Se è chiaro che nel ’50 il rapporto Testori-Teatro dell’Università, era ormai ben consolidato, non altrettanto chiari sono i punti di contatto iniziali tra drammaturgo ed ensemble padovano, l’impatto con il quale – come si evince da una lettera indirizzata a Grassi, nel dicembre del ’48 – non doveva essere stato fin da subito idilliaco:
Caro Grassi,
ti mando il copione103 e scusa del disgusto che ti do facendotelo leggere.
Lunedì mattina ti telefonerò e così potremo vederci, parlare dell’Assassinio e delle altre cose, non ultimo del delirante Teatro dell’Università104.
Sorgono, quindi, alcune domande: quando si erano conosciuti Testori e De Bosio? Perché avevano avviato una collaborazione sul piano artistico? In un contesto come quello del Teatro Universitario di Padova, in cui si riprendevano i grandi classici – dalla tragedia a Goldoni – e si decideva di ridar vita a La Moscheta, perché il regista aveva scelto Testori? E al drammaturgo milanese cosa attirava dell’esperienza padovana?
A distanza di quasi settant’anni, il Maestro De Bosio, cercando di recuperare le circostanze che l’avevano condotto a stringere il legame artistico con Gianni, afferma che fu proprio quest’ultimo a prendere iniziativa: «fu attratto dall’esperienza di Padova, se ne informò e prese lui contatti con noi. Infatti, io sono venuto a incontrarlo nel suo studio di pittore in questa strada a 150 metri da qui»105.
102
Ibid.
103
Non è chiaro di quale copione si tratti. Negli Archivi del Piccolo sono presenti, antecedenti a quella data, solo Tentazione nel convento e Cristo e la donna. Cfr G. Carutti, E. Vasta (a cura di), Testori e il Piccolo: lettere, testimonianze, spettacoli, cit., p. 10. Ma, il «disgusto» che prospetta Testori all’amico, porta a propendere fortemente che si riferisse a Tentazione. Se così fosse, questo costituirebbe un termine post quem per la datazione dell’opera.
104
G. Carutti, E. Vasta (a cura di), Testori e il Piccolo: lettere, testimonianze, spettacoli, cit., p. 10.
105
G. Fornari (a cura di), Le Lombarde, tra Ruzante e la guerra, intervista a G. De Bosio (cfr. infra Appendice A, p. 206). Il Maestro si riferisce all’appartamento in via Santa Marta 10, divenuta celebre per l’episodio del rogo con il quale, dopo la delusione dovuta al rifiuto dei suoi affreschi commissionatigli dai gesuiti nella Chiesa di san Carlo al Corso, diede fuoco a tutti i dipinti realizzati fino a quel momento. Cfr. D. Dall’Ombra, F. Pierangeli, Giovanni Testori. Biografia per immagini, cit., p. 25.
Formulando diverse ipotesi sulle ragioni dell’aggancio, il Maestro tira in ballo il Ruzante106 – autore con cui, si ricordi, anni dopo Parenti conquistò Testori107 – e l’Alfieri: «lui amava profondamente un autore che io frequentavo allora, che è l’Alfieri. L’Alfieri è stato il punto di congiunzione tra Testori e Le Lombarde. […] Forse è addirittura l’Alfieri che ci ha avvicinato…»108
.
Eppure, la prima tragedia alfierana, l’Antigone allestita da De Bosio, andò in scena solo nel 1953, mentre La Moscheta debuttò a Padova nella stagione successiva a quella de Le lombarde – replicando a Milano l’anno successivo109 –; è pur vero che a Padova si era cominciato a prepararlo già nel ’48.
Al di là delle incongruenze cronologiche, i legami verosimilmente debitori di Alfieri e di Ruzante, o l’attrattiva potenzialmente suscitata da un Teatro che sceglieva di mettere in repertorio tragedie come Le Coefore, o il Pirandello de L’uomo, la bestia e la virtù, sono solo di sottofondo al confronto che seguì, dapprima in quello studio e poi in campo teatrale, tra i due giovani, pressoché coetanei e da poco laureati, con una caparbietà, una tenacia, una intraprendenza non comuni per la loro età; a misurarsi furono soprattutto due spiriti inquieti ed irrequieti, entrambi, con accenti diversi, alla ricerca instancabile di vie nuove da percorrere, ribelli e insofferenti alla realtà del palcoscenico del proprio tempo, incatenato dalle convenzioni più deteriori, schiavo dell’arretratezza nelle sue forme, e misero nei contenuti, come denunciava ferocemente Tesori:
Una cosa è certa: che l’inciviltà del nostro teatro è epica… e quando va bene si riduce a una lucidissima vetrina […].
Scusa la tirata e la mia abituale violenza: rispondi a quelli di Padova e se hai tempo, anche a me: credi che tutto quanto ho detto è per una certa idea del teatro, per una certa chiarezza che in me si fa sempre più evidente, anche se penosa da raggiungere, e nella quale proprio non vorrei essere solo110.
«Durante l’Università avevo preso in affitto un abbaino in via Santa Marta, grazie a Padre David Maria Turoldo. Era un abbaino piuttosto spazioso, in cui ospitai anche diverse famiglie di meridionali in cerca di lavoro, che non avevano casa. In breve, quello studio diventò un vero porto di mare» Testimonianza di G. Testori, in F. Panzeri (a cura di), Cronologia, in G. Testori, Opere. 1943-1961, cit, p. XIX.
106
«Ruzante non poteva che entusiasmare Gianni» (G. De Bosio in G. Fornari (a cura di), Le Lombarde, tra Ruzante e la guerra, cit., p. 207).
107
Cfr. L. Doninelli, Conversazioni con Testori, cit., p. 63.
108
Cfr. G. De Bosio in G. Fornari (a cura di), Le Lombarde, tra Ruzante e la guerra, cit., infra, Appendice A p. 208.
109
Cfr. G. De Bosio, La più bella regia. La mia vita, cit., p. 89.
110
Forse fu proprio il bisogno di non rimanere solo ad attirare quella «gran testa di capelli ricci»111 verso chi, in quegli stessi anni, manifestava il «bisogno di un teatro che della realtà dell’uomo, della sua condizione sociale, del suo momento storico» potesse essere interprete, come si legge nell’autoritratto che la vivace esperienza padovana, nel 1950, forniva di sé:
Questa è la nostra compagnia stabile: un gruppo che vive e lavora per il teatro, e crede che il teatro sia un’arte, ed è disposta ad accettare le responsabilità di questa sua convinzione.
Quali siano le linee direttrici della nostra attività artistica non è facile spiegare in poche parole, mentre ancora i principi sono inseriti nella dinamica ricerca delle loro conseguenze.
Ricerchiamo nei testi, recenti e non recenti, il segno della rappresentazione drammatica propria del nostro tempo, un modo di rappresentare che conquisti l’attenzione degli uomini che sono il pubblico.
[…]
Se qualcosa abbiamo trovato, è in noi stessi, il bisogno di un teatro che della realtà dell’uomo, della sua condizione sociale, del suo momento storico riesca ad essere interprete.
Il come, ancora non è evidente, anche se la storia della nostra attività offre qualche indicazione sulle nostre predilezioni112.
E forse proprio qui si ritrovano i motivi più profondi di una comune spinta ideale: in un teatro che utilizzava «come strumento di opposizione e di contestazione della società borghese»113 la cultura popolare, intesa come cultura per il popolo, ma non nascente dal popolo stesso114, «strumento critico per svelare le contraddizioni del sistema»115;
Il “popolare” assume una funzione spiccatamente polemica: il dialetto di Ruzante e di Goldoni fa vivere sulla scena “l’altra Italia” ignorata dal pubblico borghese. […] La più interessante dimensione sperimentale e “popolare” del teatro universitario di Padova ci sembra però rappresentata dall’idea-guida di un teatro etico-comunitario, impegnato in
111
G. Santini (a cura di), Il “nostro” Testori, intervista a Franca Valeri, cit., p 107.
112 Locandina di presentazione del Teatro dell’Università di Padova, anno comico ’50-’51, Cfr. infra
Appendice C, foto 4.
113
C. Bernardi, Il teatro popolare di De Bosio, in Gianfranco De Bosio e il suo teatro, A. Bentoglio (a cura di), cit., p. 155.
114
Cfr. Ibid., p. 159.
115
una trasformazione della società non solo all’esterno, ma soprattutto all’interno del gruppo116.
Lo stesso teatro popolare che da sempre aveva affascinato Testori e di cui rimarrà sempre debitore, fin dai tempi di Cristo e la donna, «quello delle compagnie “scarrozzanti” per i paesi della Lombardia, che portavano in scena, in una parlata grezza, personalissima reinvenzione tra dialetto e italiano, i grandi classici del teatro e le Sacre Rappresentazioni»117.
1.5 Le Lombarde