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Critica all’applicazione mindful nel contesto aziendale.

Nel documento Ben-essere organizzazione. (pagine 83-91)

Capitolo secondo: L’organizzazione e il Total Quality Management.

2.5 Critica all’applicazione mindful nel contesto aziendale.

Partendo dalla tematica dell’intelligenza emotiva analizzata finora possiamo iniziare questa critica mossi dal fatto che la capacità comunicativa venga eventualmente strumentalizzata126 all’interno dell’ambito lavorativo per

scadere quindi nella manipolazione da parte della dirigenza aziendale. Se accettiamo questo fatto, cioè che persone abili nella comunicazione esistano e che possano riuscire grazie alle loro doti a condizionare chi gli è vicino, siamo anche capaci di pensare che questo processo a lungo termine possa condizionare l’operato degli impiegati.

Questa tipologia di leader potrebbe anche sfruttare le proprie abilità fingendo supporto ed amicizia, oppure potrebbe ledere la dignità del lavoratore attraverso la vergogna per spingerlo ad una produttività maggiore. Siamo quindi di fronte ad una criticità etica, ossia ci poniamo il problema che le persone così abili che abbiamo selezionato con cura possano diventare, grazie alle stesse capacità che abbiamo ricercato in loro, troppo scaltre e che non siano mosse da motivazioni oneste rispetto all’equità nel lavoro.

Una premura da parte dei vertici potrebbe essere quella di far seguire i leader da counselor o psicologi per monitorare la loro condotta, secondo l’opinione di questo elaborato la pratica mindful avrebbe in sé la soluzione a suddette criticità. Come abbiamo potuto osservare approfonditamente, la meditazione non è soltanto basata sull’autoconsapevolezza ma parte del suo scopo è

126https://www.goodtherapy.org/blog/how-emotional-intelligence-can-be-key-to-workplace-success-

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riconoscere l’importanza dell’interdipendenza. La pratica è volta alla compassione, quindi una possibile soluzione sarebbe quella di non distaccare le varie evoluzioni della fusione tra buddhismo e psicologia ma di mantenere un collegamento attivo al fine di migliorare le conoscenze psicologiche a disposizione e migliorarle attraverso la coltivazione di un equilibrio mentale volto ad elevare la propria condizione ed al contempo quella degli altri. Seguendo queste idee il leader sarebbe naturalmente portato ad ascoltare i bisogni degli altri e a rispettare il loro ruolo, non vedrebbe sostanziale differenza tra il suo compito e quello altrui, la sua appartenenza intrinseca alla rete lavorativa lo spingerebbe ad adottare la miglior condotta per il fine comune e non individuale.

Procedendo nell’intento di mostrare gli eventuali lati oscuri del modello TQM discuteremo ora del “Sistema Toyota”127, emblema del management

della qualità giapponese.

Il Toyotismo deriva dal sistema fordista, modificato per essere snellire la produzione. Le problematiche economiche in cui il Giappone versava nella fase post bellica non permettevano un’ingente disposizione di risorse, per cui fu ideato un sistema basato sulla qualità, per riprendere il modello TQM, ma che al contempo corrispondesse al concetto di “just in time”. Il Sistema Toyota non prevede infatti scorte, il prodotto viene realizzato a richiesta pervenuta in modo da non rendere necessari magazzini, limitare le spese e massimizzare così i profitti.

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Questo sistema per la sua riconosciuta efficienza è stato poi esportato dal Giappone nell’industria americana. I problemi sono sorti principalmente per questioni ideologiche. Come abbiamo potuto osservare all’inizio del capitolo i fattori culturali hanno giocato un forte ruolo nel permettere al modello TQM di fiorire in Asia. Le critiche che sono state mosse dalla cultura americana al Toyotismo sono relative alla condizione del lavoratore128.

La differenza risiede nella contrapposizione tra due ideali nipponici: quello del tatemae, cioè quello che dovresti pensare e sentire, e quello di honne, ossia ciò che pensi e senti realmente. Secondo la realtà americana tatemae blocca honne limitando così il potenziale del singolo e la sua creatività, instaurando una condizione negativa sulla vita del lavoratore. La paura è quindi quella che per favorire una massimizzazione del guadagno si vada a sminuire l’importanza del singolo, realizzando uno stile dirigenziale top- down piuttosto che creare un luogo di lavoro che favorisca la sinergia delle parti.

Questo sarebbe però una deviazione del prototipo TQM in sé, è giusto considerarla ma dobbiamo comunque riconoscere che risulterebbe un abbandono dei principi cardine propri del modello. Tenere presenti queste problematiche potrebbe comunque essere utile per fornire uno stimolo alla salvaguardia dei principi cardine dello schema.

128D. Mehri, The darker side of lean: an insider's perspective on the realities of the Toyota production

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Un problema serio e tangibile rilevabile nel continente asiatico e non solo, legato alle multinazionali è quello dei karoshi:129 parliamo delle morti

causate da troppo lavoro manifestate a causa di stress e attacchi cardiaci. Lo sforzo riguardo il perfezionamento continuo ed il miglioramento delle performance rischia di costituire un peso troppo forte per gli impiegati. Anche in questo caso mantenere un forte connubio con le altre pratiche mindful potrebbe aiutare a regolamentare la gestione dei fattori stressogeni ed aiutare il lavoratore a sopportare la sua condizione. Come abbiamo visto nella sezione relativa al MBSR questa tecnica ha rivelato essere di grande supporto nel caso di forte stress, aiutando i soggetti ad alleviare questa condizione, come nel caso dei disturbi cardio-circolatori.

Un ultimo spazio sarà qui dedicato alla questione ambientale: come abbiamo visto nella prima parte del capitolo lo Shintoismo pone grande attenzione all’ecologia, dobbiamo quindi cercare di svolgere un’analisi più esaustiva riguardo questo tema ed il suo riscontro sul territorio giapponese.

Per noi che viviamo nell’era del “Dilemma dell’Antropocene”130, definita

così dai geologi per sottolineare la ormai inscindibile correlazioni tra azioni umane e degrado dell’ecosistema, le neuroscienze hanno dimostrato quanto i nostri circuiti cerebrali, nati per sollecitazioni minime, non riescano a percepire la gravità dei danni che stiamo arrecando al pianeta impedendoci

129 K. Nishiyama, Karoshi—Death from Overwork: Occupational Health Consequences of Japanese

Production Management, International Journal of Health …, journals.sagepub.com, 1997.

130http://www.lescienze.it/news/2015/02/14/news/marcatori_epoche_geologiche_antropocene_esplosioni_

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così di preoccuparcene realmente. Diventa di fondamentale importanza trovare un sistema per trasmettere consapevolezza.

Le problematiche ambientali a cui stiamo compartecipando sono nate con la rivoluzione industriale e da quel momento non hanno mai smesso di aggravarsi. Gli approcci osservati finora ci mostrano quanto sia importante per la propria consapevolezza prendere coscienza del legame esistente con l’ambiente circostante.

Potremmo analizzare, per non spostarci troppo geograficamente e per proseguire l’analisi etnometodologica, secondo Garfinkel131come un

determinato gruppo etnico utilizzi metodologie comuni per fronteggiare determinati eventi, la situazione giapponese e la sua politica ambientale, focalizzata sul rapporto con natura ed ambiente, ed allo stesso tempo votata al progresso.

Come abbiamo precedentemente visto, il periodo Meji132 ha portato ad una

cultura della crescita economica caratterizzata al contempo dal rispetto per la realtà di cui siamo parte. Prima di firmare il Protocollo di Kyoto il Giappone aveva già nel ’93 promulgato la principale legge a tutela dell’ambiente, il recente disastro di Fukushima del 2011 ha ulteriormente sensibilizzato gli animi.

L’attenzione si scatenò agli albori del boom economico degli anni ’60 caratterizzato da gravi avvelenamenti da cadmio e forti problemi respiratori nelle popolazioni delle zone soggette ad un’industrializzazione massiva, le

131 H. Garfinkel, Che cos' è l'etnometodologia, Il Mulino, Bologna, 1983. 132 D. Irokawa, The culture of the Meiji period, books.google.com, 1988.

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persone presero da subito coscienza riguardo le implicazioni e ricadute di una produzione priva di regolamentazioni.

Dalla fine degli anni ’60 fu istituita una lega dei consumatori attenta a tutelare la salute del popolo e votata ad una campagna di sensibilizzazione contro l’energia nucleare oltre a leggi per la tutela e la preservazione del sistema idrico. Dagli anni ’70 le aziende sono punibili di risarcimento nel caso di colposità in disastri ambientali, anche in condizioni accidentali, la grande maggioranza della popolazione però continua a ritenere suddette problematiche irrisolte. Oltre a sentire la propria responsabilità verso questioni ambientali come desertificazione, avvelenamento idrico, deforestazione ed estinzione animale, la coscienza collettiva esprime particolare attenzione per le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, sottolineando il bisogno di esercitare una necessaria tutela nei loro riguardi. Per queste dinamiche il Giappone ricevette un riconoscimento ai propri meriti dall’OCSE negli anni’90, nonostante i suoi livelli di inquinamento superassero quelli prescritti. Sul finire dello stesso decennio furono implementati programmi di sviluppo eco-sostenibili finanziati da progetti internazionali con l’avvio del progetto eco-town. La prima città eco- sostenibile è nata così e gode della capacità di emettere zero emissioni grazie al riciclo totale delle stesse. Inutile negare che le problematiche attuali siano fortemente caratterizzanti anche dell’arcipelago nipponico soggetto a problemi nucleari, di smaltimento di rifiuti particolari come fanghi e ceneri, a cui dobbiamo sommare anche gli aggravi causati dalle emissioni per la produzione delle ultime tecnologie.

Dopo Fukushima e la mobilitazione della cittadinanza sembrava potersi risolvere almeno una questione, ma il primo ministro Shinzō Abe ha preso

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la decisione di ribaltare la scelta del suo predecessore riaprendo le centrali nucleari.

Dobbiamo quindi concludere che il dilemma iniziale non sembra ancora trovare una giusta soluzione dal momento che gli interessi commerciali continuano a prevalere su ambiente e salute. Ci auguriamo che una presa di coscienza maggiore aiuti a modificare atteggiamenti rimasti fin qui inalterati nonostante la cultura sensibile a tali tematiche, altrimenti potremmo sospettare che una soluzione sia ben lungi dal potersi trovare.

Esauriamo quindi questo capitolo asserendo che gli sviluppi delle applicazioni mindful in ambito lavorativo sono state molteplici, e non tutte hanno mostrato ampio rispetto dei principi cardine alla base delle stesse teorie. Avere presenti queste dinamiche non può far altro che fungere da ulteriore stimolo nella realtà lavorativa per realizzare un ambiente quanto più consono ai bisogni aziendali ed individuali.

Disporre di una mentalità vicina a questi ideali come quella giapponese aiuta sicuramente nell’implementazione, ricordandoci però di mantenere fede ai capisaldi di questo sistema: considerazione di ogni sua parte, sinergia e curiosità. Vi sono molti casi, purtroppo, che inficiano la veridicità di queste teorie; andrebbe però evidenziato ancora una volta che spesso ciò è dovuto ad una mancanza di corresponsione tra idea e realizzazione. Ad ogni modo il loro studio potrebbe rivelarsi utile, fornendo una matrice di confronto ed uno stimolo a fornire risposte sempre più adeguate.

Il prossimo argomento trattato sarà l’implementazione del modello nell’organizzazione scolastica, andiamo a vederne quindi le dinamiche.

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