge la sua volontà di stabilire una bontà morale tutta naturale e non derivante dalla grazia. Egli infatti suddivide il bonum moris in bene consuetudinario e bene derivante dalla grazia, escludendo da subito che la bontà dell’atto umano naturalmente morale possa concludersi nel bonum gratiae. Inoltre in Alberto il primo grado di bontà è il bene fisico, che non fa tuttavia parte dell’ambito morale106.

Filippo il Cancelliere: gradi di bontà Alberto Magno: gradi di bontà (Bonum naturae)

Bonum in genere Bonum in genere Bonum morale/circumstantiis Bonum ex circumstantia Bonum gratiae Bonum virtutis politicae

Altra fondamentale differenza tra Alberto e il Cancelliere è il trattamento delle virtù cardinali in rapporto a quelle teologali. Filippo ci

105 Ivi, De bono in genere, q. I, p. 327, ll. 10-15, A51vb. Cfr. ivi, De bono in genere, q. III, p. 342, ll. 11-17, A54rb.

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fornisce un quadro in cui, in effetti, è evidente la subordinazione delle prime, che informano la ratio inferior, rispetto alle seconde, che informano quella superior. Ma non basta: egli si spinge ad affermare che le virtù politiche, o cardinali, non sono vere e proprie virtù: «Le virtù politiche, sebbene possano essere chiamate “virtù” secondo l’etico, non sono virtù pienamente sviluppate o virtù nel vero senso della parola, ma solo una virtù etica; le virtù date da Dio, invece, sono virtù assolutamente107». Importante

anche l’ordine delle virtù (prudenza, temperanza, fortezza, giustizia), che vedremo confrontato con quello di Alberto.

Il Cancelliere compie un fondamentale tentativo di superare il dualismo tra voluntas e ratio108. Filippo sostiene che l’intelletto pratico, il

cui scopo è il vero, e la volontà, appetito del bene, non sono facoltà diverse ma la stessa facoltà che compie due diversi atti: proprio in virtù della teoria dei trascendentali, l’intelletto e la volontà sono distinguibili nel concetto ma non estensivamente. Sia l’intelletto pratico che quello speculativo hanno quindi una pars superior ed una pars inferior109: per l’intelletto pratico si

tratta della distinzione tra synderesis, parte generalmente considerata come superiore anche dai predecessori di Filippo (come Goffredo di Poitiers e Guglielmo di Auxerre), e libero arbitro, inferiore, che si occupa di operare con i dati concreti, mentre la synderesis è la volontà indifferenziata ordinata al bene che ordina e distingue il bene generale110. Essa viene definita né

come potentia né come habitus, bensì come potentia habitualis che si oppone al male, valuta gli atti umani in relazione al sommo bene ed ha sia una componente volitiva che una cognitiva111.

107 «Virtus politica, licet dicatur virtus secondum ethicum, non est plena virtus nec vero nomine virtus, sed ethico tantum virtus est, virtus autem gratuita simpliciter est virtus». Filippo il Cancelliere, Summa de bono, p. 597, ll. 33-35, De Bono gratiae in homine, tr. II, B, q. V., A96vb.

108 R. Saccenti, Conservare la retta volontà: L’atto morale nelle dottrine di Filippo il Cancelliere e Ugo di Saint-Cher, il Mulino, Bologna 2013, p. 158.

109 Ivi, cit., pp. 84-87.

110 Ibidem. Cfr. ivi, cit., p. 179. 111 Ivi, cit., pp. 174-175.

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Un’altra questione che sarà fondamentale per Alberto (che però non ne condividerà la soluzione) è quella riguardante il libero arbitrio e la volontà. Egli afferma che il libero arbitrio si trova soltanto nel momento dell’azione del giudicare: le altre attività non sono libere perché condizionate dalle strutture in cui vediamo il mondo. La volontà non soffre di tali costrizioni ed è quindi la fonte primaria del libero arbitrio112. Il libero

arbitrio però si trova sia nella voluntas che nella ratio113, in quanto

composto di una componente volitiva e di una cognitiva: questo si vede soprattutto nel momento dell’electio, che può essere considerato sia come ultimo atto di ragione, che identifica un bene o un male concreto, sia come primo atto di volontà114. Il libero arbitrio come facoltà è quindi come la synderesis una potentia habitualis: in quanto potenza essa è principio di

mutamento e propria della natura dell’uomo, come habitus è una disposizione da sviluppare115.

Un ulteriore passo importante per Alberto si trova nella quaestio che tratta la giustizia ed il diritto naturale116: quest’ultimo deriva

fondamentalmente dalla ragione e dalla nostra natura. Il rapporto tra ragione e natura è esplicitato in tre passaggi o momenti: natura ut natura, dove il diritto naturale corrisponde allo ius di Ulpiano, riguardante la conservazione dell’individuo e della specie, esteso ad ogni essere vivente;

natura ut ratio, dove la ragione è unita alla natura e questa afferma la

prima, comune anche agli animali ma che raggiunge il suo perfezionamento solo nell’uomo; ratio ut ratio, l’aspetto più alto del diritto naturale ed

112 McCluskey, “Philip the Chancellor”, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Winter 2014 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = https://plato.stanford.edu/archives/win2014/entries/philip-chancellor/. Cfr. Filippo il Cancelliere, Summa de Bono, pp. 165-192, q. II, 2, A25ra-A29va.

113 Saccenti, Conservare la retta volontà: L’atto morale nelle dottrine di Filippo il Cancelliere e Ugo di Saint-Cher, cit., p. 127.

114 Ivi, pp. 128-130. 115 Ivi, p. 132.

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esclusivo dell’essere umano117. Filippo segue una divinizzazione dello ius

naturae che era iniziata già da Cicerone, sostenendo che questi ordinamenti

propri dell’uomo sono iscritti nella ragione da Dio. E mentre per Ulpiano il primo diritto era derogabile, «questo invece è in sé assolutamente inderogabile, non solo da parte dell’uomo, ma anche da parte di Dio stesso, che può dispensare gli uomini […] solo dal secondo e dal terzo diritto»118

(come possiamo vedere in molti passi dell’Antico Testamento, dal furto nei confronti degli Egiziani ordinato da Dio agli Ebrei in fuga al sacrificio di Isacco ordinato ad Abramo).

Dunque in Filippo possiamo vedere notevoli passi in avanti ed un rinnovato interesse per le virtù cardinali, che tuttavia restano subordinate a quelle teologiche e non sono “vere” virtù; inoltre è preponderante il ruolo della grazia, come non lo sarà in Alberto.

117 Ivi, p. 1026, IV, VIII, 11, A190vb: «Ad predicta respondeo quod, cum queritur an Deo conveniat precipere contra ius naturale, cum iusnaturale dicatur anatura, scilicet quod dictat ratio naturalis, et quasi scriptum in ratione naturali, cum secondum hoc ratio sit ipsa natura, tamen potest accipi natura ut natura vel natura ut ratio vel ratio ut ratio. Natura ut natura in rationabili, scilicet homine, dictat cognoscere aliquam, scilicet rem sue speciei, scilicet ad conservandum rem ipsius speciei. Item natura ut ratio dictat cognoscere unam, non plures; cognoscere enim rem sue speciei a natura est, unam non plures, rationis est. Item ratio ut ratio dictat non solum unam et non plures,sed etiam unam sibi coniugatam». 118 Pizzorni, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d’Aquino, cit., p. 377. Cfr. anche Filippo il Cancelliere, Summa de bono, cit., p. 1027, A190vb: «Contra dispositiones autem ques sunt ad finem nequaquam precipit Deus […]. Sed precipere Dei est nonnumquam contra dispositiones ques sunt quantum ad materiam […]. Et secundum hoc precipit contra ius naturale, secundum quod ius naturale dicitur naturale ut ratio vel ratio ut ratio […]. Sed prout ius naturale dicitur quod natura dictat it natura, non precipit contra ius naturale, quia, ut dictum est, hoc esset precipere contra se».

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