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3 La parola si fa scena

3.7 Branciatrilogie: rifondere i ruoli

Fu dunque solo nel 1984 che, complice il critico della compagnia Riccardo Bonacina, tra i due si siglò un sodalizio fecondo e imperituro che, si vedrà, avrebbe portato frutti al di là di ogni aspettativa: Branciaroli diventava il nuovo attore per cui Testori avrebbe presto scritto testi, e da cui non si sarebbe mai più sganciato.

Vitale e irruente, mattatore dalla possente e sicura presenza scenica, a dispetto di tutti gli altri attori, aveva, secondo Testori, qualcosa in più:

Lui brucia ogni volta qualcosa di sé, ha l’estremo coraggio di buttar via la sua professionalità tecnica, che pure ha altissima, per dare qualcosa di più. Con lui si entra

666

M. G. Gregori, Branciaroli narcisista o masochista?, cit.

667 Branciaroli si era concesso un’avventuretta leggera nel cinema di Tinto

Brass, regista con cui sarebbe nato un altro improbabile e duraturo sodalizio, a partire dalla pellicola erotica La chiave del 1983.

668

Cfr. C. Longhi, Franco Branciaroli, cit.

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in quella zona di fuoco in cui è difficilissimo sostare. Una zona incandescente, purissima, esaltata, anche pericolosa, che però è l’unica che mi interessa, quella per cui mi ostino a fare teatro670.

La stima era reciproca: «Testori è evitato dalla cultura perché è l’unico, o forse saranno due o tre in Italia, a cui non sta ridicolmente largo l’aggettivo “grande” accostato a “scrittore”»671, avrebbe detto in seguito l’attore che in quel momento sceglieva di legare il suo nome a quello della presenza “scandalosa” di Testori e che, inoltre, trovava «non soltanto un drammaturgo pronto a prestargli la propria formidabile scrittura, ma anche una compagnia teatrale nata allo scopo di rappresentare il teatro e l’idea di teatro che Giovanni Testori coltivava da sempre, e che Branciaroli in quel momento incarnava perfettamente»672.

La coppia Testori-Branciaroli, anche se da subito prolifica, non partorì immediatamente la messa in scena di un testo originale del drammaturgo, questo anche perché per la compagnia de Gli Incamminati era impossibile entrare, con i testi di Testori, nel circuito degli Stabili673. La compagnia, quindi, forte della presenza del nuovo arrivato Branciaroli, cercò di dare un colpo di timone verso un teatro tradizionale inteso come teatro “educativo”, proponendo testi già esistenti, classici, in lezioni garantite da un’interpretazione cristiana. Così, ad aprire il sipario degli anni solari 1985 e 1986 furono, rispettivamente, La vita è sogno di Calderón de la Barca, e Peer Gynt di Ibsen, entrambi in scena all’ormai familiare Teatro di Porta Romana.

Il primo vedeva Branciaroli, sia regista che attore nella parte di un Sigismondo con echi ronconiani, farsi totalmente carico delle istanze poetico-tematiche cristologiche portate avanti da Testori674; viceversa, rivisitando il Peer Gynt, testo – noto all’attore dagli anni di

Trionfo – omnicomprensivo, che si dipanava nell’arco di quattro ore in uno spettacolo che vedeva l’alternarsi, al protagonista sempre in scena, di altri ventotto attori, Branciaroli contribuiva a disegnare il volto de Gli Incamminati attraverso la propria esperienza e

670

M. Vallora (a cura di), Che il fuoco sia con me, intervista a G. Testori, in «Panorama», 22 marzo 1987.

671

G. Santini (a cura di), Giovanni Testori nel ventre del teatro, cit., p. 135.

672

L. Doninelli, Trenta volte incamminati, pp. 48-49.

673 Infatti, gli ultimi drammi di Testori – come si è detto, il Factum est, storia di un aborto, e il Post-Hamlet, il

tentativo del potere di sostituire all’uomo plasmato da Dio l’uomo fabbricato in provetta –, benché applauditissimi da buona parte del pubblico, avevano suscitato anche molti dissensi.

674

«Dove mi è personalmente assai più difficile seguire Branciaroli, invece, è nel colloquio tra lui e Giovanni Testori pubblicato nel programma, nel quale si tende a mettere in luce, l’aspetto “cristologico” del personaggio di Sigismondo». M. G. Gregori, Un eroe prigioniero del sogno, in «L’Unità», 19 gennaio 1985.

personalità675.

Intanto che Franco si gettava a capofitto nella nuova avventura teatrale, Gianni aveva cominciato a scrivere per lui un testo dai temi incandescenti, che si sarebbe inserito in una (nuova) trilogia testoriana, così ribattezzata per sottolineare il forte legame con l’attore676

:

Come testifica, in piena luce, e in piena ombra, il titolo la “Branciatrilogia I” è stata scritta, più che per, addosso a quel grande, unicissimo attore che è Franco Branciaroli; senza lui, essa non sarebbe neppur iniziata. Quanto alla numerazione, significa che, dopo questa, ne verrà una seconda, di cui nella prossima stagione sarà realizzato, sempre con il Teatro de Gli Incamminati, il testo primo: “Sfaust”677.

E, mentre il cartellone della compagnia ne bilanciava i rischi con repertori classici e sicuri678, il 25 settembre 1986 al Teatro di Porta Romana, dopo una breve gestazione veniva alla luce Confiteor, il primo figlio teatrale legittimo nato dal legame artistico tra l’attore e il drammaturgo lombardi, per la seconda volta regista, affiancato da Banterle.

L’azione di Confiteor è affidata a due voci […] incatenate la cui violenta risonanza riempie da sola l’intero spazio scenico e giustifica, ancora una volta, la premeditata scelta dell’autore per il teatro della “parola”: sufficiente, questa, a recepire e a comunicare la globalità dialettica e poetica della sua spiazzante immaginazione679.

Il rovello-bestemmia di un uomo ribelle al suo Creatore, che rivela l’uccisione del fratello alla madre, è accolto su un palcoscenico spoglio, arredato da due sole sedie, spazio per «una poesia di nuda e scoperta confessione, con la risonanza corale di una parola rituale

675

«La centralità della figura di Peer, il leggendario viaggiatore in casa, il sognatore di trasgressioni che forse non riesce a compiere, era esplicitamente offerta sul piatto d'argento dell'attore che si identifica con il personaggio». T. Chiaretti, Viaggiare sì, in casa, in «La Repubblica», 28 gennaio 1986.

676

La Branciatrilogia I riunisce i tre testi: Confiteor (1985), In exitu (1988) e Verbò (1989, pubblicato postumo, a cura di Panzeri nelle Opere, 1977-1993, vol III) con protagonista sempre Franco Branciaroli (cfr. infra Teatrografia); La Branciatrilogia II è preannunciata nel comunicato stampa di Verbò e prevede la messa in scena di Sfaust (1990) e di altri due testi; non essendo frutto di un progetto prestabilito, però, la struttura cambia diverse volte, con titoli diversi: il secondo testo (pubblicato e rappresentato) sarà sdisOrè (1991), il terzo pare dovesse essere Regredior, ma rimarrà irrapresentato (e pubblicato postumo, ancora a cura di Panzeri nelle Opere, 1977-1993, vol III).

677

G. Testori, La Branciatrilogia I, in comunicato stampa di Verbò, spettacolo diretto da G. Testori, Milano, Piccolo Teatro, 1989.

678

Con la produzione di spettacoli quali Spettri di Ibsen (1987), Amleto di Shakespeare (1988) e Cocktail party di Eliot (1988).

679

ampiamente partecipata»680.

Nel programma di sala, Testori, mentre con colpi apologetici scalpella la figura del suo attore e ne rilegge la carriera, approfitta per scagliarsi contro la dittatura dell’«istituto registico», a sua detta, fautore dell’agonia del teatro e della «dura, atroce coibizione» dello stesso Branciaroli, a domarne la potenza dirompente:

Non so se sia nato da lì, da quelle catene […], la sua volontà di scrivere, come ha fatto, in proprio, i testi; e di farsi, in proprio, regista. Del resto ancorché l’istituto registico, proprio perché vacilla, usi considerarli dall’alto in basso […], bisognerebbe esaminare la ragione per cui i casi d’autori che si fanno attori e registi dei loro testi, così come gli altri casi che comunque tendono a rifondere i tre ruoli, stiano diventando sempre più frequenti: ed attivi681.

In questo modo, accusando la regia di avere oppresso la categoria attoriale limitandone la libertà ed espressività, l’autore che grida che il teatro «appartiene da sempre, e sempre apparterrà, (salvo i periodi dominati dagli oscurantismi illuminati del “regime” registico) all’attore», allude al legame a doppio filo tra autoralità e attorialità, svelando l’intrinseca concezione del proprio ruolo che diventa (o ri-diventa, riagganciandosi alla tradizione) garante di colui che, salendo sul palco, «è demandato di svolgere il sacrificio»682: in questo senso la tendenza a «rifondere i tre ruoli» è pienamente assunta dal teatro testoriano e in primis da Branciaroli, che non solo è protagonista del discorso, ma lo condivide e lo fa proprio.

Secondo la visione dell’attore, le Branciatrilogie si fondano su parole di persone già morte, appartenenti ad un mondo senza dimensioni spazio-temporali: «Non il verbo che si fa carne della tradizione cristiana, ma la vertigine del percorso a ritroso, la carne che si fa verbo, cadaveri che riacquistano la parola»683. Far rivivere i morti, assumendosene il destino, è la missione cristica dell’attore: «si torna, insomma, al grande tema dell’abbattimento della “quarta parete”, chiave di tutto il pensiero teatrale testoriano. Per

680

A. Cascetta, Invito alla lettura di Giovanni Testori. L’ultima stagione (1982-1993), Milano, Mursia, 1995, p. 64.

681

G. Testori, Branciaroli, l’“istituto” registico e altre cose, cit., p. 16. Una visione analoga sulla rovina dell’attore causata (a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta) dal regista, la esprime Dario Fo che, nel 1990, sottolineava: «nel periodo della regia trionfante era lui per primo [l’attore] che esaltava l’opera del regista, perché stupidamente credeva che questo aggiungesse a sé una cornice, un passpartout, un orpello che lo esaltasse, un pilastro. E non sapeva che in quel momento, se mai, si compiva la sua distruzione» (D. Fo, L. Allegri, Dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione, cit., p. 74).

682

Ibid.

683

A. Bandettini, Franco Branciaroli torna al maestro Testori, intervista a F. Branciaroli, in «La Repubblica», 22 ottobre 2003.

abbattere questo muro, in altre parole, è necessario che i morti facciano ritorno»684:

Quel pezzo di carne buttato in scena tenta di diventare verbo. Ma non parola teatrale nel senso di parola, ma verbo, parola che è oltre il significante, qualcosa di più totale: il logos. La teoresi che sottintende tutto il teatro di Testori è questa, infatti tutti i personaggi che analizzi si riducono a uno: è sempre un Riboldi Gino che muore e parla di quando muore685.