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Modelli di competenza emotiva nella leadership.

Nel documento Ben-essere organizzazione. (pagine 77-83)

Capitolo secondo: L’organizzazione e il Total Quality Management.

2.4 Modelli di competenza emotiva nella leadership.

“In questo secolo le aziende hanno vissuto una rivoluzione radicale, che è stata accompagnata da una corrispondente trasformazione del paesaggio emozionale. Ci fu un lungo periodo in cui la gerarchia aziendale era dominata da dirigenti che incarnavano il tipo di capo manipolativo, un’epoca in cui era premiato lo stile da guerriero della giungla. Ma negli anni Ottanta, quella rigida gerarchizzazione cominciò a perdere colpi sotto la doppia pressione della globalizzazione e della tecnologia dell’informazione. Il guerriero della giungla simbolizza il passato delle aziende; il virtuoso delle capacità interpersonali rappresenta il loro futuro. … La leadership non è esercizio di potere, ma l’arte di persuadere le persone a lavorare per un obiettivo comune111”.

A livello universale per il lavoratore l’intelligenza emotiva si rivela doppiamente importante rispetto a tutto il resto del proprio bagaglio culturale, arrivando a giocare un ruolo fondamentale nel caso dei livelli apicali dell’impresa, fino ad apportare un livello di successo assicurato nel 90% 112dei casi.

La questione è la medesima di sempre: ci sono persone naturalmente predisposte ad essere leader efficaci oppure sono qualità che possono apprendersi?

111 D. Goleman, Essere leader…

112 M. Zeidner et al., Emotional intelligence in the workplace: A critical review, Applied Psychology, Wiley

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In ambito psicologico, nello specifico trattiamo della psicologia dei gruppi113, questo argomento viene trattato da decenni e sono state stilate veri

e propri elenchi raggruppanti i tratti distintivi di questa figura.

Dobbiamo difatti partire dal presupposto che non sempre chi si offre di guidare il gruppo ne abbia necessariamente le capacità, oltretutto considerando che essere leader è una qualità socialmente desiderabile, in molti vi aspireranno nonostante non ne posseggano le doti. Inoltre non tutti i gruppi necessitano della stessa tipologia di leadership poiché i componenti e le necessità differiscono per contesto e tempi.

Lewin,114 durante la seconda guerra mondiale, fu il pioniere di questi studi

sui comportamenti della leadership attraverso lo studio dei dittatori presenti nel suo contesto storico, figure che sono ascese a causa dei vuoti di potere esistenti all’epoca. Da quel momento, riconosciuto l’ampiezza dell’impatto che tale figura poteva avere sul contesto in cui operava dall’ambiente militare115 e politico116 si è passati all’applicazione dello studio della

leadership in ambito scolastico117 e aziendale118.

113 R. Brown, Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino, Bologna, 1990.

114 K. Lewin, A research approach to leadership problems, The Journal of Educational Sociology, JSTOR,

1944.

115 T. Ammendola, Guidare il cambiamento: la leadership nelle forze armate italiane, books.google.com,

2004.

116 F. Amoretti, La comunicazione politica, La nuova Italia scientifica, Roma, sisp.it, 1997.

117 G. Domenici, Leadership educativa e autonomia scolastica: il governo dei processi formativi e gestionali

nella scuola di oggi, books.google.com, 2011.

118 C. Ghislieri et al., Quale relazione tra leadership e work engagement? Uno studio pilota in una pubblica

amministrazione-What is the relationship between leadership and work …, COUNSELING, iris.unito.it, 2013.

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Lewin inizialmente aveva riconosciuto i seguenti tipi di leader119:

Leadership di delega: stile di leader permissivo funzionale in un gruppo motivato e capace, il suo compito è quello di distribuire gli incarichi. Fonda la sua carica sulla comunicazione, le criticità si manifestano quando in presenza di problemi eviti di intervenire direttamente.

Leadership autocratica: figura molto impositiva e poco volta alla comunicazione, mostra un alto tasso di intervento in ogni dinamica. Funziona in gruppi motivati dove però sono presenti dubbi sul come svolgere l’incarico, vi è il rischio che gli altri percepiscano una perdita di libertà, oltre al subire il senso di superiorità che questo leader incarna.

Leadership democratica: basato sulla bi-direzionalità comunicativa, comanda quindi regolandosi sui feedback che riceve dal gruppo. L’ascolto motiva il team.

Sono poi state aggiunte altre due figure dalla sociologia dei gruppi120moderna:

Leadership transazionale: basata sugli obiettivi, capisce come motivare e redarguire per il conseguimento della mission. Valido nel lungo termine comprende come e quando premiare l’operato per mantenere alti gli stimoli. Può però ingenerare una forte competitività.

Leadership trasformazionale: motiva il gruppo basandosi sullo scopo senza perdere di vista obiettivi trasversali come il clima, la cura e l’acquisizione di competenze nell’ambiente di lavoro. Funziona in ambienti con scarsa motivazione senza una chiara direzione allo scopo.

Esaminato questo elenco, quello che vogliamo capire è se si possa stravolgere l’abitudine ed insegnare ad essere leader emotivamente capaci, vediamo quindi se sia o meno possibile e come.

Naturalmente per alcuni individui nati predisposti121 certi atteggiamenti

risulteranno più naturali, ma l’addestramento riesce effettivamente a fare la differenza sui risultati, quindi vale la pena capire come poter migliorare. La componente caratteriale individuale non funge da barriera in quanto la pratica ricopre un ruolo altrettanto essenziale. Inoltre questa dote aumenta

119 https://lamenteemeravigliosa.it/5-tipi-leader-sociologia-gruppi/

120 http://qualitiamo.com/articoli/Due%20tipologie%20di%20leadership.html 121 https://www.universita.it/predisposizione-leadership-genetica/

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con l’età e la maturità appresa. Vediamo adesso il modello proposto da Daniel Goleman per implementare una buona capacità manageriale in un dirigente.

Le cinque componenti dell’intelligenza emotiva sono:122

L’auto-consapevolezza: si risolve in un’analisi SWOT, stiamo parlando di conoscere le proprie forze, debolezze, opportunità e minacce; comunemente usata per l’analisi di mercato.

Avere una profonda conoscenza del proprio sé, delle proprie modalità emotive, per capire come meglio gestire le criticità e sfruttare invece le doti.

L’auto-controllo: che ci libera dall’essere prigionieri delle nostre emozioni, il saper gestire i propri impulsi per generare un clima di fiducia ed equità con gli altri. Instaurare un ambiente sereno dal quale i lavoratori non vogliano andarsene, utile a mantenere nel proprio team le persone più talentuose, oltre ad un atteggiamento positivo al vertice, instilla la medesima attitudine nei sottoposti spinti ad emulare il proprio capo. La competitività aziendale aumenta insieme alla capacità di gestire il cambiamento e lo stress ad esso connesso, infine la stessa integrità ne beneficia, sia a livello personale che aziendale, con i risvolti positivi conseguenti a livello di accountability.

La motivazione a raggiungere gli scopi preposti: per il puro piacere di farlo, andando oltre le aspettative, un’attenzione per il punteggio finale coadiuvato da passione, energia e persistenza, ricordandosi che l’ottimismo è contagioso.

L’empatia: sta nel considerare le emozioni del lavoratore all’interno del processo produttivo ad oggi sempre più rilevante perché sempre più spesso il lavoro viene svolto in team, oltre alla velocizzazione ingenerata dalla globalizzazione e alla sua conseguente mobilità di talenti.

Abilità sociali: di gestire le relazioni muovendo gli altri nella direzione comune, capendo che non si gioca da soli e nessun traguardo può essere raggiunto se non in squadra.

Per ritornare a tematiche già trattate il leader va considerato come un hub, capace di coadiuvare gli altri membri del sistema.

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Questo quadro si rivela molto utile a fornire motivazioni non solo umanistiche ma strategiche per meglio implementare l’esistenza dell’organizzazione. A dimostrazione della sua efficienza sempre più società

123stanno implementando questa metodologia nel processo di selezione del

personale, poiché è sempre più convalidata l’idea che il possesso di un buon Q.E. sia predittivo della capacità di fronteggiare i futuri eventi stressogeni della vita del lavoratore come: selezione, formazione, assunzione e crescita sul lavoro.

“In a now classic study, Kotter (1982) identified a number of personal characteristics discriminating more from less successful general managers, including such social-emotional competencies as optimism, communication and relationship skills, and need for achievement. Furthermore, research by Boyatzis (1982) has identified a number of social competencies (i.e. socialised power, self-esteem, positiveness) that appear predictive of future managerial success”.124

Come possiamo notare rappresenta il giusto connubio tra leadership trasazionale e trasformazionale fornendo l’adeguato grado di direzionalità ed allo stesso tempo coadiuvando il gruppo tramite la motivazione all’obiettivo, assicurandogli un ambiente di lavoro appropriato ed il corretto riconoscimento al ogni membro.

123 M. Zeidner et al., Emotional intelligence in the workplace: A critical review, Applied Psychology, Wiley

Online Library, 2004.

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Una delle critiche125 più spesso mosse a questo tipo di approccio è la sua

fondatezza su aneddoti piuttosto che su dati specifici recati a supporto, poiché anche quando presenti essi mancano di efficaci misure di controllo. Il rischio è quello di incorrere nella generalizzazione.

Sono però stati forniti anche spunti per poter permettere un’analisi più esaustiva di questo tema attraverso una sua standardizzazione e validazione: l’analisi dovrebbe svilupparsi ugualmente ai test svolti sugli altri fattori predittivi estrapolati dalle performance lavorative e redatti in tabellari. Una forte base sarebbe quella di contestualizzarla in specifici ambiti lavorativi ed ai relativi scopi, bisogni e specifiche interazioni lavorative. Il tutto dovrebbe essere legato alla necessità di possedere determinate e specifiche qualità emotive secondo questa tesi corrispondenti. I criteri di validazione dovrebbero essere collegati alle performance di gruppi più o meno funzionali a seconda dell’ambito di riferimento. Oltre all’utilizzo di adeguati criteri di misurazione rielaborati per meglio quantificare l’impatto dell’emotività sui diversi aspetti e caratteristiche del leader classico. L’analisi potrebbe inoltre riconoscere una differenziazione tra benessere aziendale e del lavoratore per fornire un’ulteriore specificazione nelle misurazioni.

Dopo aver preso visione delle caratteristiche necessarie a ricoprire un ruolo così focale all’interno di una compagine operativa, ed averne mostrato i punti ciechi, passiamo infine a porci un’ulteriore questione riguardante la validità dell’approccio mindful rispetto all’organizzazione aziendale in toto, analisi che svolgeremo nel seguente ed ultimo paragrafo di questa parte.

125 M. Zeidner et al., Emotional intelligence in the workplace: A critical review, Applied Psychology, Wiley

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Nel documento Ben-essere organizzazione. (pagine 77-83)