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Il buddhismo impegnato per il sociale.

Nel documento Ben-essere organizzazione. (pagine 137-151)

Capitolo quarto: La meditazione e la sua possibile applicazione nel settore del sociale.

4.2 Il buddhismo impegnato per il sociale.

L’ordine dell’Interessere promuove il ruolo attivo dei singoli esseri umani nell’ingenerare il cambiamento. Facciamo riferimento ad individui che partendo dagli insegnamenti buddhisti, praticando meditazione e seguendo le regole del Dharma, vogliono arrivare ad apportare il proprio contributo riguardo situazioni economiche, sociali, politiche ed ambientali. In questo Thay fu ispirato dal movimento riformatore del Buddhismo Umanista 180di

origine cinese e taiwanese.

L’idea nacque nel 1954 durante la guerra del Vietnam che lo vide protagonista, come risposta alla sofferenza generata dalla stessa. Durante il conflitto Thich Naht Hanh agì con condotte super partes, volte solamente alla tutela delle popolazioni coinvolte. Questo contributo sorse in modo spontaneo, come altra parte della pratica meditativa, incentrata sulla ricerca della felicità propria e di tutti gli esseri.

“Interbeing” significa comprendere l’interconnessione presente nel mondo, abbandonando il concetto di dualismo e la visione degli opposti. Guardando in profondità la natura del cosmo non possiamo non notare la sua connessione intrinseca con ogni sua singola parte. Da ciò possiamo ben riallacciarci alle metafore iniziali di Morgan ed al concetto di vacuità caratteristico del buddhismo: “Vuoto di un se’ permanente. Non-se’ significa anche inter-essere. Poiche’ ogni cosa e’ costituita di ogni altra, nulla puo’

180 R.H. Seager, Encountering the dharma: Daisaku Ikeda, Soka Gakkai, and the globalization of Buddhist

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essere da solo. Il non-se’ e’ anche interpenetrazione, perche’ ogni cosa contiene ogni altra. Il non-se’ e’ anche interdipendenza, perche’ questo e’ costituito da quello: ogni cosa dipende dall’essere di tutte le altre. Questa e’ interdipendenza. Nulla puo’ essere da se’. Le cose devono inter-essere con le altre. Questo e’ il non-se’”.181

L’abbandono di una concezione atomista del sé per ricercare l’unità con tutto il resto che nella nostra mentalità non lo è, rinunciare alla cornice di quello che riconosciamo come nostro per considerarci come parte di un quadro più ampio, dove i limiti svaniscono e ogni cosa è complementare dell’altra. Come abbiamo potuto valutare durante l’excursus di questo elaborato la realtà sistemico relazionale è alla base di ogni forma di organizzazione considerata e con essa l’interdipendenza delle sue parti.

La meditazione sul respiro, per connettersi al momento presente è uno dei mezzi più fruibili per comprendere intuitivamente quest’unitarietà, concentrandosi è possibile percepirsi come parte di un continuum del mondo, perdendo l’attaccamento al proprio sé e sperimentando la saggezza di una conoscenza derivata dall’esperienza quotidiana.

Tich Naht Hanh elaborò quattordici principi per spiegare il suo indirizzo filosofico, ne analizzeremo alcuni qui di seguito:

“1. Non adorero’ ciecamente e non mi vincolero’ a nessuna dottrina, credenza o ideologia, compreso il buddismo. Considero ogni sistema di

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pensiero una guida lungo la via, e non ritengo nessuno di essi la verita’ assoluta”.182

In questo primo precetto possiamo ritrovare uno dei pilastri alla base del buddhismo, la ricerca della verità al di là di ogni condizionamento o preconcetto. La religione buddhista viene per questo motivo spesso identificata come filosofia, il suo fine ultimo non è la conservazione di sé, quanto il progresso della conoscenza, la conoscenza è quindi fondata sul suo divenire e trasformarsi.

Inoltre questo primo passo è alla base della nascita dell’Ordine dell’Interessere, ideato come movimento di resistenza durante la guerra del Vietnam, per far capire l’assurdità di un massacro tra fratelli fondato su ideologie ed armi importate dall’estero. La mancanza di attaccamento alla propria visione delle cose è l’unico mezzo per essere liberi di scegliere rispetto al ventaglio di possibilità che ci si presentano, per non sfociare nel fanatismo e scegliere liberamente la condotta che riteniamo essere più opportuna.

“2. Non pensero’ che la conoscenza che attualmente possiedo sia la verita’ assoluta e immutabile. Evitero’ di avere una mente ristretta, limitata alle mie opinioni attuali. Pratichero’ il non attaccamento alle credenze per rimanere aperto al punto di vista degli altri. La verita’ si trova nella vita, non nelle nozioni intellettuali. Mi manterro’ sempre disponibile a imparare dalla vita, osservando costantemente la realta’ in me stesso e nel mondo”.183

182 https://www.meditare.net/wp/buddhismo/precetti-di-thich-nhat-hanh/ 183 Ibid.

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La conoscenza della realtà avviene quindi attraverso processi senzienti di osservazione diretta, oltre che tramandata culturalmente, come avviene nelle dinamiche psicologiche di coping184dove apprendiamo attraverso

l’osservazione del comportamento altrui.

“3. Non costringero’ con alcun mezzo altre persone, compresi i bambini, ad adottare le mie credenze, ne’ con l’autorita’, ne’ con la minaccia, il denaro, la propaganda e nemmeno con l’educazione. Invece, attraverso il dialogo compassionevole, aiutero’ gli altri ad abbandonare il fanatismo e la chiusura mentale”.185

In questo passaggio possiamo ritrovare l’importanza dell’educazione come strumento di crescita e non di manipolazione, lo studente deve essere accompagnato nel suo percorso di evoluzione e scoperta come avviene nel processo di empowerment sociale. Il compito del docente e dell’assistente sociale è quello di seguire le potenzialità e peculiarità della persona con cui si confronta in un percorso dinamico, non quello di dirigerlo o forzare il suo sviluppo in una direzione preventivata.

“4. Non evitero’ il contatto con la sofferenza, non chiudero’ gli occhi davanti al dolore. Non perdero’ mai la consapevolezza che la sofferenza e’ ovunque presente nel mondo. Cerchero’ di stare vicino a tutti quelli che soffrono, con ogni mezzo: contatti personali, visite, immagini, suoni. Cosi’ risvegliero’ me stesso e gli altri alla realta’ della sofferenza nel mondo”.186

184 C.S. Carver et al., Assessing coping strategies: a theoretically based approach, Journal of personality

and …, psycnet.apa.org, 1989.

185 https://www.meditare.net/wp/buddhismo/precetti-di-thich-nhat-hanh/ 186 Ibid.

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La coscienza riguardo la condizione esistenziale della sofferenza caratteristica del buddhismo, viene qui presentata in una chiave maggiormente solidale, non auspico solo la liberazione dalla sofferenza per me, ma per tutti gli esseri; in questo caso ritrovo alla base della stessa l’impegno civico del buddhismo impegnato, che va oltre la propaganda dottrinale.

“6. Non alimentero’ rabbia e odio. Non appena rabbia e odio insorgeranno, pratichero’ la meditazione sulla compassione allo scopo di comprendere profondamente la persona che ne e’ stata occasione. Mi esercitero’ a guardare gli altri esseri con gli occhi della compassione187”.

La meditazione sulla compassione 188viene praticata anche verso sé stessi,

in quanto sondando le cause della nostra rabbia giungeremo a capire che non sono sentimenti indotti, quanto intrinseci alla nostra stessa natura, come le emozioni distruttive visionate finora. Nel vivere possiamo riscontrare un evento o un soggetto che scatenino in noi determinate reazioni negative, praticando ci renderemo conto che queste reazioni vengono risvegliate e si perfezionano soltanto poiché latenti. Non possiamo perciò additare al prossimo le colpe dei nostri sentimenti in toto, perché le nostre reazioni derivano dalle nostre modalità di risposta, portate alla luce di volta in volta come reazione ad un input esterno.

Questo tipo di pratica serve a sviluppare sentimenti positivi verso noi stessi, parenti, amici, sconosciuti e nemici; serve a favorire fratellanza e rispetto per

187 Ibid.

188 S.G. Hofmann et al., Loving-kindness and compassion meditation: Potential for psychological

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tutti gli esseri, ingenerando positività e benevolenza anche verso coloro che naturalmente tenderemo a rifiutare.

La compassione verso noi stessi ci aiuterà ad accettare anche le nostre debolezze, a prenderne coscienza, cercando di migliorare le nostre modalità di risposta, inoltre come abbiamo potuto osservare grazie all’approccio delle neuroscienze possiamo effettivamente modificare le nostre attitudini mentali, questo tipo di meditazione offre un ottimo strumento189per apportare

suddetto cambiamento, modificando i circuiti cerebrali verso una condotta più amorevole in risposta agli stimoli esterni.

“8. Non proferiro’ parole che possano creare discordia e causare fratture nella comunita’. Faro’ tutto il possibile per riconciliare e risolvere i conflitti, anche il piu’ piccolo”190.

Qui possiamo ritrovare l’attenzione da dover rivolgere alla comunicazione. Prima di pronunciarsi è consigliabile considerare la reazione che potrei scatenare nel prossimo con le mie parole, anche nello scegliere le proprie argomentazioni dimostriamo cura verso gli altri. Ugualmente risulta importante la figura del mediatore come risolutore di conflitti e restauratore della pace, questa figura non è qui presentata come il mediatore professionale ma come una dote da costruire al nostro interno imparando ad ascoltare ed accettare i bisogni altrui oltre che i nostri.

189 G. Desbordes et al., Effects of mindful-attention and compassion meditation training on amygdala

response to emotional stimuli in an ordinary, non-meditative state, Frontiers in human …, frontiersin.org 2012.

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Possiamo quindi trovare una conferma al programma scolastico sperimentale dell’Istituto Pestalozzi dove ai ragazzi viene insegnata la mediazione sin dal secondo biennio, d’altronde l’ascolto attivo è una risorsa importante anche per la nostra professione.

Questa metodologia si è rivelata efficace per allacciare le antiche tradizioni all’attivismo occidentale odierno, lo stesso Dalai Lama 191si è espresso alla

ricerca di un sempre più presente impegno civico da parte della comunità buddhista, dichiarando che spesso il sangha non si è mostrato molto coinvolto nei problemi della società, aggiungendo di aver molto da imparare dalla cristianità rispetto al suo impegno all’interno della comunità.

In India possiamo però ritrovare un modello di buddhismo impegnato ben avviato da anni nel Mahabody International Meditation Center192. Questa

comunità spirituale nata alle pendici himalayane, funge da scuola residenziale per più di quattrocento minori in stato di povertà provenienti da villaggi limitrofi, è un istituto per ciechi, casa di riposo e monastero.

Il monaco che ha portato alla realizzazione di questa comunità sociale è il Venerabile Bhikkhu Sanghasena.

In un’intervista riporta di essersi basato semplicemente sul fondamentale precetto del Buddha nel suo lavoro: la compassione amorevole, portata avanti non solo con preghiere ma con l’agito quotidiano, “Compassion in action, meditation in action”.

191 Dalai Lama, La compassione e la purezza, Fabbri Editore, Milano, 1997. 192 https://www.themindfulword.org/2012/engaged-buddhism-india-sanghasena/

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Lavorare con diligenza per tutti gli esseri, riavvicinando gli ordini monastici ai laici, difatti uno dei grandi problemi che affligge da sempre il buddhismo è la chiusura dell’ordine monacale. Non che sia impossibile per i laici entrare in rapporti con essi, ma spesso i monaci vivono chiusi nei loro monasteri rendendo difficoltoso sviluppare rapporti con i laici in società. Il cambiamento risiede nel rendere quest’incontro meno difficoltoso sviluppando una forte collaborazione con le persone esterne al monastero, solo così è possibile generare una nuova coesione sociale che permetta ai laici di conoscere i precetti ed ai monaci di fornire un contributo attivo alla vita di comunità.

I monaci difatti si occupano delle attività all’interno del centro ma svolgono svariate occupazioni di sostegno alla povertà nelle aree disagiate dei villaggi vicini.

Una particolare enfasi vorrei riservarla all’impegno civico che ha contraddistinto il Mahabody Centre, dai suoi albori, a favore della scolarizzazione femminile sostenendo la totale parità fra tutti gli esseri. Per tornare a Thay ed al tema dell’impegno civico, parleremo della prima delle quattro nobili verità: la sofferenza.

Ogni anno all’incirca dodicimila adolescenti francesi 193commettono

suicidio, perché non riescono a sostenere la loro condizione di disperazione. I loro genitori spesso non sanno come poterli aiutare, non riescono ad insegnare ai loro figli come gestire e come convivere con le loro emozioni,

193 M. Lejoyeux et al., Prevalence and risk factors of suicide and attempted suicide, Encephale, Sep-Oct

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allo stesso modo i loro insegnanti non sono in grado di sostenerli nelle loro difficoltà.

“Alcuni giovani non riescono a far fronte alle tempeste emotive che avvengono dentro di loro, come la rabbia, la depressione, l’angoscia e così via, e vorrebbero uccidersi. Sono convinti che il suicidio sia l’unico modo per mettere fine alla sofferenza… Sembra che nessuno insegni loro come gestire quelle emozioni così forti. Se riusciamo a mostrar loro il modo per calmarsi e liberarsi dalla morsa dei pensieri suicidi, essi avranno un’opportunità di tornare indietro e accogliere nuovamente la vita; ma prima di mostrare la pratica ad altri dobbiamo averla interiorizzata noi stessi. Prima di tutto, dovete sapere che un’emozione è soltanto questo, un’emozione, anche se può sembrare intensa e enorme. Ma voi siete molto più grandi di questa emozione… Le emozioni sono soltanto una delle diverse formazioni mentali che possiamo sperimentare. Arrivano, rimangono per un po', e poi se ne vanno. Perché dovremmo morire per un’emozione?”.194

In una realtà dove manca la comunicazione non può esistere amore o sostegno reciproco, possiamo riscontrarne un esempio lampante nel terrorismo che nasce da errate percezioni. Imparare a convivere con le proprie emozioni ed accettare quelle presenti negli altri senza giudizio, accettare il conflitto ed imparare a conviverci, cercare di risolverlo attraverso l’ascolto attivo, questi sono i mezzi che abbiamo a disposizione secondo il percorso fin qui svolto.

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La buona pratica quotidiana, l’educazione intelligente può essere appresa come abbiamo potuto vedere, perché non usufruirne per godere dei suoi frutti? Non con una chiave religiosa ma assaporando i valori e le tecniche di una cultura, elaborando un mix che coinvolga questo sapere al nostro bagaglio.

Il buddhismo impegnato non prevede un lavoro esclusivo di monaci, punta alla sensibilizzazione dell’essere umano in generale verso il suo stesso essere, l’umanità.

Per questa serie di motivi con questa ideologia possiamo trovare pieno riconoscimento ed applicazione di tutte le tecniche mindful che abbiamo potuto esaminare finora.

Dal punto di vista valoriale questo mandato corrisponda appieno con quello del servizio sociale: abbiamo fin qui menzionato ascolto attivo, non giudizio, compassione, cittadinanza attiva. Idee ed ispirazioni rispetto il nostro operato quotidiano che qui ritrovano un ambiente quanto mai consono.

D’altra parte anche dal punto di vista delle tecniche operative potremmo trarre ispirazione per acquisire una maggiore presenza mentale ed un atteggiamento equanime verso l’utenza.

Inoltre dati i numerosi casi di burn out 195che affliggono assistenti sociali,

come accade per gli insegnanti, sarebbe auspicabile tentare di implementare questa nuova strategia come strumento aggiunto di resilienza per la categoria.

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Vi sono molti motivi per cui instaurare una collaborazione più stretta tra i due ambiti, la quale potrebbe risultare efficace ed efficiente per un nuovo addestramento al mestiere, una nuova metodologia organizzativa interna ed un nuovo rapporto con l’utenza.

L’applicazione anche nel nostro ambito di strumentazioni efficaci come il C.E.B per l’educazione deontologica, l’utilizzo di metodologie come il S.E.C., potrebbero rivelarsi infinitamente utili per la progettazione dei servizi offrendo l’apertura a nuove dinamiche gestionali volte alla collaborazione e al rispetto dell’interdipendenza delle parti.

La mindful in sé sarebbe un ottimo mezzo per comprendere come comportarci verso noi stessi e trattare con gli altri nell’ambiente lavorativo, in un impiego votato al sociale questi strumenti risultano ancor più fondamentali visto che le abilità relazionali dovrebbero essere un requisito più che necessario.

Ascoltare, comunicare, dominarsi per raggiungere i propri obiettivi, collaborare in team, negoziare, gestire i conflitti; sono tutti attributi fondamentali in un’occupazione sottoposta a forti stress ed interazioni continue con soggetti affetti da problematiche e con altri operatori che vivono i nostri stessi disagi.

Inoltre una razionalizzazione del lavoro, fondato sull’abilità dell’operatore di comprendere chi ha davanti e le dinamiche più o meno veritiere delle informazioni portate allo sportello, è di indiscutibile aiuto sia nell’abbreviare le tempistiche data la scarsa disponibilità oraria, sia per giungere prima possibile alla soluzione più idonea per tale problematica, evitando di incorrere in errore.

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Molto frequentemente l’utenza che ci troviamo davanti non è profondamente consapevole della reale problematica che la affligge, oppure ci riporta descrizioni menzognere riguardo la propria situazione; riconoscere le dinamiche interne diventa compito dell’operatore, il quale potrebbe essere indiscutibilmente aiutato da queste metodologie come il M.B.S.R.

Sviluppare attenzione per i dettagli, ascoltare attivamente, migliorare le proprie capacità mnemoniche, possono esserci utili per meglio gestire la moltitudine di casi in carico al Servizio. Inoltre sono di aiuto al momento dei colloqui, permettendoci di avere ben chiara la situazione dell’utente ed aiutandoci a farlo sentire riconosciuto da noi.

Tutto ciò senza scordare che la fiducia in sé stessi e nelle proprie possibilità viene accresciuta dalla consapevolezza riguardo le proprie doti, favorendo la crescita del coraggio nel prendere decisioni importanti e capendo quando non si possa chiedere ulteriori sforzi alla persona con cui ci interfacciamo.

Sviluppare calma per meglio gestire i conflitti che spesso incontriamo al momento degli appuntamenti con un’utenza che a volte si mostra riottosa, o nella gestione stessa dei conflitti tra colleghi nelle varie riunioni di èquipe. Non dimentichiamoci che molti di noi lavorano come educatori in comunità familiari o terapeutiche, oltre che a domicilio; protocolli come il S.E.L. sarebbero infinitamente utili per fornire un nuovo sguardo sulla cura del rapporto con i minori.

Infine la figura del leader, che nell’assistente sociale possiamo ritrovare nel suo ruolo di referente del team, e la sua capacità relazionale di mediatore e facilitatore tra i vari operatori della squadra.

Per tutte queste ragioni si può ben pensare a quante applicazioni utili potremmo avere nel nostro lavoro seguendo i percorsi fin qui trattati.

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“La nostra professione è il sistema per guadagnarci da vivere, ma è anche il contributo che diamo alla società da cui dipendiamo. Del resto tra la società e noi c’è un condizionamento reciproco. Se la società prospera noi ne traiamo vantaggio, se invece va male noi ne soffriamo. La nostra comunità esercita a sua volta un’influenza su quanti ci circondano, e in ultima analisi su tutta l’umanità. … Quando affermo che la salute della società si ripercuote naturalmente su ciascuno di noi, non intendo sostenere che si debba sacrificare il proprio benessere personale a quello del gruppo. Dico soltanto che le due cose sono inscindibili”.196

Nel seguente paragrafo ci soffermeremo nello specifico sul non giudizio collegandolo al concetto di equanimità buddhista, attraverso una poesia di Thich Nhat Hanh vedremo come sia possibile mettersi nel ruolo dell’altro ricercando l’empatia e capire attraverso i suoi occhi ed il suo vissuto il perché delle sue condotte, sviluppando compassione ed accettazione verso l’errore.

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Nel documento Ben-essere organizzazione. (pagine 137-151)