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3 La parola si fa scena

3.4 L’incontro con il Teatro dell’Arca

3.4.1 Interrogatorio a Maria

Il 27 ottobre del 1979 a Milano, nella chiesa di Santo Stefano, si inaugura Interrogatorio a Maria576: dramma mistico sulla figura della Madonna, che spiazza «chi era abituato al teatro violento e incandescente»577 di Testori. Un critico da sempre attento alle evoluzioni della scrittura del drammaturgo, quale Roberto De Monticelli, constatava in merito ai contenuti il «completo rovesciamento di certe posizioni a cui la sua monologante diatriba tragico-grottesca ci aveva abituati»578, dove il precedente rifiuto dell’esistenza contestata dal concepimento, si scioglieva in accettazione e consentimento.

La regia del nuovo dramma poetico fu affidata al giovane Emanuele Banterle: «Più di tutto il modo che Testori aveva di pronunciare il testo: la parola era un fatto fisico, una realtà,

573 Ibid. 574 Cfr. Ibid. 575 Ibid. 576

In scena: Laura Lotti, poi Stefano Braschi, Paola Contini, Emanuela Fabbroni, Vania de Fatima, Franco Palmieri, Paolo Panzavolta, Daniela Piccari, Giampiero Pizzol, Vincenza Rava e Andrea Soffiantini; cfr. infra Appendice C, foto 40.

577 D. Dall’Ombra, F. Pierangeli, Giovanni Testori. Biografia per immagini, cit., p. 108. 578

che provocava in chi la diceva un rapporto di adesione totale»579. Il ribaltamento dei principi attoriali di Interrogatorio si incardina qui, nell’imitazione del poeta-testimone, nella sua capacità di seguire la parola, nella necessità di pronunciarla, nell’affermazione del legame vissuto con il testo. Il lavoro di prove è così incentrato «sull’attore come persona»580, con la «preparazione dell’uomo a dire la parola»581, con la scoperta progressiva dei «livelli di sé che vengono implicati con essa»582. Questo significò la quasi totale aderenza all’opera originaria (già priva di didascalie):

È la prima volta che un testo mio viene rappresentato senza che sia stata spostata una sola parola, una sola virgola. E ciò non solo per rispetto, o, forse sì, anche per rispetto: ma per un rispetto che va oltre e che implica delle ragioni molto più profonde, cioè un atto di fiducia reciproca, fra gli attori dell’Arca, il regista Emanuele Banterle ed il testo e quindi l’autore; un atto di fiducia che vive dentro un atto di fede comune583.

E si ripercosse sulla recitazione:

I giovani della Compagnia del Teatro dell’Arca hanno detto le parole del testo con una semplicità e un rigore singolari. Passandosi dei microfoni, davano voce ai versi tenendoli in bilico su grandi pause. La regia di Emanuele Banterle consisteva proprio in questo, nel valorizzare al massimo, al centro di quell’enorme folla silenziosa, sui gradini di un altare di chiesa, la parola. Faremo almeno un nome, tra gli interpreti: quello di Laura Lotti che era Maria e che ha dato a questa immagine una purezza toccante di vocalità e gesto. Un enorme applauso ha salutato la fine dello spettacolo e Testori è apparso, commosso, fra i suoi interpreti584.

È evidente che il mutamento drammaturgico-teatrale che coinvolgeva temi, attori, recitazione, elementi di scena, non poteva non lasciare indenne il pubblico, tanto che lo testimonia uno spettatore d’eccezione: «[Grazie per] questo spettacolo così semplice, così ridotto nei suoi elementi visivi e così affascinanti per il suo contenuto essenziale, religioso,

579

E. Banterle, La seconda trilogia, in programma di sala dello spettacolo Factum est, diretto da E. Banterle,1981, p. 7; cfr. infra Appendice C, foto 42.

580 Ibid. 581 Ibid. 582 Ibid. 583

G. Testori, Parole del sacro sulla scena povera, in «Avvenire», 18 ottobre 1979.

584

profondamente teologico, profondamente umano, perenne e insieme, possiamo dire, totalmente nostro»585.

A pronunciare queste parole, papa Giovanni Paolo II, che, il 29 luglio 1980, aveva assistito all’ultima replica dello spettacolo nei giardini del palazzo papale di Castelgandolfo, seduto accanto a Testori e Giussani, e insieme ad una fittissima folla che in piedi e per terra si era adunata attorno al semicerchio composto dagli «attori di Dio»586, a concludere la prima tappa di una lunghissima tournée che toccherà più di 200 città e paesi italiani, a disparate longitudini – da Varallo ad Alcamo, con soste più sostanziose in Lombardia ed Emilia Romagna (Regioni di appartenenza di autore e compagnia) –, e seguita da oltre 400.000 persone587.

Un fenomeno di partecipazione straordinario588 indice di una variazione di pubblico, spesso non avvezzo alla frequentazione teatrale, ospitato in uno spazio «in cui sono pre- scritti i significati del lavoro, della preghiera, dell’incontro, nel cuore della comunità, ma non quelli dell’evasione svagata, del divertimento, uno spazio, comunque, adatto a disporre l’uditorio alla meditazione sul senso»589

.

Testori attribuiva «al tipo di rapporto nuovo» che, fin da Conversazione con la morte, si era instaurato con il pubblico, la necessità di uno spazio teatrale, non più diviso tra platea e palco, che aveva trovato «in maniera del tutto naturale» il suo habitat «soprattutto nelle chiese»590 o nelle piazze, nel tentativo, come afferma Davide Rondoni, di volgere

il teatro verso il palco infinito del mistero, il palco esposto del destino. E portare con sé gli spettatori, resi in modo straniante comunità nell’esser trascinati insieme verso quell’abisso. Chi ha assistito a questi spettacoli, ha provato d’esser parte di un gesto che aveva la sua ragione, il suo motivo oltre la sera che scendeva intorno al teatro, e oltre e attraverso la vita che vi si svolgeva intorno e riecheggiava dentro591.

585

Giovanni Paolo II, discordo tenutosi a Castelgandolfo, il 29 luglio 1980, in s. a., Teatro dell’Arca, cit., p. 44; cfr. infra Appendice C, foto 41.

586

G. Testori, Interrogatorio a Maria, Milano, Rizzoli, 1979, p. 8.

587

Cfr. s. a., Teatro dell’Arca, cit., p. 35; Frangi parla di «quasi mezzo milione di spettatori» (G. Frangi, A tu per tu con Maria, in «Tracce-Litterae Comunionis», XXVII, novembre 2000, n. 10, p. 58); Doninelli più genericamente riporta «migliaia e migliaia di spettatori», ma indica cifre «da guinness dei primati». (L. Doninelli, Trenta volte incamminati, cit., p. 29).

588

cfr. infra Appendice C, foto 39.

589

A. Cascetta, Invito alla lettura di Giovanni Testori, cit., p.142.

590

G. Testori, Amici, è tempo di Trilogia, cit.

591

Come la prima Trilogia aveva espresso «la disperazione e l’impossibilità del teatro di esistere al di fuori del rito, l’impossibilità di esistere al di fuori dell’altare», la seconda rappresentava «il ritrovamento di questo altare, di questo luogo»592.

E proprio le riprese video dello spettacolo girato dalla Rai nel 1982593 iniziano con l’inquadratura fissa di una sedia di legno e paglia davanti ad un altare, sui cui gradini pervengono, alla spicciolata, alcune persone vestite con abiti quotidiani e contemporanei (primo ad arrivare e a prendere la parola, l’attore Andrea Soffiantini), che si dispongono specularmente in leggera diagonale, lasciando al centro la sedia: è un coro in attesa, presto colmata dall’arrivo di Maria (interpretata da Laura Lotti), di fronte a cui tutti si inginocchiano (senza una particolare sintonia coreografica, che rimarca la semplicità e spontaneità del gesto), finché lei li invita ad alzarsi, e rimanendo seduta, risponde al loro lungo interrogatorio di giovani che si fanno portavoce dell’intera comunità.

La parola recitata è sobria e asciutta, mormorata, ma scandita594, i corpi fermi e “respirati”, l’intimità degli sguardi vibrante: tutto a favore di un’intensità giocata su un lavoro attoriale in sottrazione che richiede una alto tasso di concentrazione da parte del fruitore, la cui distrazione potrebbe derivare non dagli elementi scenico-visivi (totalmente assenti), quanto dallo svagamento di una mente non abituata a seguire l’affastellarsi continuo delle immagini evocate esclusivamente tramite lo strumento vocale attoriale, qui non sondato nella sua densità fonica.