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3 La parola si fa scena

3.2 Il polemista e quei ragazzi

All’indomani della morte della madre, Testori, invitato dal nuovo direttore del «Corriere», Franco Di Bella, a esprimersi sui fatti di cronaca e attualità nelle prime pagine del giornale – timbrate, fino a tre anni prima, dalla voce polemico-esistenziale di Pasolini480 –, esordiva481 nel settembre con un memorabile ed esacerbato «j’accuse» contro l’avidità economica della cultura marxista, trasformatasi «almeno in territori dell’editoria, del teatro e delle arti figurative»482 in fabbrica capitalista, che, secondo la predicatoria visione testoriana, dominava egemone su ogni ambito culturale della modernità fino ad assorbire tutto, «dal vecchio e nuovo realismo all’ultima imbecillità partorita dalle avanguardie»483

, e ad “ospitare“ chiunque in cambio di una tesserata sottomissione al partito. Denunce che dovevano risuonare come bestemmie in chiesa alle orecchie dei fedeli dell’intellighenzia

478

C. Meldolesi, Unificazione e Politeismo, in Le forze in campo: per una nuova cartografia del teatro, Modena, Mucchi, 1987, p. 8.

479

M. De Marinis, La prospettiva postdrammatica, cit., p. 39.

480 «Tra il gennaio del 1973 e il febbraio del 1975 Pasolini scrive una serie di interventi sul “Corriere della

Sera”, invitato dal direttore Pietro Ottone. Sono articoli provocatori, di argomento sociale e politico, in cui l’autore, spesso prendendo spunto da una sua esperienza privata, allarga il discorso a misura pubblica, elabora una nuova strategia retorica per coinvolgere i lettori e portarli sulle sue posizioni» (A. Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 173-174).

Pietro Ottone è lo stesso che nel ’75 chiama Testori al «Corriere» a dare il proprio contributo, soprattutto in qualità di critico dell’arte.

481

Una selezione degli interventi sul «Corriere della Sera» e su «Il Sabato» sono stati da lui scelti e raccolti nel volume La maestà della vita, pubblicato da Rizzoli nel 1982. Il profilo del Testori polemista e lo sguardo sui suoi interventi giornalistici di stampo civico sono affrontati da B. Pischedda, Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, pp. 212-265.

482

Cfr. G. Testori, La cultura marxista non ha il suo latino, in «Corriere della Sera», 4 settembre 1977; pubblicato poi in Id., La maestà della vita, in Id., Opere, 1977-1993, vol III, Milano, Bompiani, 2013, p. 160.

483

comunista da cui Testori si discostava con risentimento e disgusto, dichiarando di preferire il collocamento in una «dissennata minoranza», a costo di rimanere «assolutamente solo»484.

La lamentazione insofferente per «il dato congiunturale dell’isolamento, della marginalità e della solitudine pugnace», sottolinea Bruno Pischedda, sarà un motivo ricorrente negli scritti e negli interventi di Testori, il cui vanto riguardo all’«assenza di un preciso mandato da parte di organismi politici o movimenti d’opinione», da un lato deprime le sue «ambizioni ecumeniche», dall’altro ne esalta «il profilo vaticinante»485

.

Il 21 marzo 1978, alcuni universitari appartenenti a Comunione e Liberazione – movimento cattolico fondato negli anni Cinquanta dal sacerdote brianzolo Luigi Giussani486 – andarono a bussare alla porta dello studio di via Brera 8, in cui si rifugiava il neo- editorialista ancora caricato del proprio lutto.

Erano i giorni «cupi e roventi dell’odio»487, con l’onorevole Aldo Moro nelle mani delle Brigate Rosse, prossime a scrivere una delle pagine più feroci della storia italiana, e Testori, pochi giorni dopo il rapimento, aveva contestato dalle colonne del quotidiano l’imperversare sui giornali, gonfi di vuota retorica, di analisi politiche ferme alla disamina dell’accaduto. Si doleva per la mancanza di una parola che desse voce al bisogno di una «spiegazione totale», che chiamasse in causa il Dio, quello stesso che la società aveva eliminato dalla realtà:

Affondare gli occhi nel nostro male tenendo presente il Dio che abbiamo lasciato o, quantomeno, il dolore d’averlo lasciato, non significa veder meno: significa vedere ancora di più; e significa, inoltre, non poter più usare la parola (quella parola che è appunto ciò che si fa carne) come menzogna; menzogna che è servita e serve per

484

Ibid., p. 162.

485

B. Pischedda, Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco, cit., p. 222.

486

Per un approfondimento sulle origini del movimento di Comunione e Liberazione opportunamente contestualizzato, cfr. M. Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Studium, 2016.

La Busani evidenzia una discontinuità del movimento di Giussani rispetto all’impostazione prevalente nel cattolicesimo italiano degli anni Cinquanta, che era caratterizzata dall’insistenza dell’associazionismo cattolico sulla dimensione organizzativa e progettuale.

La proposta del sacerdote, al contrario, che si rivolgeva in primis al mondo giovanile, faceva leva sulla persona, sul soggetto. Tanto da suscitare critiche, sia nel clero sia nel laicato, individuavano in GS il rischio di una fede viziata da un certo “esistenzialismo”.

487

G. Testori, Il bisogno della speranza, in «Corriere della sera», 26 marzo 1978; ora in Id., La maestà della vita, cit., p. 180.

usare la carne; per colpirla, crivellarla e stenderla, assassinata, su una delle strade che avevamo costruito per il nostro bene e per la nostra vita488.

Al lettore con qualche conoscenza pregressa del laico opinionista, che negli ultimi anni aveva rappresentato al Salone Pier Lombardo i testi sul filo (poi oltrepassato) del nichilismo barocco e della blasfemia religiosa, doveva saltare agli occhi l’apparentemente contraddittoria presa di posizione di un uomo che, seppur mai sconfessato cattolico, era considerato da un’ampia frangia ecclesiale arroccata su rigide posizioni clericali, «laico e dissacratore di Dio»489, avendo vissuto fino a poco prima nell’alveo del radical-marxismo e non facendo mistero della propria omosessualità.

Eppure, al gruppetto curioso di universitari che, spronati dai richiami di Giussani a non lasciar cadere le provocazioni del reale, ogni mattina si organizzava stilando una rassegna stampa in cerca di una «parola illuminante»490, l’articolo della “pecora nera” Testori apparve «come una mosca bianca»491 nel momento plumbeo che allora si stava attraversando – con la “Milano da bere” in fase di incubazione –, tanto che decisero di incontrarlo per ringraziarlo. Antonio Intiglietta lo chiamò dalla cabina telefonica del secondo chiostro dell’Università Cattolica: «Stupito, ci diede subito un appuntamento»492

. L’indomani, un gruppetto si presentò alla sua porta in via Brera. «Appena entrati, lui si schernì perché non pensava di essere interessante e soprattutto si stupì che da un mondo così lontano dei giovani cattolici venissero a cercarlo»493.

Da quel momento, iniziò un’intensa frequentazione settimanale tra Testori e quei ragazzi. Ricordava così lo stesso scrittore, dieci anni dopo l’incontro:

A me CL [Comunione e Liberazione] non mi ha mica preso per delle teorie di teologia, mi hanno preso quando sono venuti a trovarmi tre, quattro, per la tenerezza, l'amicizia, per qualche cosa in più di umano che oggi invece la società - e lasciatemi dire anche

488

Cfr. Id., Realtà senza Dio. Via Fani: il rapimento di Aldo Moro, in «Il Corriere della sera», 20 marzo 1978, ora in Id., La maestà della vita, cit., p. 179.

489

L. Amicone, Nel nome del niente. Nel nome del padre, intervista a cura di A. Savorana, in «Tracce- Litterae Comunionis», XXVI, gennaio 1999, n. 1, p. 16.

490

L. Doninelli, Trenta volte incamminati, cit., p. 26.

491

Ibid.

492

A. Savorana, Vita di don Giussani, Milano, Rizzoli, 2013, p. 558.

493

gran parte della società cristiana - ha buttato via per inseguire la mitologia di uno stramorto progressismo494.

Fu dunque l’aggrumarsi, in un condensato periodo di tempo, della morte dell’amata madre e dell’incontro con quei giovani cattolici495

che spinse Testori sul «crinale da cui si rivolse alla fede cristiana»496: non si trattò di “conversione”, termine che lui stesso ha rifiutato ripetutamente, piuttosto di un ritorno alla sua radice cristiana, che ne influenzerà tutta l’opera successiva.

Fulvio Panzeri annota al riguardo: «Questo bisogno di intervenire per una rifondazione dei temi del cristianesimo coinvolge Testori in modo totale, dal teatro, con la Trilogia degli Oratori sacri, fino alla direzione di una collana per la Biblioteca Universale Rizzoli, I libri della speranza»497.

3.3 Conversazione con la morte