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1.5 Le Lombarde

1.5.8 Al Teatro Verdi di Padova

Il testo – che si prestava alle ricerche stilistiche della Compagnia, «sia per la parte vocale, fondata su accordi timbrici corali e individuali, sia per la parte coreografica»163, coordinata, nell’espressione mimica da Jacques Lecoq – fu organizzato in una «complessa partitura, quasi da laboratorio» e ambientato su una scena che, essendo già lo spazio diegetico della scrittura drammatica in sottrazione, non poteva rappresentare un’occasione di descrizione d’ambiente, e divenne perciò un elemento che sottolineava l’essenziale 156 Ibid, p.2 157 Ibid., p.4 158 Ibid., p.1. 159 Ibid., p. 3. 160 Ibid, p. 5. 161 Ibid. 162 Ibid. 163

drammaticità narrativa della perdita. Gastone Geron, giovane critico della «Gazzetta veneta», nonché ammiratore degli esperimenti teatrali debosiani, ne restituiva l’allestimento secondo una sua poetica visione:

Parellelopipedi bassi, sfumati in un color grigio, tetro e agghiacciante, sotto un cielo azzurro, spaventosamente azzurro; e un piano degradante dove i personaggi appaiono immensi e poi si fanno proporzionati come scendono da quel piedistallo di case senza finestre con tetti bizzarri e bizzarro gioco di volumi. Qui, in questo desolato scenario – che è sintesi stilizzata della periferia rumorosa, affaticante e ansante della grande Milano – si svolge l’azione de «Le Lombarde», la tragedia nuovissima d’un giovane milanese: Gianni Testori, che iersera al «Verdi» di Padova è stata messa in scena, per il battesimo della ribalta, dalla Compagnia del Teatro dell’Università164.

Mentre il tempo diegetico, dichiarato prima dalla donna – «ora il giorno ha fine/la sera si costruisce dolorosa» – , e poi dalle madri che definiscono la stagione «estate, usura divorante» veniva condensato in un cielo «spaventosamente azzurro», caricatura tendente a quell’espressionismo tedesco dalle scenografie essenziali e stilizzate che risaltano il dettaglio e deformano il particolare; il luogo, indefinito a livello verbale (se non con la «città» e il deittico «qui»), era sintetizzato da quei parallelepipedi e quel piedistallo a figurare le case «senza finestre», che componevano la periferia scarnificata.

Una scenografia, quella di Mischa Scandella, «staccante e fredda, deliberatamente desolata»165, che incrociava l’astrattezza e la bizzarria dei volumi – richiamo agli screens di craigiana memoria e allo spazio simbolico di Appia, derivazioni d’avanguardia – con la sua forte e accentuata cromia, dovuta alla «connaturata disposizione alla luce, venezianissima»166. L’intesa di De Bosio con lo scenografo-poeta167 non poteva che essere totale – tanto che la loro collaborazione durò a lungo – dal momento che entrambi erano avevano soggiornato, con una borsa di studio a Parigi, nella «Francia dei seguaci di Copeau»:

questo è un elemento di formazione molto importante perché basato su un intendimento comunitario e segnato da un’idea di necessità ed essenzialità della

164

G. Geron, Piangono Le Lombarde nella tragedia d’un giovane, cit.

165

Ibid.

166

G. Puglisi, Gianfranco De Bosio e il teatro dell’Università di Padova, cit., p. 100.

167

La definizione è di Meldolesi. Cfr. C. Meldolesi, Alla memoria di Ludovico Zorzi, in Gianfranco De Bosio e il suo teatro, A. Bentoglio (a cura di), cit., p. 18.

costruzione scenica. […] Coupeu, per esempio, avrebbe voluto in una scena unica concepire l’allestimento di qualsiasi testo: avrebbe voluto qualcosa che richiamasse alla nuda essenzialità del teatro classico168.

Così come teatro classico era quello richiamato apertamente da Testori, il quale, circa un mese prima dello spettacolo, accennando a Grassi la propria imminente partenza per Padova, per «vedere i bozzetti della scena e dei costumi»169, aveva anche assistito alle prove, a conferma del suo operare in un contesto d’ensemble che lo reputava adatto a sviluppare le proprie potenzialità: una giovane compagnia di semi-professionisti, tutti pressoché occupati in prima battuta in altri lavori (chi impiegato in negozio, chi in banca…), che, per la realizzazione spettacolare, si era così configurata:

Lieta Carraresi, Livia Dudan, Tina Gullo nel ruolo delle madri; Agostino Contarello, Carlo Mazzone e Giuseppe Zampiron nel ruolo dei padri; Amélie Gullo e Giuliana Pinori, donne di Mantova e Lodi; Mario Bardella, direttore della colonia e Jacques Lecoq marinaio170.

Unica eccezione per Jacques Lecoq, il mimo francese che collaborò all’interno dello spettacolo usando il suo specifico e originale linguaggio della pantomima per vestire i panni del marinaio – assente nella versione a noi pervenuta, e presumibilmente anche da quella in vista della rappresentazione al Verdi, supponendo, con buoni margini di certezza, che Testori non abbia creato alcun personaggio privo di parola – ma «le cui coreografie rimasero abbastanza in margine dello spettacolo»171.

De Bosio non era in grado di fare arte con i suoi attori, singolarmente intesi: per cui tese a farne forze materiali significative, intelligenti che meglio agivano come coralità, in polemica con il grande attore in languido declino. Si determinarono così ritmi nuovi, freschezza scenica, rapporto intelligente con le singole battute172.

L’aspetto comunitario, che chiama in causa Meldolesi, risultava, perciò, nella coralità su cui tutta la tragedia si strutturava, totalmente potenziato ed espletato nelle sue diverse

168

Ibid.

169

G. Carutti, E. Vasta (a cura di), Testori e il Piccolo: lettere, testimonianze, spettacoli, cit., p. 11.

170

G. Geron, Piangono Le Lombarde nella tragedia d’un giovane, cit.

171

C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano, cit., nota a p. 426.

172

funzioni dal regista veronese, il cui lavoro non era depauperato dalla mancanza di grandi attori, bensì amplificato grazie alla vivacità e alla coesione del suo collettivo.

De Bosio, poté mettere alla prova i suoi appetiti sperimentali nell’intreccio tra «armonizzazione» e «disseminazione vocale»173, articolando «le battute per suoni, ritmi e sensazioni fisiche, incurante del fatto che non “arrivassero”»174

; operazione lodata da Geron che attribuiva a lui buona parte del «merito sulla calorosa accoglienza dell’opera; ha fatto musica e ritmo nella cadenza e negli accenti e ha nobilmente istruito cori e corifei»175.

Era il 1° marzo 1950 e al teatro Verdi di Padova – luogo prescelto dal Teatro dell’Università per la stagione teatrale ’49-’50 e poi abbandonato perché «certe recite, come quelle della Moscheta, in un vasto teatro perdevano il necessario contatto col pubblico»176 –, precedute dall’atto unico La medicina di una ragazza malata di Paolo Ferrari, approdavano sulla scena Le Lombarde di Gianni Testori, «la tragedia di un giovane»177 «ventisettenne laureato in Lettere e Filosofia»178, «evocato più volte alla ribalta» «da un pubblico particolarmente espansivo»179.

173 Ibid. 174 Ibid. 175

G. Geron, Piangono Le Lombarde nella tragedia d’un giovane, cit.

176

B. Brunelli, Non sono più ragazzi quelli del Ruzante, in «Il Dramma», XXIX, 15 marzo 1953, n. 177, p. 57.

177

Cfr. G. Geron, Piangono Le Lombarde nella tragedia d’un giovane, cit.

178

Ibid.

179